Necessario un cambio di paradigma perché il Paese torni a crescere

Creare nuova occupazione verso l'innovazione e i beni comuni

Lo studio, elaborato dall’Ufficio economico della CGIL sulla base dei dati Istat sui “Conti nazionali” e su “Le prospettive per l’economia italiana 2013-2014”, si apre con un’analisi dei dati che si riferiscono al periodo pre-crisi fino ad elaborare un Piano per la crescita a partire dalla creazione di lavoro. Analizzando i dati che si riferiscono al periodo 2000-2007 (pre-crisi) si nota che il tasso medio annuo di variazione del Pil si attestava sul +1,6 per cento con una crescita media annua del numero di unità  di lavoro a tempo pieno dell’1,1 per cento. La produttività  e gli investimenti fissi, invece, nel periodo pre-crisi, crescono rispettivamente di mezzo punto percentuale e del 2,5 per cento all’anno.

Dal 28 il Pil comincia a perdere l’1,1 punti percentuali ogni anno, mentre nel 2013 i posti di lavoro sono diminuiti di oltre un milione e mezzo rispetto al 2007. Anche i salari lordi (-,1 per cento), la produttività  (-,2 per cento) e gli investimenti (-3,6 per cento) diminuiscono ogni anno.

I tempi della ripresa

Partendo dunque dalle previsioni macroeconomiche elaborate dall’Istat e senza modificare la politica economica nazionale ed europea si potrebbero calcolare i tempi della ripresa. Lo scenario che emerge è scoraggiante: il livello del Pil pre-crisi verrebbe recuperato solo nel 2026, mentre quello dell’occupazione nel 2076 (in 63 anni dal 2013). I salari reali invece non verrebbero addirittura mai recuperati mentre si impiegherebbero 11 anni per recuperare i livelli degli investimenti (nel 2024) e quattro anni quelli della produttività  (nel 2017).

Il rapporto CGIL calcola anche la perdita cumulata che ha generato la crisi, ovvero il livello potenziale di crescita e sviluppo che si sarebbe registrato se non vi fosse stata la crisi. Ammonta infatti a 276 miliardi di euro la perdita cumulata di Pil (in termini nominali oltre 385 miliaridi), vale a dire circa il 2 per cento del Pil con un impatto evidente anche sulla sostenibilità  del debito pubblico. E anche in questo caso i tempi della ripresa sarebbero molto lunghi: ci vorrebbero 13 anni dal 2013 per recuperare il Pil potenziale, mentre i livelli di occupazione e dei salari potenziali si recupererebbero sono nel 2027. Bisogna invece attendere il 2025 per raggiungere i livelli di produttività  potenziali e il 2032 per recuperare i livelli di investimento.

“Da queste simulazioni – si legge nel rapporto – emerge con chiarezza che, anche nella migliore delle ipotesi, per uscire dalla crisi occorre ancora molto tempo”. La strada della ripresa dunque non sembra essere quella di insistere sull’aumento della competitività  e della crescita perché si rischierebbero tempi troppo lunghi e ancora diversi anni di “sofferenza sociale”.

Il Piano Lavoro della CGIL

Quale sarebbe allora la soluzione? “Per uscire dalla crisi e recuperare la crescita potenziale occorre un cambio di paradigma”. Nel rapporto infatti si pone l’accento sulla necessità  di invertire la rotta. Non si tratta più di puntare su politiche di aumento della competitività  sui costi di produzione ma sulla creazione di lavoro. “La creazione di lavoro crea crescita, che a sua volta crea nuovo lavoro”.

La CGIL propone un forte sostegno alla domanda attraverso un piano straordinario di creazione diretta di nuova occupazione, nuovi investimenti pubblici e privati, verso l’innovazione e i beni comuni. Un piano che deve essere affiancato da una riforma della finanza pubblica per liberare risorse in favore dei redditi fissi (salari e pensioni) e degli investimenti. Secondo il Piano del lavoro CGIL il livello occupazionale pre-crisi potrebbe essere recuperato in soli tre anni mentre in quattro anni il livello del Pil, della produttività  e degli investimenti. Dato ancora più importante: il livello della retribuzione di fatto media annua lorda potrebbe essere recuperata addirittura nel 2014.

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