Quattro casi per leggere il secondo welfare in Italia

E' necessario un modello di governance in cui i diversi attori siano in grado di dialogare e soddisfare la domanda sociale

Il fiato corto del welfare state

Se con la fine della seconda guerra mondiale e l’eccezionale sviluppo economico che ne seguìsi afferma in tutta Europa il modello tradizionale del welfare pubblico, a partire dagli anni Settanta, con la crisi energetica, il sistema tradizionale fatica a “respirare”. I governi nazionali si vedono costretti a “ricalibrare” il welfare state, un processo che sempre più spesso comporta tagli alla spesa pubblica. Di contro, crescono i bisogni sociali a cui dare un’adeguata risposta. E da sole le istituzioni faticano.

Secondo welfare: il caso del welfare aziendale

Diventa necessario, pertanto, ripensare ad un nuovo modello di governance in cui i diversi attori, pubblici e privati, siano in grado di dialogare e offrire idonei beni e servizi in grado di soddisfare la domanda sociale. In questa direzione andrebbe una nuova forma di welfare, che non si sostituisce, ma si affianca al modello tradizionale: il secondo welfare. Un sistema che vede nuovi soggetti accanto alle istituzioni pubbliche nell’erogazione di beni e servizi.

Tra questi attori un ruolo importante viene ricoperto dalle imprese “che hanno potenzialità  in termini di risorse economiche e organizzative per implementare quelle politiche aziendali a favore della sostenibilità  – sociale e ambientale – che rientrano oggi nell’ampio concetto di corporate social responsibility”, si legge nel paper.

In particolare si parla di forme di welfare aziendale, ovvero “l’insieme di benefit e servizi forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorarne la vita privata e lavorativa”. Il saggio prende in esame quattro casi specifici:

  • Luxottica,
  • KME – azienda metallurgica,
  • ATM – Azienda Trasporti Milanesi,
  • SEA – aeroporti Milano.

Luxottica, ad esempio, ha dato il via ad un sistema di welfare che punta ad integrare i salari più bassi attraverso misure che prevedono il “carrello della spesa”, la polizza di assicurazione sanitaria, il rimborso dei libri di testo e borse di studio. Dal 2011, il nuovo contratto aziendale integrativo prevede anche misure di job sharing familiare, la possibilità  per il coniuge o per i figli di sostituire il dipendente per un periodo di tempo e forme di work-life balance. Un pacchetto che viene definito all’interno di un Comitato di governance composto in misura paritetica da azienda e parti sindacali. Le risorse vengono stabilite sulla base di un indicatore collegato all’aumento della qualità  nella produzione.

Una diversa situazione vede protagonista l’azienda metallurgica KME i cui stabilimenti sono considerati tra gli esempi più riusciti del fenomeno dei “paesi-fabbrica”; insediamenti che forniscono tutti i servizi ai dipendenti. L’azienda nel tempo ha cercato di recuperare la sua tradizionale attenzione alla “persona”, passando da una visione paternalistica ad un nuovo welfare aziendale in cui il lavoratore sia parte attiva. Sforzo che si è concretizzato con la nascita di Dynamo Camp, un campo estivo per bambini affetti da patologie gravi e croniche sorto all’interno di una vecchia fabbrica del gruppo, esempio di imprenditoria sociale a vantaggio della collettività .

Altro caso preso in esame è quello di SEA aeroporti Milano che ha rinnovato il proprio sistema di welfare aziendale istituendo l’associazione NoiSea per la gestione unica del welfare. “I dipendenti beneficiano di un sistema di prestazioni che, a differenza delle iniziative per il benessere dei lavoratori introdotte e gestite unilateralmente dall’azienda, è ben più solido e difficile da modificare in caso di eventi come un cambio alla guida della compagnia”.

Mentre ATM Azienda Trasporti Milanesi società  per azioni, di proprietà  del Comune di Milano, ha realizzato nel tempo diversi servizi per i dipendenti come l’asilo nido aziendale, campagne di prevenzione medica e piani di flessibilità  per i genitori. Ma la novità  è rappresentata dalla nascita, nel 2005, di un team di professionisti come psicologi a sostegno dei lavoratori. Una sorta di “patto di reciprocità ” che lega l’azienda al singolo dipendente, il quale accetta l’aiuto per risolvere i propri problemi (economici o familiari). Iniziativa che ha causato qualche tensione con le parti sindacali.

Verso un welfare mix?

I casi presi in esame nel paper, dunque, dimostrano che nuovi soggetti, come le imprese, in partnership con gli enti locali possono contribuire a dare risposte a nuovi e vecchi bisogni dinnanzi alla crisi del welfare state. Si va, quindi, verso un welfare mix caratterizzato dall’ingresso di attori privati come fondazioni, volontariato, sindacati, associazioni datoriali, assicurazioni, cooperative e aziende nell’ “arena del welfare”? Sembrerebbe di sì.

gallo@labsus.net

Twitter: @AngelaGallo1

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