Democrazia diretta e pianificazione urbanistica

La consultazione dei cittadini è fattore di legittimazione delle attività  pianificatorie e territoriali

La sentenza
La novella del 2015 ha toccato i criteri per l’applicazione agli enti delle confessioni religiose diverse da quella cattolica delle disposizioni riguardanti la pianificazione, il finanziamento e la realizzazione di edifici di culto e di attrezzature destinate a servizi religiosi. I dubbi di incostituzionalità  sono sorti in ragione del fatto che tali disposizioni possono applicarsi nei confronti degli enti di quelle confessioni religiose per le quali non sia ancora stata stipulata un’intesa con lo stato solo a condizione che essi riescano a soddisfare determinati requisiti e che sia stipulata apposita convenzione a fini urbanistici con il comune interessato.
Inoltre, le disposizioni cosìcome riformate fanno espresso riferimento alla facoltà  riconosciuta in capo ai comuni di sottoporre il piano delle attrezzature religiose a referendum. Ne conseguirebbe che la possibilità  di destinare determinate aree a tali attrezzature sarebbe subordinata a decisioni espressione di maggioranze politiche o culturali, circostanza che potrebbe mettere in secondo piano la tutela del diritto costituzionale al libero esercizio del culto, egualmente riconosciuto a tutte le confessioni religiose a prescindere dalla stipulazione di una intesa con lo stato. Tanto più che l’ampia formula dell’art. 19 Cost. consente di ricondurvi tutte le manifestazioni di culto, compresa l’apertura di templi e oratori. Per la Regione Lombardia, d’altro canto, la facoltà  per i comuni di sentire i propri cittadini non altera in alcun modo le competenze degli enti locali, ma si limita a suggerire un possibile modulo di consultazione, che non è estraneo alle attività  pianificatorie e territoriali ma, anzi, ne costituisce fattore di legittimazione, in coerenza con il principio di sussidiarietà  orizzontale previsto dall’art. 118, comma quarto, Cost.

Il commento
Il giudice costituzionale, dichiarando tale questione inammissibile, accoglie di fatto le controdeduzioni della Regione Lombardia. Nelle motivazioni della sentenza i giudici sostengono che le suddette disposizioni sono – in considerazione del loro chiaro tenore testuale – prive di forza precettiva autonoma e che in alcun modo presentano caratteri innovativi. Piuttosto esse hanno carattere meramente ricognitivo poiché non modificano in alcun modo il procedimento di approvazione del piano, né incidono sulla disciplina dei referendum comunali, limitandosi a rinviare a quanto già  previsto dalla rilevante normativa locale e nazionale.
Perciò, nell’esercizio della funzione di pianificazione territoriale, può essere legittimante esercitata, dagli enti competenti, la facoltà  di ricorrere a forme allargate di partecipazione, che includano la comunità  dei residenti i quali possono esprimere la propria volontà  attraverso strumenti di democrazia diretta quale è il referendum popolare consultivo. L’aspetto maggiormente degno di nota della pronuncia è dunque il tacito accoglimento dell’esistenza di un nesso, individuato dalla difesa della Regione Lombardia, tra la facoltà  di indire referendum consultivo su un atto di pianificazione urbanistica e il principio di sussidiarietà  orizzontale espresso dall’art. 118, c. 4, Cost. Come ad ammettere implicitamente che nelle scelte relative al governo del territorio sono in gioco interessi generali, non esclusivamente pubblici o privati, e che l’ente locale titolare della competenza può liberamente e legittimante decidere di prevedere un’ulteriore fase procedimentale. Questa assume le forme di un coinvolgimento dei cittadini che prendono posizione sull’assetto degli interessi ed esprimono un giudizio sul bilanciamento svolto dall’ente locale.

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Veneto, ord., 18 giugno 2008, n. 435