Quella del ventitré novembre di trentacinque anni fa è una giornata difficile da dimenticare. Novanta secondi: un intervallo di tempo cosìbreve, eppure cosìlungo, che ha cambiato per sempre le vite di sei milioni di persone.
E’ con questo tragico ricordo, che inizia la nostra intervista a Michele Jannuzzelli, sindaco di Castelnuovo di Conza (in provincia di Salerno), uno dei seicentottantasette Comuni distrutti dalla furia del sisma. ” Un disastroso sisma ” , dice Jannuzzelli, ” che distrusse la quasi totalità dell’abitato ” e, riferendosi alla popolazione, aggiunge che ” ebbe uno choc quasi irreversibile, sia per la perdita dei propri cari, che delle proprie case, vedendosi distrutta in un colpo solo tutta la propria vita: dagli affetti alle cose materiali, fino al proprio substrato culturale ” .
Ed è a questo punto che ci rendiamo conto di esser di fronte a un caso particolare, in cui l’adozione del Regolamento assume maggiore rilevanza rispetto ad altri casi. ” Le persone piombarono in uno stato d’infantilità , bisognosi di essere protetti e di poter contare sulle Istituzioni per risolvere qualsiasi esigenza, anche la più elementare. A distanza di trentacinque anni da quella funesta data, quel retaggio, seppur molto attenuato dal tempo, ancora sopravvive nella popolazione, che considera l’amministrazione comunale, ed in primis il Sindaco, quasi un pater familias, che tutto può e a cui tutto, dunque, si può chiedere.
La condivisione quotidiana
E la nostra intervista continua.
Quando ci siamo sentiti per telefono ha parlato di esempi di rigenerazione dei beni comuni urbani nel suo Comune, presenti già negli anni Settanta. Può parlarcene meglio?
Essenzialmente la nostra comunità era, ed è tuttora, una famiglia allargata. Basti considerare che, prima del sisma dell’Ottanta, il tessuto urbano era molto denso, con abitazioni arroccate le une sulle altre (il classico paese presepe). Orbene, queste abitazioni avevano un uscio particolare, suddiviso lungo l’altezza in due parti: quella inferiore, generalmente chiusa e quella superiore, che durante il giorno rimaneva sempre aperta, consentendo l’affaccio dall’esterno all’interno e viceversa; ciò permetteva di instaurare rapporti sociali quasi intimi tra le varie famiglie, che abitavano lungo le strette vie e che condividevano praticamente tutto il (poco) patrimonio a loro disposizione.
In questo quadro, le vie comunali assurgevano a percorsi ” interni ” di cui ognuno aveva cura, mentre patrimoni più estesi erano gestiti da volontari che ne curavano ogni dettaglio: in particolare vi era una signora che gestiva splendidamente i giardini pubblici, rendendoli un vero e proprio gioiello. Del resto, il personale comunale assommava in pratica a tre unità : un amministrativo, un netturbino/necroforo ed una guardia, per cui la cura e gestione del territorio da parte della sola Amministrazione era materialmente impossibile.
Come mai la proposta del Regolamento di Labsus?
Sin dal mio insediamento, a maggio del 2014, ho sentito la necessità di coinvolgere di nuovo la cittadinanza nella gestione dei beni comunali, sia informalmente, con azioni di convincimento diretto, che attraverso uno strumento amministrativo che ne regolasse l’attuazione. Questo, per favorire la ricrescita civica della popolazione, per indirizzarla verso una nuova maturità , facendone risvegliare quella coscienza, purtroppo persa, di possesso del proprio territorio, che era molto presente prima del sisma; per riportare le persone ad essere di nuovo interpreti attivi della gestione e della manutenzione territoriale, sconfiggendo definitivamente il passivismo ereditato a seguito del terremoto del 1980.
Ho proposto la bozza del Regolamento ai membri della mia maggioranza, che subito si sono dimostrati molto entusiasti dell’iniziativa, cosicché nella seduta del Consiglio Comunale del 13 agosto scorso, con la Deliberazione n.26, il Regolamento è stato approvato all’unanimità , anche con i voti dei consiglieri di opposizione, che nel condividerne le finalità ne hanno apprezzato la generale validità .
Il bene comune
Alcuni cittadini si chiedono il motivo per cui dovrebbero collaborare con l’amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, ritenendo che questo rientri nei compiti della sola amministrazione. Che cosa pensa a riguardo?
Penso che ogni cittadino debba sentirsi azionista e partecipe del proprio Comune, al di la degli amministratori che ne hanno la gestione. E in tale qualità sembra banale sottolineare che l’aspirazione all’aumento di valore delle proprie ” azioni ” sia un obiettivo preminente; si può spingere ” l’indice ” verso il segno positivo sia con atti di stimolo nei confronti degli amministratori, ma anche, direttamente, con un generale comportamento virtuoso, che comprenda anche la responsabilità di gestione condivisa dei beni pubblici.
Cosa vuol dire per lei ” bene comune ” ? E quale aspetto o articolo del Regolamento la colpisce di più?
Nell’accezione usata in questo contesto, per ” bene comune ” intendo il patrimonio municipale territoriale urbano e rurale nella sua globalità . Ciò che maggiormente mi colpisce è l’articolo 4 – ” I cittadini attivi ” , nel punto in cui si specifica che l’intervento di cura e di rigenerazione dei beni comuni urbani, viene inteso quale concreta manifestazione della partecipazione alla vita della comunità e strumento per il pieno sviluppo della persona umana.
In che modo l’approvazione del Regolamento è stata comunicata ai cittadini?
L’approvazione del Regolamento è stata comunicata ai cittadini, illustrandone le opportunità , attraverso i consueti canali istituzionali, ma anche in maniera diretta, innescando il conseguente passaparola.
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