Soggetti pubblici, privati e del terzo settore possono decidere di responsabilizzarsi rispetto al governo dei beni comuni, pur non avendo alcuna responsabilità  politica formale, ma spingendo di fatto verso precisi scenari di sviluppo futuro

Da sposi a coppie di fatto: questa è una delle trasformazioni sociali che più caratterizzano i nostri tempi. La domanda è se una simile dinamica si stia innescando in tema di governo della città  e del territorio. E’  evidente che sempre più coppie a cui viene chiesto ” siete sposati? ” rispondono di no, ma vivono la quotidianità  di due perfetti sposi. Più nascosto è invece il fenomeno di coloro che risponderebbero di no alla domanda ” siete stati eletti? ” , quando per molti versi potrebbero essere definiti amministratori di fatto.

Il paragone può sembrare improbabile, ma si sostanzia di argomentazioni a partire dagli ” Otto principi del buon governo delle risorse collettive ” messi a punto da Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia nel 2009. Questa è la sede per riprendere il suo ottimo interrogativo di partenza: quando il governo dei beni comuni funziona in modo stabile e quando no? E’ anzitutto curioso notare che la struttura delle otto risposte a questa domanda rifugge dalla anglosassone e rigida sequenza soggetto+verbo+complemento oggetto. In particolare, e contro ogni regola, sparisce il soggetto. L’obiettivo di smontare la logica stato-mercato, calcificatasi durante tutto il XX secolo, è stato probabilmente perseguito dalla studiosa statunitense a partire dal rivoluzionare la grammatica stessa dei suoi enunciati fondamentali.

Otto enunciati da Nobel in cerca di soggetto

Gli otto principi sono descritti facendo sempre seguire al verbo “definire chiaramente” gli otto oggetti strategici: 1. i confini fisici, 2. il rapporto tra le regole e il contesto locale, 3. i metodi di decisione collettiva, 4. il controllo sulle condizioni e sui comportamenti, 5. le sanzioni progressive, 6. i meccanismi di risoluzione dei conflitti, 7. il diritto all’auto-organizzazione, 8. l’organizzazione su più livelli d’uso al fine di ridurre la complessità  dei problemi e lavorare sulla fiducia. Attenzione: nessun soggetto viene mai specificato, con l’unica eccezione del settimo principio, in cui si specifica, in negativo, che “le autorità  governative esterne non devono interferire” . Perché un’economista da Nobel si concentra su “cosa e come” evitando accuratamente il ” chi ” ? La lettura più semplice è certamente quella per cui il soggetto sottinteso dalla studiosa sarebbero le comunità  che cooperano per (auto)gestire le risorse collettive.

Ma sono certamente possibili, per non dire stimolate da cambiamenti culturali epocali, altre interpretazioni. Cosìcome l’inesorabile calo dei matrimoni nella nostra società  non è unicamente imputabile a una crisi puramente religiosa, allo stesso modo forme alternative di governo dei beni comuni non si alimentano solo di sfiducia politica. Con il suo omettere i soggetti, la Ostrom evita di attribuire a profili già  conosciuti una galleria di protagonisti che potrebbe riservare novità , coerentemente con il suo approccio empirico e con il suo motto per cui esisterebbero molte soluzioni per far fronte a molti problemi.

Il governo di fatto dei beni comuni

In linea con questo approccio, e considerando i diversissimi profili di chi sta rispondendo con entusiasmo da ogni parte d’Italia al “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministratori per la cura dei beni comuni” , può essere utile introdurre un soggetto nuovo: l’amministratore di fatto. Non è un politico, ma fa politica. E allora chi è? Per definirlo si potrebbe costruire una tassonomia coi criteri più diversi.

Potremmo iniziare a cercare amministratori di fatto già  dentro ai municipi: chi ne ha esperienza diretta sa che dirigenti e dipendenti comunali hanno talvolta un ruolo sostanzialmente politico, oltre che formalmente tecnico. Per non parlare di chi aveva un ruolo politico e non ce lo ha più, ma di fatto continua ad averlo.

Ma certo la definizione “amministratori di fatto” rimanda immediatamente a quei soggetti della società  responsabile che stanno fuori dalle sedi governative istituzionali, ad esempio nei luoghi dei servizi pubblici: non sono forse le scuole potenti motori di svolte politiche, dove capita che presidi-studenti-insegnanti-genitori non solo si auto-organizzino   per contrastare il degrado, ma costruiscano anche nuove strategie scolastico-educative, non solo locali e di ampio respiro?

La sfera privata, insieme a quella del terzo settore, sono a loro volta popolate da amministratori di fatto. I più cinici penseranno subito ad operatori del settore immobiliare che sono stati per decenni al timone delle politiche urbane e territoriali. O agli scandali che hanno investito la cooperazione. Ma certo non basta parlare di ” amministratori di fatto ” per mettersi dalla parte dei buoni, prendendo le distanze dai cattivi decisori politici. Attenzione a non andare fuori tema: il punto è che soggetti pubblici, privati e del terzo settore possono decidere di responsabilizzarsi rispetto al governo dei beni comuni, pur non avendo alcuna responsabilità  politica formale, ma spingendo di fatto verso precisi scenari di sviluppo futuro.

Innovatori fondamentali, ma un po’ nascosti e non troppo consapevoli

Pensiamo ad esempio a quella galassia di studi professionali, aziende e organizzazioni (non) profit che costruiscono reti locali ed europee su temi come lo sviluppo turistico sostenibile o l’incentivazione di sistemi collaborativi di trasporto pubblico. Non si tratta di sindaci, di assessori al turismo o alla mobilità , ma di persone che – al pari di amministratori politici virtuosi – indicano alle politiche settoriali di valorizzare i beni comuni (dal nostro patrimonio alla qualità  dell’aria che tutti respiriamo).

La definizione di “amministratore di fatto” aggiunge qualcosa a quella di “cittadino attivo” o di soggetto/gruppo che partecipa a processi di sviluppo della città  e del territorio, nel senso che gli attribuisce una intenzionalità  politica. Quest’ultima al momento resta nella maggior parte dei casi implicita, sottaciuta dai media e sottostimata a partire dagli stessi protagonisti del cambiamento culturale in atto. Invece è importante incominciare a parlare di chi si interessa al governo duraturo dei beni comuni, con energia nuova, capacità  di fare rete e massa critica, creatività  tutta italiana, alleanze mai tentate tra intelligenze di tipo diverso, sperimentazioni interdisciplinari, o semplice voglia di iniziare a gestire un problema quotidiano rifiutando di delegarne la soluzione, come atto politico consapevole. Chiamiamoli “amministratori di fatto” .