La tutela dei beni destinati a pubblica funzione o servizio

Con l'alienazione del bene pubblico appartenente al patrimonio indisponibile si è realizzata una tacita e immotivata sottrazione del bene alla sua essenziale funzione

La sentenza

Un gruppo di cittadini residenti in prossimità  e fruitori di una farmacia comunale decidono di impugnare il bando di gara con cui il comune intendeva alienare la medesima farmacia. Le censure dei ricorrenti vertono su tre profili: a) la decisione in sé di procedere ad alienare la farmacia e la modalità  di cessione; b) la presunta confusione in cui sarebbe incorso il comune tra trasferimento della farmacia e disposizioni che attengono alla loro nuova istituzione; c) la lesione dell’art. 828 del codice civile, comma 2, relativamente ai beni patrimoniali indisponibili cui apparterrebbe implicitamente la farmacia dal momento che essa è destinata a pubblico servizio. Il giudice mentre ritiene infondate le prime due censure, accoglie la terza e per questo considera illegittimo il bando.
Le argomentazioni del tribunale amministrativo si dispiegano secondo due ordini di questioni. Prima di tutto il giudice è chiamato a dimostrare la legittimazione processuale dei cittadini ricorrenti. A questo proposito il giudice afferma che la legittimazione è ex lege dal momento che oggetto della procedura di alienazione è un bene preordinato a vantaggio diretto o indiretto della comunità  che deve essere preservato nella sua destinazione d’uso, come è anche oramai previsto dal decreto legislativo 85 del 21 sul federalismo demaniale nell’art. 2, comma 4. Questo consente all’interprete, estendendo l’applicazione anche dei principi espressi nella sentenza n. 3811 del 211 della Corte di Cassazione, di inscrivere il bene tra quelli per i quali la gestione non può prescindere da un coinvolgimento della collettività  stessa che sia connessa funzionalmente all’uso del bene. Il giudice osserva, infatti, che la «previsione sulla partecipazione dei cittadini ai procedimenti riguardanti la destinazione funzionale dei beni pubblici è espressione (…) di sussidiarietà  orizzontale dal momento che la collettività  è chiamata alla gestione dei beni pubblici ».
Una volta dimostrata la legittimazione processuale dei ricorrenti, il giudice considera fondata anche nel merito la censura dal momento che il bene suddetto viene inscritto tra quelli pubblici patrimoniali indisponibili cosicché la procedura di alienazione, consentendo all’aggiudicatario e contestuale locatore, di recedere dal contratto privato permette di trasferire la farmacia in altra sede compromettendo la preservazione del bene a servizio pubblico. In altre parole, il giudice finisce per contestare la scissione tra appartenenza pubblica e destinazione a vantaggio della collettività  del medesimo bene.

Il commento

Le decisione in commento ha il pregio di seguire un indirizzo giurisprudenziale oramai piuttosto consolidato che ascrive al principio di sussidiarietà  orizzontale la capacità  di ampliare la legittimazione processuale dei cittadini. Per comprenderne appieno il significato bisogna ricordare che alle origini del diritto amministrativo italiano durante il periodo liberale la capacità  di un cittadino di contestare un provvedimento emesso dalla pubblica amministrazione era condizionata dalla dimostrazione che quel provvedimento ledeva un “suo” (dunque privato) interesse concreto e attuale, non potendo ammettersi viceversa che i cittadini possano contestare decisioni pubbliche rivendicando l’incidenza negativa sugli interessi generali oltre che privati. La motivazione era semplice: la pubblica amministrazione era considerata l’unica responsabile degli interessi pubblici.
Questa posizione culturale rigida non è rimasta immutata nel tempo e occorre ammettere che tanto il legislatore quanto i giudici hanno, soprattutto negli ultimi quarant’anni, reso più “morbida” questa interpretazione. Tuttavia è altresìvero che con l’introduzione del principio di sussidiarietà  orizzontale questo processo graduale di ampliamento della legittimazione processuale si è decisamente rinvigorito e conosce campi di applicazione sempre più interessanti. La sentenza in commento ne è una dimostrazione dal momento che attribuisce ai cittadini, oggettivamente beneficiari di vantaggi resi da beni pubblici in termini di servizio pubblico, di poter contestare la scelta di alienazione del bene quando questa non è accompagnata da condizioni che assicurino alla collettività  la possibilità  di continuare a goderne la fruizione. In altre parole si sancisce un principio generale di partecipazione della collettività  alla gestione di beni pubblici, almeno nei termini di informazione e consultazione a verifica dell’attualità  dell’utilità  del bene.
Quanto detto non appare in contrasto con la possibilità  che il bene muti titolarità  e dunque diventi privato dal punto di vista proprietario; questo era anche il punto di vista della Cassazione del 211 nella sentenza citata dal giudice in commento. Sul punto, però, il tribunale ligure pare cadere in contraddizione quando mentre, da un lato, ribadisce la legittimità  del comune per aver operato la cessione proprietaria, dall’altro conclude sostenendo che l’illegittimità  del provvedimento consiste nella rescissione del nesso di interdipendenza tra appartenenza pubblica e destinazione a pubblica funzione o servizio del bene. In verità  ciò che rileva non è la titolarità  del bene, ma la sua destinazione d’uso per pubblico servizio che non può essere modificata senza che sia provata la cessata utilità  per la collettività , a cui – comunque – l’ordinamento riserva la possibilità  di far valere i propri interessi anche in sede processuale.



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