10 mila libri per sperimentare un modo diverso di vivere la città

Una strada di libri è una sfida al caldo estivo che invade i centri storici foderati di cemento e svuotati dagli alberi. Può essere un motivo crediamo valido per saltare un fine settimana al lago o nei boschi e per passare un po’ di tempo insieme. I libri stesi sul selciato sfidano anche il cambiamento climatico che fa sembrare una cittadina alpina come Trento una zona a influenza tropicale, con almeno un fenomeno piovoso (spesso di carattere monsonico) al giorno. Incrociamo le dita.
Una strada di libri è una sfida che arriva alla fine di due mesi ricchi di eventi, motivo che ci ha portati a collocarci tra giugno e luglio, nel bel mezzo dell’estate. FilmFestival della Montagna, Festival dell’Economia e Feste Vigiliane sono appuntamenti ormai tradizionali, che riempiono (di persone certo, ma anche di pesanti infrastrutture) piazze e strade. Adunata degli Alpini e – in maniera sorprendente per numeri e potenza del messaggio inviato – il recente Dolomiti Pride sono stati momenti di occupazione creativa e diffusa dello spazio pubblico, non abbastanza valorizzato e anzi spesso interdetto alla libera sperimentazione dei cittadini. Speriamo di  proseguire proprio sull’interessante rotta tracciata dal Pride, modello virtuoso di ricomposizione sociale, azione collettiva, condivisione cittadina.

Mille Euro. La scarsità che produce fantasia

Il progetto di Una strada di libri nasce diversi mesi fa dall’idea di replicare un’installazione realizzata nel 2016 a Toronto da un gruppo di artisti. Sensibilizzazione alla lettura e alla mobilità alternativa i due temi forti di quell’evento che abbiamo fatto nostri, applicandoli alla situazione di via Suffragio, sempre meno abitata e vissuta negli ultimi anni e da tempo diventata trafficata via d’ingresso al centro storico e congestionato parcheggio in Zona a Traffico Limitato.
Il bando TN18 (“Oltre le mura”, titolo della candidatura a Capitale Italiana della Cultura per il 2018) è il contesto dentro il quale ci siamo inseriti, ottenendo un piccolo finanziamento, dell’ammontare di 1.000 Euro. Da questo budget minimo ci siamo mossi immaginando di poter costruire – agendo nell’informalità e nella leggerezza della struttura organizzativa – un’ipotesi alternativa al modello festival che, come spiega Salvatore Settis, riduce lo spazio urbano a location, modificandone le caratteristiche saturandolo di palchi, luci, impianti, bagni chimici, ecc…
La scenografia di Una strada di libri saranno quindi 10.000 volumi appoggiati sulla superficie stradale e pochi altri elementi utili alla migliore fruibilità del quartiere, vero protagonista delle attività. Gli attori in scena saranno i cittadini che hanno deciso (da questo punto di vista centrale è il ruolo del coinvolgimento, dell’engagement), e decideranno, di prendere parte garantendo una necessaria e efficace moltiplicazione di energie oltre che una più ampia capacità di sviluppare impatti duraturi sulla comunità cittadina.
La scarsità è quindi un valore, un fattore generativo? Non esageriamo. Nel caso specifico ha funzionato la rete di singoli e organizzazioni che si sono messe a disposizione, ma in generale l’idea che l’attivismo culturale – inteso anche come pratica sociale e politica, capace di riprogettare le forme di convivenze civica – si possa ridurre a hobby, a esercizio a costo zero, rimane una pericolosa patologia che ne limita fortemente l’azione di chi in questo campo si impegna quotidianamente.

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La forza di 10.000 libri per trasformare la città

I libri (e le culture) cambiano le nostre vite. Lo fanno perché ci rendono cittadini più consapevoli e attenti, con strumenti migliori per interpretare ciò che ci succede attorno. Attivano meccanismi capaci di produrre cambiamenti nel presente e nel futuro. Jorge Mendez Blake ha descritto in maniera esemplare questo effetto nella sua opera “L’impatto dei libri”. Flaviano Zandonai, ospite di uno degli incontri a calendario, spiega come la cultura sia un potentissimo driver per la rigenerazione urbana:

La cultura è (o potrebbe essere) un formidabile condensatore di coesione sociale perché da un evento, uno scavo, una performance si possono innescare processi di costruzione di comunità, cambiando le regole d’ingaggio in senso più aperto e inclusivo. Inoltre la cultura svolge (o può svolgere) un ruolo disruptive rispetto a modelli di servizio sociale, sanitario, educativo spesso vittime di routine burocratiche che ne minano l’efficacia rispetto a un quadro di bisogni non solo ampliato ma fortemente mutato al suo interno.

In Via Suffragio i libri ruberanno lo spazio alle auto restituendolo a biciclette e pedoni. Diventeranno la base sulla quale sperimenteremo un modo diverso di vivere la città (interrogandoci su quale potrebbe essere il suo futuro con architetti, urbanisti, sociologi e abitanti) di giorno come di notte. I libri saranno il pretesto per riscoprirci cittadini, curiosi di come si può trasformare lo spazio pubblico – che troppo spesso intendiamo solo come prosecuzione del nostro spazio privato – in spazio comune, dove a fare la differenza sono le reti di relazioni che si fanno più fitte, la fiducia che torna a essere accordato al prossimo, la voglia di essere parte di qualcosa che si fa largo sfuggendo all’onda lunga dell’individualismo.

48 ore che sono solo un inizio

Ma quindi cosa sta dentro Una strada di libri? In due giorni – dalle prime luci dell’alba di sabato 30 giugno alla notte di domenica 1 luglio – una trentina di appuntamenti punteggeranno via Suffragio e i suoi dintorni. La via centrale, gli slarghi e i portici, i negozi e i bar, i vicoli e i muri. Workshop e laboratori, presentazioni con l’autore e gruppi di lettura, dibattiti e proiezioni, concerti e reading poetici. Tutto qui? L’ambizione è quella di smarcarsi dalla logica dell’evento, diventando piccola sperimentazione di quello che potrebbe essere – se si deciderà convintamente di esserlo – un ecosistema culturale e sociale che si prende cura della quotidianità urbana, partendo da esperienze culturali e creative (anche di tipo imprenditoriale, innovative e collaborative) che arricchiscano il contesto urbano, rendendolo più denso e vitale. Librerie e biblioteche, sale concerti e laboratori artigiani, circoli e botteghe di prossimità. Luoghi che producono incontro e fiducia, come ci ricorda Rena nella sua recente ricerca Trust in Progress.  La fiducia necessaria per affrontare con rinnovato ottimismo questi tempi complicati:

Quello che abbiamo bisogno di fare è riportare al centro del dibattito pubblico la necessità dell’incontro, anche se questo comporta conflittualità. Nessuno può più permettersi di rintanarsi. E la fiducia nell’altro e nelle istituzioni ci sembra essere una delle precondizioni per il ritorno alla vita pubblica di più soggetti possibili, singoli e collettivi, vecchi e nuovi [da Vita].

E’ nella prossimità dei quartieri che questo lavoro sociale – produttore di ricucitura di comunità sfrangiate e di messa a valore di energie spesso disperse – può avere successo, intercettando l’innovazione sociale e facendola impattare nella vita di cittadini e collettività. Proprio di questo parleremo domenica 1 luglio insieme a Labsus e altre realtà che nelle pratiche di prossimità all’interno dei contesti urbani impegnano le proprie giornate.

Da qui ci muoviamo. A cinquant’anni dal ’68 vale ancora uno storico slogan: Ce n’est qu’un début.