Speranza e ottimismo dall'analisi dei dati ISTAT

il dato da cui partire è senza dubbio quello che indica la costante crescita della globalità  delle cifre del non profit

Ciò che va premesso è la difficoltà  di un’analisi precisa dovuta al grande numero di realtà , molto diverse fra loro, che presentano solamente due criteri di inclusione comuni: la non distribuzione degli utili tra gli aderenti e la loro natura giuridica privata. Inoltre, gli innumerevoli significati attribuibili al termine ” volontario ” , non consentono un dettaglio accurato.

Un settore in costante crescita

Alla luce di questo, il dato da cui partire è senza dubbio quello che indica la costante crescita della globalità  delle cifre del non profit, a cominciare dal numero degli enti censiti (+28%) sino ad arrivare al personale remunerato (+39.4% rispetto al 1991) e ai volontari del settore, seppur caratterizzati da differenti tassi di crescita. L’aspetto che però desta perplessità  è il mero calcolo quantitativo ( ” chi opera nel settore ” ) del censimento, a discapito di quella che sarebbe stata una più fruttuosa indagine qualitativa ( ” come si opera ” ), che avrebbe garantito un’analisi maggiormente vantaggiosa.  Un settore eccessivamente sottovalutato, secondo l’autore, a fronte dei  957.124 lavoratori occupati, di cui un 71% è formato da personale dipendente ed il restante 29% comprensivo di addetti a consulenze, lavoratori a progetto ed interinali. Un aumento globale, che tocca le varie branche del settore, raggiungendo spesso picchi inaspettati: è il caso, ad esempio, del settore “filantropia e promozione del volontariato” che ha fatto registrare un +408,6% rispetto al 2001. Va notato poi, lo stretto legame fra un universo come quello del non profit e la situazione socio-economica che lo circonda: i dati e le statistiche oscillano vertiginosamente a fronte degli scenari chiaramente offerti dalla crisi contemporanea.

La classificazione per settori

Il Professor Frisanco si sofferma poi su un’analisi della distribuzione per figure giuridiche del non profit, tutte in decisa crescita, seguendo la distinzione che ne fa il codice civile: le organizzazioni riconosciute (+9,8%), quelle non riconosciute (+28,7%), le cooperative sociali (+98,5%), le fondazioni (+102,1%, certamente il dato più significativo) ed i comitati (76,8%).  Analizzando le diverse tipologie di enti, si evince un ulteriore dato degno di nota che riguarda quel 65% di organizzazioni appartenenti al settore ” cultura, sport e ricreazione ” che, a detta di Frisanco, rappresenta però un settore troppo vasto che necessiterebbe di una scissione, in grado di fornire un resoconto più dettagliato ed attendibile.  I settori cresciuti maggiormente negli ultimi anni sono però quelli che, sotto l’aspetto quantitativo generale, non occupano posizioni di vertice: è il caso, come già  detto,  della  “filantropia e promozione del volontariato” (quasi triplicate) e “cooperazione e solidarietà  internazionale” (+149%).

Conclusioni e buoni auspici

Conclude il saggio un’analisi della distribuzione geografica degli enti, che riporta il consueto virtuosismo delle regioni settentrionali correlato alle debolezze del Mezzogiorno. Un dato emblematico che dovrebbe agevolare il desiderio di una ripartenza, realizzabile anche grazie alla spinta del non profit.  Colpisce poi la recente predilezione per i settori che concernono qualità  della vita e tempo libero e, al contrario, un diminuito appeal per quei settori più tradizionali e più marginali rispetto alla partecipazione attiva dei cittadini (associazioni sindacali, di rappresentanza, partiti politici, istituzioni religiose).  La sintetica conclusione che chiude il saggio ordina con cura i numeri, le valutazioni e i commenti evinti dal censimento e lascia, è il caso di dirlo, ben sperare per il futuro.

In allegato, il documento originale.

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