Come e perché sta cambiando la partecipazione civica? Report dal seminario di Sociologia a Roma

Il 20 e il 21 Settembre, presso il Dipartimento di Scienze Politiche della Sapienza di Roma, si è tenuto il convegno Politica, città e sistemi sociali organizzato dall’Associazione Italiana di Sociologia. All’interno della seconda giornata di studio si sono tenuti diversi workshop paralleli, tra cui il seminario Partecipazione civica e civismo politico nei contesti urbani. Verso una ridefinizione dello spazio pubblico. Il seminario ha rappresentato una grande opportunità di dibattito e confronto, caratterizzandosi in positivo per le idee e le proposte in agenda. Al termine dell’incontro abbiamo quindi intervistato Maria Cristina Marchetti, docente di Sociologia politica presso la Sapienza e una delle organizzatrici del workshop.

Sintesi degli interventi

Durante il suo intervento Paul Blokker, docente di Sociologia presso l’Università di Praga, pone in evidenza la marginalizzazione della dimensione partecipativa nella visione di costituzionalismo come limite al potere: visione parziale e in parte responsabile del populismo dilagante negli ultimi anni. In riferimento al caso polacco, Blokker individua diverse soluzioni, in particolare la resistenza giuridica, l’opposizione politica e l’intervento dell’Unione Europea.

Giovanni Moro, docente di sociologia politica presso l’Università Gregoriana di Roma, si sofferma sul sistema scolastico come aspetto cruciale per la socializzazione. Da un’analisi emerge che il 61% delle scuole secondarie nell’ultimo triennio ha realizzato progetti di educazione civica ma solo il 14,3% dei progetti scolastici riguarda i beni comuni. Dati che sottolineano alcune importanti assenze all’interno dei programmi scolastici e la necessità di porre al centro la partecipazione civica.

Capitalismo mafioso, economia civile e rigenerazione partecipata: questi i temi affrontati dal successivo intervento di Umberto di Maggio, che insegna Sociologia presso l’Università Lumsa di Roma. Rispetto al tema dei beni confiscati, Di Maggio pone in evidenza come la gestione del bene rimanga spesso imbrigliata nei cavilli burocratici, e come l’approccio prevalente preveda poco coinvolgimento dei cittadini all’interno del progetto.

Dopo aver tracciato un attento excursus relativo alla definizione di amministrazione, Daniel Pommier, docente di Sociologia presso la Sapienza di Roma, sottolinea invece il crescente coinvolgimento dei cittadini all’interno dei processi amministrativi. Il calo di fiducia nei confronti delle istituzioni e la notevole crescita dei gruppi d’interesse sono considerate dallo studioso le ragioni principali di questo fenomeno.

Tommaso Vitale, Andrea Ciarini ed Emanuele Polizzi, rispettivamente docenti di Sociologia presso l’Università Science Po, La Sapienza e l’Università degli studi Ecampus, presentano una comparazione tra Roma e Milano. I tre studiosi pongono in evidenza le mutazioni urbane dei due rispettivi casi prima e dopo la crisi del 2008, evidenziando le criticità e i progressi emersi.

Spazio pubblico, fiducia nelle istituzioni e beni comuni: alcuni dei temi affrontanti da Antonio Putini, docente di Sociologia dei fenomeni politici presso La Sapienza. Pier Paolo Zampieri, professore di Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università di Messina, traccia un excursus relativo alla mutazione urbana della città dopo il terremoto del 1908.

A conclusione del workshop, Luca Alteri, Adriano Cirulli e Luca Raffini, ricercatori dell’Osservatorio sulla Città Globale, presentano uno studio sul movimento Retake: nato a Roma e diffuso successivamente a Milano, Retake rappresenta forse il caso più emblematico di partecipazione civica che, secondo i relatori, ha tuttavia portato all’emersione di casi di conflittualità sociale come nel caso del quartiere Pigneto a Roma.

