Il regolamento di Pisa per l’amministrazione condivisa
Labsus ha già avuto modo di dare notizia dell’approvazione del regolamento per l’amministrazione condivisa di Pisa. Se torna ora ad occuparsene, procedendo a un’analisi dettagliata del regolamento, è perché, da un lato, Pisa è una città importante del nostro paese e capace spesso di intercettare i fenomeni più innovativi sociali e istituzionali e, dall’altro, perché Pisa è stato un laboratorio interessante dei fenomeni sociali attivi e anche di occupazioni di spazi e beni dismessi che hanno suscitato ampie discussioni.
In questo contesto l’approvazione del regolamento riveste grande importanza perché segnala come, attraverso un percorso partecipativo, la città , nelle sue componenti istituzionali e sociali, ha individuato questo strumento quale terreno di confronto per regolare queste esperienze.
Il regolamento di Pisa ricalca negli schemi generali i regolamenti che la sezione diritto ha spesso commentato per altri comuni, ma presenta anche – come è giusto che sia – delle specificità che meritano di essere evidenziate. Ci si sofferma, dunque, sugli aspetti in cui il regolamento di Pisa presenta maggiori differenze dagli altri regolamenti analoghi e, sotto altri profili, ci si soffermerà anche su punti che lasciano qualche margine di ambiguità che potranno essere risolti solo in fase applicativa.
I profili maggiormente innovativi
Tra gli aspetti di maggiore innovazione va segnalato il deciso investimento che il comune intende porre sullo strumento del patto di collaborazione. Ciò è innanzitutto evidenziato dalla coraggiosa scelta di puntare sulla semplificazione amministrativa. E, infatti, non solamente Pisa, come altri comuni (vedi per esempio, Trento e Brescia), prevede che alcuni patti possano essere conclusioni attraverso mera adesione, con un consenso predefinito, come si legge nell’art. 10, c. 4, ex ante, ma impegna l’amministrazione e i suoi dirigenti a individuare le pratiche e le attività che per la loro frequenza e facilità nella predeterminazione dei presupposti presentano le caratteristiche adatte per questi patti semplificati. Quindi c’è l’impegno da parte dell’amministrazione di costruire esemplificazioni di patti semplici che richiedano limitati adempimenti amministrativi. L’art. 24 prevede, perfino, la pubblicazione per via telematica di manuali d’uso per rendere più facile la vita dei cittadini che vogliano cimentarsi nel prendersi cura di un bene o di uno spazio di interesse generale.
L’attenzione posta dal comune è ancora confermata dalle previsioni normative che riguardano la formazione (art. 16). In questa disposizione si stabilisce non solamente l’impegno per la formazione da riservare a cittadini attivi e a dipendenti del comune e ai partecipanti dei Consigli territoriali di partecipazione (Ctp), ma anche le opportune differenze relative alle finalità della formazione. Si prevede cosìche i cittadini attivi siano informati sulle condizioni tecniche degli interventi di cura, pulizia e manutenzione, acquisiscano informazioni sui rischi e sul corretto uso dei dispositivi di prevenzione, acquisiscano competenze sulla redazione della documentazione di rendicontazione e utilizzino le tecnologie informatiche civiche per assicurare piena conoscenza alla cittadinanza. Per gli amministratori e i partecipanti dei Ctp si prevede l’acquisizione di competenze per l’utilizzo di tecniche di mediazione e ascolto attivo, l’applicazione di metodologie per la progettazione partecipata e la conoscenza degli strumenti di comunicazione collaborativa. Insomma, un piano di interventi ben mirato e con precise finalità differenziate.
Altro aspetto da sottolineare è la disciplina riguardante la misurazione e la valutazione delle attività svolte nei patti. Il comune di Pisa, nell’art. 25, è più preciso di altri comuni nell’individuare gli obiettivi, i mezzi e le metodologie da impiegare fissando impegni precisi a carico dei cittadini attivi.
