Gli ordinamenti moderni impediscono di tracciare con chiarezza i confini delle responsabilità  nelle esperienze di sussidiarietà 

Chi si prenda cura di beni di interesse generale assicurandone l’utilità  indivisa riceve dalla nostra Costituzione tutela per effetto del principio di sussidiarietà  orizzontale. L’importante riconoscimento dell’imputazione della cura di beni di utilità  generale a un gruppo di persone, o perfino a un individuo secondo l’art. 118 Cost., implica anche l’attribuzione di responsabilità .

Nelle esperienze di sussidiarietà  la responsabilità  costituisce un elemento indissolubile per tre ragioni. In primo luogo, attivarsi per interessi generali significa che in ogni azione promossa esiste un carico di responsabilità  quantomeno etica; si tratta, infatti, di azioni naturalmente solidali. In secondo luogo, inevitabilmente, l’imputazione dello svolgimento di un’attività  che si ripercuote su altri prospetta una responsabilità  giuridica piena che riguarda certamente gli agenti ma anche chi li sostiene attivamente. Infine, esiste una responsabilità  degli agenti che prescinde anche dalle singole iniziative assunte e che può essere riassunta nel termine inglese di accountability, che nella nostra lingua può essere tradotto con obblighi di trasparenza.

 

La responsabilità  è un nodo per la sussidiarietà 

 

Mentre la prima forma di responsabilità  descrive semplicemente in termini valoriali una certa azione, le altre due forme di responsabilità  possono costituire dei veri e propri nodi per le esperienze di sussidiarietà . Le ragioni di questa incertezza si ricollegano all’impianto degli ordinamenti giuridici moderni perché questi sono di natura prevalentemente positivizzata, il che significa che i confini della responsabilità  sono determinati dalla legge. Viceversa le esperienze di sussidiarietà  si calano in uno spazio di autonomia dove la legge manca o, per meglio dire, non basta.

 

Le leggi sono state pensate nello stato liberale per mediare i conflitti tra interessi pubblici e interessi individuali, ma quando sono in gioco interessi generali comuni a una pluralità  di persone che se ne prendono cura, la legge diventa insufficiente. Da qui la difficoltà  di rintracciare i confini della responsabilità .

Ciononostante alcune coordinate possono essere delineate. A questo scopo è utile distinguere le azioni di sussidiarietà  spontanee che l’ordinamento tutela semplicemente non intralciandole da quelle che invece ricevono, secondo il principio del favor dell’art. 118 cost., un sostegno attivo.

 

La responsabilità  civile

 

Nella prima ipotesi si può considerare applicabile la responsabilità  civile ordinaria e in modo particolare la responsabilità  extracontrattuale dell’art. 2043 codice civile. Secondo questa norma, infatti, chiunque causi danni a terzi con colpa o dolo è chiamato a risponderne. Sebbene dei cittadini siano animati da spirito solidaristico nel costruire pedane per abbattere le barriere architettoniche di una determinata area, questo non esenta loro dall’obbligo di costruire pedane sicure, solide e perfettamente funzionanti. Lo spirito solidaristico non esclude la responsabilità  per danni provocati a disabili che quelle pedane hanno percorso. Dunque nelle esperienze di sussidiarietà  caratterizzate da piena autonomia si applicano le ordinarie forme di responsabilità .

 