Prof.ssa Marchetti, quali sono i fattori principali che hanno contribuito alla diffusione di nuove forme di partecipazione civica?

Molto probabilmente la crisi della partecipazione politica tradizionale, sia sul piano della pura e semplice partecipazione elettorale che su quello della capacità di attrazione e di coinvolgimento da parte dei partiti politici, ha contributo alla diffusione delle nuove forme di partecipazione civica. Oggi non saprei dire quanti sono gli iscritti a un partito politico, però sono molte le persone che invece trovano in queste pratiche un impegno e un’attività importante per la loro vita. A me è capitato qualche volta di intervistarle: ricorreva l’idea di poter fare qualcosa nel quale fossero in grado di verificare il risultato delle loro azioni. Oggi tutti i meccanismi propri della partecipazione politica tradizionale hanno portato alla saturazione del meccanismo della delega e non è raro che tra gli organizzatori di molte di queste attività ci sia un passato di militanza politica tradizionale. Militanti che decidono poi di mettersi al servizio di attività che possono essere di cura della città, degli spazi pubblici, ecc.

L’istituzionalizzazione di pratiche di partecipazione civica, come ad esempio i patti di collaborazione, rientra in una dinamica bottom up dei processi decisionali?

Sicuramente l’istituzionalizzazione di queste pratiche rientra all’interno di una partecipazione che parte dal basso, abbiamo però ulteriori sviluppi. In questo caso infatti andiamo a intaccare il rapporto tra il cittadino e le istituzioni ridefinendo, secondo quanto recita l’articolo 118 della Costituzione, quella che è la natura di questo rapporto. All’interno dei meccanismi della democrazia rappresentativa sono la politica e il suo braccio operativo, l’amministrazione, ad avere il compito di individuare l’interesse generale. Qui noi riconosciamo anche ai cittadini la capacità di individuare l’interesse generale e di farsene interpreti. I tempi forse non sono maturi per capire fino in fondo se siano sempre processi che si attivano dal basso o se non siano dinamiche che le amministrazioni sfruttano in qualche modo per mettere in moto dall’alto meccanismi di partecipazione civica. Questo magari lo vedremo in un medio-lungo periodo; in città come Bologna e Trento che sono quelle che hanno il numero più elevato di patti di collaborazione è molto forte l’input da parte dell’amministrazione stessa, il che può essere anche un dato positivo: abbiamo un’altra cultura amministrativa che cerca il contatto con i cittadini. Avremmo bisogno forse di più tempo per valutare se si tratti sempre di un percorso che parte dal basso, oppure è un cambiamento più che altro della cultura amministrativa.

Quanto e in che misura il contesto politico e culturale di una città può essere considerato cruciale per la genesi di queste forme partecipative?

È chiaro che ci sono situazioni in cui è più facile che iniziative di questo genere si sviluppino e ricevano anche il sostegno da parte delle istituzioni. Se si guardasse la mappa di Roma, divisa per municipi, si vedrebbe chiaramente che ci sono intere aree di Roma che hanno pochissime di queste espressioni mentre la maggior parte delle esperienze si concentrano a Roma sud-est. Lì abbiamo provato a fare, senza scendere in valutazioni politiche, la ricostruzione del colore politico assunto negli ultimi anni da queste zone e obiettivamente si profila una differenza: sono molto poche le esperienze di questo tipo a Roma nord. Ora dobbiamo vedere cosa succede perché Roma oggi ha una specie di coloritura unica: tutti i municipi sono in mano al Movimento Cinque Stelle. La loro cultura è partecipativa, almeno così nasce, ma al contrario il governo della città è un governo molto accentrato. Al momento forse dovrebbe trovare un equilibrio tra questa sua anima originaria rispetto a quella che è stata la scelta di governo della città, un po’ in contrasto con la loro cultura politica. Ci sono zone in cui la gestione dei municipi ha sicuramente favorito una cultura partecipativa molto forte.