Leone, Maddalena, Montanari e Settis uniti nella dura denuncia

Il paesaggio, l'ambiente e l'arte del nostro Paese, divenendo mero strumento per giungere a sempre crescenti profitti, hanno spostato l'attenzione esclusivamente al nodo della proprietà 

I quattro saggi che danno corpo a questo libro ruotano attorno al fatto che elementi come ambiente, paesaggio e cultura furono annoverati dai nostri costituenti come principi fondamentali e che, a oggi, risultano accantonati nel dimenticatoio.

La mercificazione che li ha contraddistinti negli anni ne ha infatti inevitabilmente declassato il valore e la conseguente proprietà  comune, collettiva.

Nella lettura ci si affida, rispettivamente, alle parole di uno storico dell’arte, di un archeologo, di un giurista e di una giovane storica per cercare di comprendere origini, aneddoti e futuro di un articolo (il nono della nostra Carta) costretto a fungere da emblema dell’attuazione dell’epiteto che Calamandrei affibbiò alla Costituzione.

Il paesaggio, l’ambiente e l’arte del nostro Paese, divenendo mero strumento per giungere a sempre crescenti profitti, hanno spostato l’attenzione esclusivamente al nodo della proprietà  che li riguarda, obnubilando invece quel concetto di tutela e custodia, utile a garantirne un ” godimento ” costante da parte dell’intera collettività  mondiale. Il già  citato articolo 9 parla infatti di ” promozione ” e ” tutela ” non già  di ” proprietà  ” e ” vendita ” ; che arte, ambiente e paesaggio debbano svolgere una funzione è fuor di dubbio; ma è altrettanto fuor di dubbio che questa non possa ridursi a mero arricchimento delle casse dello Stato e che debba essere invece ben incanalata su binari che la identifichino come ” suprema funzione estetica e civile ” , cosìcome sancito dalla Carta fondamentale. A renderne inapplicato il contenuto sono stati i ” cavalli di Troia ” che portano il nome di ” valorizzazione ” , ” fruizione ” e ” gestione ” che nascondevano invece ben altri fini, volti ad abbattere il principio della pubblica tutela.

Si ritorna a raccontare gli esempi forniti dall’Antica Roma e dalla Repubblica di Venezia, baluardi nel pubblico mantenimento delle opere d’arte, per poter comprendere le parole che Tomaso Montanari (autorevole storico dell’arte) offre nel primo saggio: ” Il patrimonio artistico è un valore alternativo al mercato, a esso irriducibile ” .

La fotografia che Salvatore Settis, celebre archeologo già  direttore della Normale di Pisa, invia al lettore racconta di un paesaggio italiano storpiato da milioni di metri cubi di cemento, gettato senza pietà  sulle nostre terre e che, più che in ogni altro paese europeo, ha ridotto sempre più la superficie boschiva e colturale a disposizione della collettività .

Paolo Maddalena (magistrato, vice presidente della Corte costituzionale) si concentra sul tema dell’ambiente come bene comune, raccontando con magistrale lucidità , il destino cui è condannato il genere umano stretto fra il ” credere alle virtù del capitalismo ” e la ” necessità  di imporre limiti al suo funzionamento ” .

Chiude l’opera il saggio di Alice Leone, ricercatrice in storia contemporanea alla Normale di Pisa, che offre un resoconto dettagliato sulla nascita dell’articolo 9 e l’importanza che colsero i costituenti e che spinse loro a collocarne il contenuto proprio tra i principi fondamentali della nostra Carta.

Non può dunque non ribadirsi l’idea che si leva da queste pagine che ci ricorda l’importante ruolo sociale ed educativo che l’arte può svolgere. La tutela dei beni comuni, anche ad opera della collettività  stessa, garantirà  senza dubbio l’educazione e il rispetto dei pubblici beni, fornendo quindi una spinta decisiva nella trasmissione delle regole del quieto vivere collettivo.

Si evince dunque la necessità  di fare tesoro delle parole del più volte citato Bianchi Bandinelli che già  nel 1947 ricordava ai costituenti di ” non lasciare che la potestà  di tutela, di interesse nazionale, scivoli dallo Stato centrale alle Regioni ” abbandonando definitivamente quella che, in questo caso, appare una vana rincorsa ad un’inutile sussidiarietà  verticale che risulta decisamente controproducente.

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