La tappa pugliese di ArtLab 18, per parlare di cultura, patrimonio e innovazione

Responsabilità sociale, valorizzazione del patrimonio, sperimentazione e coraggio: queste le parole chiave della tappa barese di Artlab 18, costruita intorno al macro tema del PSPP – Partenariati Speciali Pubblico Privati. Persone da tutta Italia ed Europa si sono ritrovate per dialogare liberamente, contaminandosi e apprendendo l’un l’altra dalle esperienze e buone pratiche, per ipotizzare il futuro della cultura. Cultura intesa come patrimonio culturale, sia materiale (luoghi e spazi) che sociale (progetti, metodologie).

L’interazione genera benessere e ricchezza di valori

Alla base di qualsiasi dinamica vi è un dialogo, uno scambio di visioni e approcci tra differenti persone o realtà con interessi convergenti. Nella prospettiva culturale odierna le relazioni sono componenti fondamentali. La condivisione di valori, di tempo e di spazio genera beni comuni: con i commons vengono introdotte dinamiche profondamente innovative nel pensare il patrimonio pubblico. Sono numerose le esperienze che ci raccontano una molteplicità di Paesi nella stessa Italia, progettualità partecipate, virtuose accomunate da una potente iniezione di fiducia, sperimentazione, pazienza e coraggio. Una ricchezza inesauribile di progetti e competenze messa in gioco dentro le comunità, nell’ottica collaborativa di creare insieme dei nuovi paradigmi socioculturali. Curare il dialogo significa quindi autoregolarsi, alla ricerca di una posizione che possa fare la differenza e generare cambiamenti nella società.

Governance collaborativa: non è mai solo un problema di risorse

Qualsiasi comunità, per essere in grado di sviluppare le propria visione, deve avere la possibilità di dialogare e sedersi attorno allo stesso tavolo di chi ha in mano gli strumenti, le conoscenze, le metodologie e le risorse. Se si vuole lavorare al meglio bisogna permettere alle comunità di co-creare soluzioni insieme alle istituzioni.
In Italia, un paese dove le migliori eccellenze sono precarie, andrebbero decostruiti gli strumenti amministrativi culturali per strutturare nuovi paradigmi insieme alle realtà emergenti.
Qualcosa si sta già sperimentando, cercando di avere un bilanciamento tra ruoli e responsabilità, per strutturare normative, bandi, investimenti che siano più affini alla realtà sociale. Alcune amministrazioni o fondazioni, ad esempio, inseriscono nell’organico gruppi di persone che hanno come background il mondo dei beneficiari a cui gli attori citati si rivolgono. Si ha quindi come risultato un lavoro congiunto che riduce il distacco dalla realtà che può avere la progettazione top down. Queste nuove figure sono costruttori di strategie che ricoprono posizioni intermedie tra l’ente e il beneficiario, riuscendo ad avere automaticamente uno sguardo privilegiato. Vedendo processi e prodotti da questa posizione si amplificano sia le criticità che le positività, in un’ottica di visione di insieme più oggettiva.
Si può ad esempio ipotizzare di promuovere lo sviluppo economico e sociale attraverso il ripristino e la valorizzazione di competenze unitamente ai luoghi (come viene fatto nel Cultural Protection Fund riguardante parte del patrimonio Unesco), spostando quindi l’attenzione da quello che è solamente il bene a quella che è la comunità attorno al bene da rigenerare.

Patrimonio culturale come driver di cambiamento sociale

Come fa notare Giovanni Formiglio (Agenzia del Demanio) il patrimonio culturale italiano è stato sempre gestito in due modi: “fare cassa” e musealizzare, nell’ottica di conservare per tramandare alle generazioni future un’eredità certa. E’ recente infatti il cambio di rotta del Ministero, che include nei vari indicatori di valutazione anche la componente sociale. Con il primo bilancio d’impatto per le pubbliche amministrazioni del dicembre 2017, vengono analizzati gli impatti generati dalla rifunzionalizzazione e dalla progettazione in atto sui luoghi del patrimonio. Crescono l’indotto e la percezione di sicurezza, diminuisce il degrado e vengono ammortizzati i costi di manutenzione e guardiania di un’immobile vuoto. Accanto a tutti questi valori gradualmente appare anche quello del benessere, legato alla riqualifica del quartiere in cui il bene è inserito.
Non si può più ragionare a compartimenti stagni sul luogo e sulla comunità in cui si inserisce. Vanno intrecciate le due componenti per avere progetti di riattivazione virtuosi. Marco Imperiale (Fondazione con il Sud) suggerisce infatti che i beni comuni siano contenitori che hanno già un valore intrinseco (dato dalla storia e dalla memoria) e ne acquistino di nuovi: valore sociale e culturale, tramite la riattivazione.

