L'intervento del Prof. Arena alla trasmissione "Siamo Noi"

L ' Italia è un Paese pieno di energie che non vedono l ' ora di essere dispiegate e che non vanno assolutamente sprecate né ostacolate

A partire dall’esperienza del regolamento sulla cura condivisa dei beni comuni, lanciato da Labsus con la prima sperimentazione nella città  di Bologna, il presidente di Labsus traccia un quadro sul concetto di beni comuni e sui cambiamenti in atto nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione nel corso della trasmissione “Siamo Noi” andata in onda su TV2000 il 9 giugno.

Prof. Arena, il tema del bene comune è centrale per Labsus. Le chiederei di ricordarci cosa è e di cosa tratta.
Labsus in sé è uno strumento: un sito, un’associazione, un centro di ricerca che promuove, in maniera del tutto volontaria, la cura dei beni comuni, materiali e immateriali, da parte dei cittadini che, insieme, migliorano i luoghi in cui vivono. Ciò che a mio avviso è interessante, è che il bene comune è un concetto astratto, ma nel momento in cui ci si occupa dei beni comuni, quello stesso concetto si realizza concretamente ” .

Parlando di sussidiarietà  c’è un incrocio tra l’amministrazione e i cittadini, che spesso vengono visti solamente come semplici soggetti amministrati e che, invece, possono essere dei preziosi alleati. Dal punto di vista culturale, questa grande novità  stenta a decollare?
Assolutamente no! E’ vero che le pubbliche amministrazioni, com’è giusto che sia, continuano a percepire se stesse come fornitrici di servizi, ma è anche vero che ci sono molte persone che, con entusiasmo, cominciano ad uscire dalle proprie case, iniziando a prendersi cura dei luoghi in cui vivono. L’Italia è un Paese pieno di energie che non vedono l’ora di essere dispiegate e che non vanno assolutamente sprecate né ostacolate.

Sono tante le amministrazioni comunali che hanno adottato il Regolamento volto alla collaborazione congiunta con i cittadini. Una cooperazione per il recupero e la rigenerazione di quelli che vengono definiti beni comuni urbani. Insomma: qualcuno si è rimboccato le maniche. Ci fa qualche esempio?
Quaranta sono i Comuni che hanno adottato il Regolamento e settanta, tra cui Milano, Torino e Roma sono in procinto di adottarlo. All’interno del sito web di Labsus ci sono oltre quattrocento casi, ma se dovessi sceglierne uno in particolare, le porterei l’esempio delle scuole. Molte sono le storie di insegnanti, alunni e genitori, che collaborano per migliorarle attraverso progetti educativi. Riprendendo le parole di Don Milani, credo che i ragazzi coinvolti vivano l’impegno con un fine nobile e non a caso abbiamo più volte parlato di cura, mai di manutenzione ” .

Perché la scuola è un luogo importante per la rivalutazione dei beni comuni?
Da un lato, perché è il luogo in cui gli adulti trasmettono ai più giovani una visione del mondo, di quello che significa stare nella società  e da questo punto di vista è importante che negli ultimi anni si sia riconosciuto che la scuola è anche degli studenti, che la vivono tutti i giorni e se ne prendono cura; dall’altro, perché è un bene comune tanto materiale, come edificio, quanto immateriale, come offerta formativa, perciò è rilevante che ci siano esperienze di genitori che, insieme agli insegnanti, partecipino alla sua costruzione”.

Nel bene comune c’è qualcosa in più

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Quando ci si prende cura dei beni di tutti c’è un linguaggio meravigliosamente comune, che annulla ogni tipo di differenza. E’  d’accordo?
Prendersi cura dei beni comuni è come prendersi cura di un bambino, qualcosa che nasce istintivamente. A mio avviso, siamo di fronte alla messa in moto di un meccanismo simile, per cui farlo è inevitabile. Nel caso di persone che vengono da altri paesi, sembra ancora più sorprendente che si preoccupino di beni comuni italiani. In questo senso è vero: c’è un linguaggio universale nell’attitudine alla collaborazione partecipata ” .

Dove c’è disagio sociale, dunque potenziali situazioni di conflitto, anche lìla presa in carico del bene comune e la collaborazione attecchiscono e funzionano.
Quando le persone fanno insieme qualcosa, è proprio lìche si creano legami, si riconoscono le capacità . E soprattutto, si riconoscono tra loro, anche se fino al giorno prima ci si considerava estranei. Ed è questo che mi piace, che l’interesse per il bene comune non sia qualcosa di cui si discute e basta, ma una proposta concreta, che porta a risultati concreti ” .

Prendersi cura del bene comune è anche un fattore che contribuisce alla sicurezza, con conseguente diminuzione di costi sociali.
Anche in questo senso, certo. Non parliamo, però, di sicurezza intesa come ordine pubblico, quanto piuttosto di un ambiente entro il quale le persone si sentono a proprio agio e si diffonde fiducia ” .

I protagonisti delle nostre storie sono i cittadini che, in maniera volontaria, spingono i vari comuni affinché un progetto si realizzi, ma c’è qualcosa in più: parliamo di partecipazione attiva, non solo di gestione del bene comune.
C’è sicuramente qualcosa in più. L’alleanza tra amministrazione e cittadinanza deve avere come presupposto il fatto che entrambi i soggetti mettano del proprio. Non solo i cittadini ” .

Tradizioni e dialetti: beni comuni da custodire

Si può affermare che il bene comune viva anche nelle tradizioni popolari, attraverso cui si preserva e tramanda il senso comunitario del proprio essere?
Noi di Labsus abbiamo un piccolo mantra, secondo cui sono comuni quei beni che se arricchiti, arricchiscono tutti, se impoveriti, impoveriscono tutti. Tenendo a mente questo, le tradizioni popolari, come anche i dialetti, rientrano a pieno titolo nella definizione di bene comune, perché sono convinto che se smettessimo di tenerli in vita, diventeremmo tutti più poveri ” .

Abbiamo detto quale ricchezza costituiscono le tradizioni locali, ma dobbiamo fare un passo in avanti nel diffonderle in tutto il territorio italiano, nel renderle un collante che alimenti un senso di comunità  che è nazionale, ma varia al suo interno.
L’Italia ha una ricchezza straordinaria, basti pensare alla varietà  di dialetti presenti nel nostro territorio. Credo che il dialetto sia un fattore d’integrazione, soprattutto se pensiamo ai figli degli immigrati che, nati nel nostro Paese, lo parlano perfettamente ” .

La tutela di un bene comune migliora la qualità  di vita di ogni comunità  e prendersene cura è quasi come farlo per le persone a noi care. Quella che chiamiamo economia del dono migliora noi stessi, le nostre vite. C’è un bene, dunque, che non risponde alla somma dei beni di ciascuno di noi e custodire questo patrimonio collettivo attiva sempre un circuito virtuoso.

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