Un desiderio di un nuovo urbanesimo ed un giusto umanesimo: una promessa per Palmi agita nel presente dei suoi beni comuni. Un monito possibile per la Calabria.

Il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale supera il compito affidatogli dallo stesso ordinamento giuridico per la ripartizione delle funzioni e delle competenze amministrative tra cittadini e pubblici poteri, mediando il suo rapporto tra autorità e libertà nella condivisione dei patti collaborativi.

Antefatto: la città collettiva dei cittadini attivi

Tale declinazione della forma “orizzontale” del principio ha trovato una forte ragion d’essere nella pratica di governo urbano contemporaneo, rappresentando il vero “antefatto” di una nuova forma di città con i cittadini.
E’ un fenomeno nuovo o forse abbastanza antico, almeno nelle sue discussioni sempre riprese, che nel tentativo di tradurre nella pratica della cura dei beni comuni, quell’interesse generale che li rende né abbastanza pubblici, né mai privati, ha operato un’azione politica efficace ed orientata – quindi oggi raramente rintracciabile “dall’alto” -, realizzando quella che potremmo definire una vera e propria “ambizione del territorio dal basso”.
Trasferendo i cittadini da una dimensione “partecipativa” della delega ad un nuovo luogo della “reputazione”, dove ognuno è chiamato a prendersi cura di parte di un patrimonio, si formula una doppia richiesta: quella alla persona, di esercitare la fiducia reciproca e diventare cittadino attivo insieme alla comunità; quella alla città di essere “curata” e “rigenerata”, con azioni di gestione che vanno oltre la normale ed esigente amministrazione. Quel fare che deve divenire “condiviso” per produrre valore e collaborazione. Un “patto” capace di superare la faziosità di qualsiasi posizione per rimettere al centro della scena urbana e del territorio, l’interesse altrui e la città collettiva.
Tutto ciò, nell’esperienza della cultura della città contemporanea, capace di futuro e visioni, ha rappresentato il passaggio figurativo e concreto dalla immagine della città che educa a quella che consente la conoscenza. Dalle pratiche di learning city a quelle di Knowledge city, la città che fa attraverso i luoghi e l’azione di cittadini e organizzazioni riscopre il making city nell’opportunità di occuparsi della “gestione dei beni comuni urbani”, dandosi delle regole condivise, molte nate dai risultati delle azioni stesse e dalle pratiche esercitate. Ciò che trasforma la città in un laboratorio non sono più le programmazioni delle grandi trasformazioni o le grandi opere, ma la capacità di ritrovare un più responsabile “uso” della città da parte delle comunità che la abitano.
Occupandosi della cura e rigenerazione dei beni comuni, nessuno diventa proprietario della città e tutto il patrimonio, quello in uso e quello abbandonato, diventa potenziale bene comune, con una proposta sempre in attesa di riconoscersi in quel valore da attribuire, molto di più con “un’azione aperta di comune visione” tra amministrazione e cittadini, che con una decisione figlia di un programma politico concordato e accordato.
Nessun confine definisce la capacità della proposta e il suo patto, ma si individua solo “l’oggetto” dell’esperienza. Attraversando quello stesso confine, ognuno assume responsabilità nella sua posizione, non sentendosi consolato e/o difeso dalla propria certezza: lo statuto e la scusa della delega. I beni comuni urbani per la città collettiva non hanno confini e non li producono, si rivolgono ad una umanità sempre ospite del territorio e per questo ancora più portata a dover prestare attenzione alle modalità con cui lo stesso si mantiene sano e di tutti.

Risorse come Traiettorie: la dimensione della democrazia e la resistenza della sostenibilità

Praticando i patti di collaborazione nel tempo presente, si rendono le risorse (ambientali, sociali, economiche) oggetto della cura e della rigenerazione o strumento utilizzato per la cura e la rigenerazione, quale rinnovato patrimonio per il futuro. Ne deriva una duplice dimensione riferibile di tali risorse con riferimento ad un patrimonio materiale, che di fatto produce “nuove traiettorie” per condurre altri programmi, di natura immateriale, in grado di misurare la dimensione globale e locale della democrazia compiuta e della sostenibilità praticata. Si moltiplica, quindi, una nuova resistenza ai cambiamenti capace di muoversi e muovere ogni sentimento di partecipazione in maniera pro-attiva.

Tre traiettorie appaiono significative in tale direzione.

  1. La già riscontrata dimensione collettiva della città, che agisce sul patrimonio sociale rendendolo “civico”, è il valore aggiunto che si produce e che alimenta ogni esperienza e la sua successiva. L’azione diventa pratica e la pratica comportamento. Se ne produce un pensiero nuovo.
  2. La possibilità di produrre valore economico attraverso lo scambio, sharing economy, in uno scenario di grande crisi della disponibilità finanziaria quotidiana per la gestione della manutenzione della città a fronte delle opportunità di grandi investimenti per programmi complessi, in cui l’immateriale dovrebbe attivare risorse per il materiale. Una sorta di schizofrenia della competitività, a cui Enti e organizzazioni, dovrebbero adattarsi per non perdere alcuna occasione. Il tempo della manutenzione ordinaria del patrimonio ambientale e urbano quasi mai coincide con quello della gestione dei grandi programmi e così solo “la durata efficace” dei tempi delle azioni di cura e di rigenerazione dei patti, produce plusvalore economico.
  • La necessità di rimuovere gli ostacoli che non consentono la qualità della vita di ogni cittadino e comunità, soccorre i principi costituzionali, riformulando l’azione della “sostenibilità” espressamente diretta all’oggetto della cura. Una nuova resistenza della sostenibilità, che cerca nel breve periodo di rimuovere l’ostacolo per produrre qualità per l’ambiente, il paesaggio, i territori, la cultura, la salute, la legalità nei tempi in cui un cittadino e/o una comunità possono giovarsene e quindi nutrirne ogni possibile partecipazione e coinvolgimento. La resilienza capace di mantenersi sui percorsi delle prime due traiettorie.