Esperienza Pepe (Lido di Venezia). fonte: pagina Facebook ufficiale

Un bene restaurato ma vuoto non ha lo stesso valore di un bene fruito

Recuperare il patrimonio pubblico su base di convenienza economica e in termini di uso imprenditoriali è una logica che non è al passo con i tempi. “Recuperare oggi vuol dire restituire il valore d’uso contemporaneo dell’immobile alle comunità” (Franco MilellaFondazione Fitzcarraldo). Nonostante negli ultimi 10 anni tra fondi nazionali ed europei siano stati investiti 7 miliardi e 135 milioni di euro in interventi di recupero, il 60% dei beni diffusi del patrimonio pubblico italiano è in condizioni di abbandono. 2 milioni di beni (più di 400 milioni di mq) sono in disuso. L’approccio mercatista implica un problema nel riuso del patrimonio pubblico a fini culturali e sociali, perché mette in campo strumenti, come il business plan, che non dialogano con progetti ed esperienze in cui il fattore economico non è centrale.
In Italia viene confusa la valorizzazione con la possibilità di fruizione. Andrebbero sviluppati strumenti abilitanti che considerino la componente temporale (durata) e la capacità sperimentale (metamorfismo progettuale). In questa direzione si muovono i patti di collaborazione e i nuovi PSPP – Partenariati Speciali Pubblico Privati: entrambi attingono allo stesso bacino metodologico di coinvolgimento orizzontale di istituzioni, attori e nel caso dei patti, dei destinatari stessi. E’ ipotizzabile quindi che i PSPP, in alcuni casi, siano applicabili come gradino successivo in quei progetti socioculturali che hanno già sperimentato e portato a termine positivamente un patto di collaborazione?

Norme come dispositivi ermeneutici

Il Comma 3, Art. 151 del Codice degli Appalti, cerca di raccogliere e congiungere tutti i concetti accennati sino ad ora.
I PSPP – Partenariati Speciali Pubblico Privati introdotti dal Comma 3, lavorano sul territorio agendo con realtà consolidate (già esistenti e conosciute come il TTB-Teatro Tascabile di Bergamo) oppure attivando nuove realtà (capitale sociale, culturale, attori emergenti etc.), mettendo in dialogo diversi soggetti. Alla base vi è l’idea di co-governare un processo, unendo allo stesso tavolo (cabina di regina) istituzioni e soggetti culturali. Il tavolo di lavoro istituito ha un’architettura distribuita, con ambiti e responsabilità condivise, nati per monitorare l’intero progetto.
Ad oggi il primo accordo in Italia di Partenariato Speciale Pubblico-Privato si trova a Bergamo. Approvato all’unanimità dal Consiglio comunale a luglio 2018, è finalizzato al recupero e alla valorizzazione in chiave culturale dell’ex monastero del Carmine (XV sec.), sede del TTB-Teatro Tascabile di Bergamo dal 1996. Il tavolo di lavoro realizzato ha una composizione di soggetti “istituzionale”, non avendo tra gli attori una rappresentanza dei destinatari del progetto stesso. In un’ottica di partecipazione attiva e coinvolgimento delle comunità, in futuro ci si potrebbe spingere oltre, aprendo il tavolo e includendo nella pianificazione i beneficiari (i cittadini tutti).

TTB – Teatro Tascabile Bergamo (Monastero del Carmine, Bergamo). fonte: Eco di Bergamo.it

I cambiamenti a livello amministrativi devono essere accompagnati da cambiamenti culturali

Non è però sufficiente avere un’ulteriore sfaccettatura amministrativa per poter gridare al cambiamento culturale. Nicola Capone dell’ex Asilo Filangeri di Napoli suggerisce di “abbandonare le teorie e cominciare ad avere a che fare con le ricette” inteso come imparare dalle buone pratiche, sperimentando nuovi modi di fare società. Questa idea passa anche dalla presa di coscienza da parte degli enti pubblici della richiesta di cambiamento in atto.
La visione ampia e di un nuovo paradigma che leghi il riuso patrimoniale alla cooperazione e alla co-progettazione di comunità non può, inoltre, esserci soli ai vertici di alcune istituzioni. Giovanna Barni di Coopculture suggerisce di traslare la consapevolezza anche nei Comuni, nelle Province e nelle Sovrintendenze. Non basta che il Demanio o il Ministero abbiano acquisito questa percezione, perché si parla di un impatto che è generato dalla cooperazione tra molti più soggetti, a scale e livelli differenti.

Gli impatti nell’Economia della Cultura per valorizzare il territorio

Un esempio lampante di nuovo paradigma economico-sociale della cultura è il restauro della Basilica paleocristiana Santa Maria di Siponto (Manfredonia, FG), per mano di  Edoardo Tresoldi, giovane artista.
Un’architettura virtuale in rete metallica, nata con l’intento di offrire una protezione ai resti dell’antica basilica. Una scelta originale, di convergenza unica tra arte contemporanea e archeologia, che diventa un precedente per futuri progetti di restauro. Commissionata dal Segretariato Regionale MIBACT per la Puglia e dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia ha totalmente rivoluzionato il territorio. Il Parco Archeologico prima del 2016 contava 2.000 visitatori, oggi ne ha 84.000 grazie al coraggio e alla visione di un organo istituzionale che ha creduto in un nuovo paradigma culturale.

Edoardo Tresoldi, Basilica di Siponto (Manfredonia). fonte: ricerca.repubblica.it

Ma quindi che cosa significa creare valore economico-sociale?

Al “+” economico è possibile aggiungere un “+” sociale. Passare da un’idea di sostenibilità (assicurarsi che il progetto non produca effetti negativi) al concetto di impatto (il progetto produce effetti positivi sul territorio circostante). Utilizzare quindi il patrimonio pubblico con innovazione e sperimentazione, innescando processi e dinamiche relazionali per permettere la rinascita di beni invisibili tramite la valorizzazione delle competenze diffuse sul territorio.
Bisogna pensare alla cultura con la coscienza che ogni attore ha interessi diversi e non coincidenti. Gli obiettivi comuni vanno sviluppati congiuntamente tra tutti i soggetti, restando in ascolto delle visioni di ciascuno, così da avere un progetto che produce valori diversi ma egualmente importanti per dare respiro al luogo e alla comunità di appartenenza.