Infine, è apprezzabile il ruolo riservato ai Ctp quale organismo di partecipazione che è chiamato a esprimere una propria valutazione sui patti proposti dai cittadini. Quindi, essi non solamente sono valutati dagli uffici amministrativi comunali competenti, ma sono sottoposti a un apprezzamento di organismi dispiegati sul territorio dove partecipano componenti diverse anche della società civile. Il confronto è dunque non chiuso in una relazione binaria proponente-amministrazione, ma aperto anche all’apporto di ulteriori soggetti.
Profili in attesa di giudizio
Vi sono altri aspetti del regolamento che invece presentano ambiguità che potranno essere sciolte solo con l’applicazione pratica. In diversi punti del regolamento sembra possibile rinvenire un certo sbilanciamento a carico dei privati degli oneri di sostenibilità dei patti. Ad esempio, l’art. 15 stabilisce che gli interventi di rigenerazione devono avvenire mediante il contributo economico dei cittadini attivi, a cui spetta anche la presentazione di precisi documenti atti a descrivere gli interventi e le modalità che verranno impiegate. Che gli interventi di rigenerazione cosìcome quelli di cura prevedano oneri a carico dei cittadini attivi che intendano occuparsi di interessi generali, anche di natura economica, è fuori discussione, ma la precisazione dettagliata della norma può lasciare adito che si confonda il patto di collaborazione con un normale contratto pubblico. Il dubbio è ancora più forte se si associa la lettura di questo articolo con l’art. 18, il quale prevede che il comune possa permettere l’affiancamento del personale amministrativo ai cittadini attivi solo se l’iniziativa assunta da questi ultimi appaia adeguata in termini di risorse a disposizione.
A fugare questi dubbi non aiutano né l’aver lasciato nel regolamento il riferimento agli atti amministrativi di natura non autoritativa (art. 1, c. 3), né il fatto che il patto di collaborazione valorizzi anche gli interessi privati (art. 4, c. 5), disposizioni che Labsus oramai consiglia di abbandonare (vedi regolamento prototipo).
L’insieme di queste disposizioni potrebbe indurre l’interprete a ritenere che in certi casi il regolamento ponga deboli confini nella distinzione tra patti e contratti pubblici, il che è da scongiurare per numerose ragioni. C’è anche da dire che questa lettura non è l’unica possibile: l’art. 19, c. 2, per esempio, ribadisce che le attività dei cittadini sono spontanee e a titolo gratuito. Di fronte a queste disposizioni di segno non sempre univoco sarà decisiva l’attuazione. Labsus consiglia vivamente che sia posto il più deciso distinguo tra patti di collaborazione e contratti pubblici, anche perché in quest’ultimo caso si dovrebbe prevedere l’applicazione del codice dei contratti che ha tutt’altra natura.
Un altro nodo che dovrà essere chiarito in corso di applicazione riguarda l’individuazione dei beni oggetto dei patti di collaborazione. L’art. 6 sembrerebbe riservare alla Giunta, sia pure attraverso procedure partecipative che vedano il coinvolgimento dei Ctp, il compito di individuare i beni immobili del patrimonio pubblico da destinare alle azioni disciplinate dal regolamento. Questa impostazione sembrerebbe confermata anche dall’art. 14 del regolamento che ammette la possibilità di includere beni privati ad uso pubblico tra i patti di collaborazione, purché precedentemente inseriti nell’elenco previsto dall’art. 6. E’ evidente che questa impostazione deve aver risentito degli echi che si sono avuti in città delle occupazioni, come quella della fabbrica dell’ex colorificio.
Tuttavia anche questa interpretazione dovrà essere misurata nel concreto. Poiché, infatti, il regolamento non esclude che le proposte di patto provengano anche dai cittadini, non si può escludere che, se non con un’interpretazione irragionevole, l’oggetto di tali proposte concerna anche beni ulteriori rispetto a quelli dell’art. 6. D’altra parte come sarebbe possibile escludere ai sensi del regolamento una proposta che provenga da un proprietario di un bene privato che è disposto a garantirne un uso pubblico attraverso patti di collaborazione? Sebbene la formulazione delle due disposizioni sembra preordinata alla predefinizione dei beni oggetto del patto di collaborazione, anche se soggetta a periodica revisione, non è certo che questo sia l’unico esito possibile. L’attuazione potrebbe dare vita anche a soluzioni diverse.
ALLEGATI (1):