Accanto a questo si può sostenere che a carico degli agenti vi sia anche una responsabilità  aggravata, che è quella definita dall’art. 2051 codice civile ovvero la responsabilità  per danni causati da beni in custodia. Infatti, nelle azioni di sussidiarietà  gli agenti si prendono cura di un bene che può definirsi in custodia anche quando su di esso si esercitano funzioni materiali di controllo e governo (Cassazione, sentenza n. 9591 del 2012). Se, per esempio, un gruppo di persone decide di “adottare” un monumento o un bene pubblico identificativo di una comunità  (una fontana, ad esempio) perché degradati nel tempo, questo comporta anche una responsabilità  di custodia ai sensi dell’articolo richiamato. Il che significa che danni al bene che menomano la sua utilità  generale o che provochino danni a terzi sono sanzionabili ai sensi dell’art. 2051 codice civile. In questo caso si parla di responsabilità  aggravata non perché questa si aggiunge alla responsabilità  ordinaria dell’art. 2043 codice civile, ma perché la responsabilità  dei custodi è presunta e oggettiva salvo che dimostrino l’accidentalità  e l’imprevedibilità  dell’evento che ha causato il danno (si veda in questo senso la giurisprudenza per danno da custodia di beni demaniali e in particolare Cassazione civile, sentenza n. 15384 del 2006).

 

La responsabilità  amministrativa

 

Nelle ipotesi in cui, invece, l’azione di sussidiarietà  è sostenuta attivamente da soggetti pubblici sottoforma di sussidi o di fornitura di beni materiali pubblici o attraverso la messa a disposizione di servizi tecnici entra in gioco anche una responsabilità  amministrativa a carico del decisore pubblico che ha deciso in tal senso. Se infatti risorse pubbliche, economiche, materiali o immateriali, sono messe a disposizione di agenti privati in azioni di sussidiarietà , il dirigente pubblico che ha assunto questa decisione deve giustificare tale scelta per non incorrere in responsabilità  da danno erariale. Si potrebbe obiettare, infatti, che l’amministrazione ha favorito un gruppo di cittadini a scapito di altri. Questo finisce per inibire le amministrazioni pubbliche inducendole a impedire esperienze di sussidiarietà . Sebbene non siano numerose le sentenze in questa direzione, non mancano pronunce della Corte dei conti che giustificano sulla base del principio di sussidiarietà  orizzontale sostegni di enti pubblici a privati quando sia dimostrato che l’azione sostenuta persegue interessi riconducibili ai fini istituzionali dell’ente pubblico.

 

In altre parole, se si dimostra che l’interesse generale tutelato da un gruppo di cittadini non confligge con gli interessi pubblici perseguiti dall’amministrazione, il sostegno attivo esime da responsabilità  i decisori pubblici (si veda, ad esempio, Corte dei conti, Lombardia, 13 giugno 2011, n. 349; si veda anche il parere della medesima sezione della Corte dei conti n. 89 del 2013). Si pensi, ad esempio, alla gestione di impianti ricreativi e ludici da parte dei cittadini sostenuta dalle pubbliche amministrazioni.

 

Gli obblighi di trasparenza

 

Infine, gli agenti nelle esperienze di sussidiarietà  sono tenuti a dar conto delle proprie azioni, della propria organizzazione e dei rapporti con terzi nei confronti di chiunque abbia accesso al bene curato per interessi generali. Chi, cioè, agisce per tutelare un bene di interesse generale non ha il diritto di opporre la riservatezza di dati e informazioni che attengono alle proprie iniziative e alla propria organizzazione. La trasparenza prevale su ogni principio di riservatezza, ancorché qui si parli di gruppi privati. In questo senso il d.lgs. 33 del 2013 può essere ritenuto applicabile solo nel caso in cui si tratti di iniziative che utilizzano vantaggi economici da parte delle pubbliche amministrazioni. Nelle ipotesi di azioni di sussidiarietà  non contrastate si può fare riferimento a principi generali e in particolare a quello di trasparenza, per cui si deve ritenere opponibile da parte di chiunque il rifiuto di cittadini che abbiano preso in cura un bene di interesse generale di fornire informazioni correlate a tale azione.

 

Intorno a queste basi può essere costruita una teoria della responsabilità  per la cura di interesse generale cui si ricollegano naturalmente anche dei diritti, primo tra tutti la possibilità  degli agenti di agire in via giudiziale per tutelare il bene e il suo utilizzo a fini di interesse generale.