Ne emerge una dimensione della democrazia e una resistenza della sostenibilità, il cui spessore e la cui durata è il calibro di una società pienamente realizzata e di una comunità organizzata, di cittadini che attivano quei patti che giustificano i regolamenti istruiti dalle amministrazioni. Il processo dal basso che non esclude la necessità che l’alto funzioni e si dichiari.

Esperienza come Responsabilità: “Palmi Condivisa” con l’amministrazione Ranuccio

La riflessione prodotta in questo editoriale per Labsus e narrata nei paragrafi precedenti non vuole essere un assunto teorico assoluto, ma esattamente il prodotto di un’esperienza attiva e messa in campo in occasione della delega all’Agenda Urbana, ai Beni confiscati e al patrimonio, che mi vedono impegnata da luglio 2017 a Palmi (RC), in qualità di assessore nell’amministrazione del giovane sindaco Giuseppe Ranuccio. Un incarico di giunta di natura tecnica, da esterna, ma che per l’oggetto dell’azione a cui sono chiamata, non può prescindere da quella missione politica di cui si è anche accennato in questa occasione di scrittura.
Il progetto “Palmi Condivisa”, quale piattaforma civica collaborativa fisica e virtuale di cui si è già data evidenza in Labsus, è l’esperienza che realizza il processo collaborativo di “amministrazione condivisa” per la gestione dei beni comuni urbani e dei beni confiscati alle mafie a Palmi.
Nei primi sei mesi dell’amministrazione Ranuccio il progetto ha preso l’avvio dalla necessità di aggiornare i regolamenti e le procedure gestionali. Il Regolamento sulla gestione dei beni comuni urbani ha preceduto nell’approvazione quello dei beni confiscati alle mafie, con un’intenzionalità in questa scelta politico-amministrativa che ha voluto evidenziare la posizione per cui “i beni confiscati alle mafie sono beni comuni”. Lo stesso articolato del regolamento ne richiama il significato e entrambi i regolamenti e le procedure trovano momenti di riferimento soprattutto nella parte di tracciabilità e trasparenza per il protagonismo dei cittadini attivi e degli affidatari, per le differenti forme di azione e gestione.
La piattaforma unica e condivisa a forte carattere collaborativo, i cui contenuti sono stati costruiti e ideati sulla posizione culturale e di pensiero, prima che gestionale, nasce essa stessa da un’esperienza pregressa sul campo, praticata. Quella condotta durante i miei studi e ricerche in Italia e all’estero sui temi dell’innovazione e della città-laboratorio e il making agito sui territori e con le comunità del Sud con i giovani dell’Associazione Pensando Meridiano negli ultimi 4 anni. Ciò ha reso possibile una ricerca degli obiettivi del progetto proposto per il Comune di Palmi insieme alla commissione assessorile, direttamente orientando l’esperienza alla massima condivisione con i cittadini, senza mai sostituire la necessità di interlocuzioni fisiche con quelle virtuali.

La firma dei patti di collaborazione a dicembre 2017 ha dimostrato come nella città di Palmi, ciò che ha avuto sempre un forte carattere di “generoso mecenatismo”, abbia ritrovato il suo sentimento collettivo nella condivisione e partecipazione ad una nuova “regola”. L’amministrazione nei suoi primi mesi di governo ha potuto giovarsi della formula condivisa e di scambio di risorse, rimuovendo quelle difficoltà proprie di un territorio vasto e straordinario nella sua diversità paesaggistica e ambientale, esigente dal punto di vista della cura e della manutenzione continua. “Palmi Condivisa” smette ogni giorno i vestiti della straordinarietà e si offre come strumento accessibile e flessibile per governare insieme la città e i suoi patrimoni. Le proposte che continuano ad essere formulate, cercano sempre una partecipazione differente dell’Amministrazione e coinvolgono in maniera differente i cittadini attivi.
Il Regolamento ha abbandonato il suo carattere prescrittivo ed è divenuto sempre più un “dispositivo abilitante” per attivare pratiche buone per la città e per il bene delle comunità. A dimostrazione che se è pur vero che la pratica della cura dei beni comuni non è un dato del tutto naturale in un tessuto sociale e produttivo amministrato da un Ente su delega dei suoi cittadini, oggi rappresenta la più seria opportunità con cui quegli stessi cittadini possono ritrovarsi “comunità” ed un qualsiasi territorio scoprirsi “città e paesaggio”, con un futuro ancora più condiviso e sicuro.
Un desiderio di un nuovo urbanesimo ed un giusto umanesimo: una promessa per Palmi agita nel presente dei suoi “beni comuni”. Un monito possibile per la Calabria.

Consuelo Nava è ricercatrice universitaria presso l’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e docente di Sostenibilità ed Innovazione del Progetto. Da luglio 2017 Assessore al Comune di Palmi (RC), con delega alla Programmazione e allo Sviluppo Sostenibile del Territorio in materia di: Pianificazione, Urbanistica, Agenda urbana; Beni Confiscati e Patrimonio; LLPP e Programmazione Bandi Competitivi e UE e Innovazione; Ambiente e Paesaggio.

[www.ergosudblog.com; www.pensandomeridiano.com; consuelonava70@gmail.com]

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