Il binomio Sussidiarietà-RSI come anello di congiunzione tra la dimensione economica e quella antropologica del fare impresa

È possibile pensare a una concreta applicazione del principio di sussidiarietà all’interno di un’impresa for profit? Questo tipo d’impresa svolge ancora un ruolo sociale, così come recita l’art. 41 della Costituzione, o ne è variata la natura con il mutare delle prerogative del capitalismo contemporaneo?
Sono questi i due interrogativi che mi hanno portato ad approfondire il tema della sussidiarietà orizzontale accostandolo a quello della Responsabilità sociale d’impresa nella mia tesi magistrale.

La sussidiarietà come fondamento

È risaputo: la sussidiarietà, pur avendo molte sfumature, talvolta considerate troppo astratte, custodisce una valenza cruciale fin dalle sue origini. La sua evoluzione nel tempo ci insegna come l’applicazione sul piano pratico si sia resa sempre più necessaria. Oggi, seppur tardivo, il suo riconoscimento è certificato dalla legittimazione europea, che fa della sussidiarietà un principio ideale (Principi, art. 5, TUE), e dalla sua costituzionalizzazione in Italia (Titolo V), secondo cui è la persona che ne conferisce il valore intrinseco. Nella sua dimensione orizzontale (Art. 118 ultimo comma), infatti, la sussidiarietà si fa portatrice di quelle forme di partecipazione attiva che vedono i cittadini muoversi autonomamente e, dunque, sempre più consapevoli del cambiamento in atto. In tal senso, i “cittadini-sussidiari” acquisiscono tre caratteristiche precise: la responsabilità, la razionalità e la relazionalità.

L’evoluzione delle responsabilità sociale di impresa

Sul piano economico-sociale, la natura multidimensionale della sussidiarietà si ricollega all’evoluzione concettuale della Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità sociale d’impresa (RSI). Non a caso, il principio di sussidiarietà è stato scelto come criterio guida per un’efficace applicazione di questa, a livello di Piccole e medie imprese (PMI). Le analogie tra RSI e sussidiarietà sono infatti numerose. Come per quella della sussidiarietà, anche l’evoluzione della RSI non è mai stata del tutto definita; ciononostante, le riflessioni proposte da numerosi economisti hanno modificato la stessa prospettiva d’impresa. Punto cruciale in materia di RSI è la sovente mancanza d’attenzione legata alla qualità delle relazioni e al ruolo del lavoratore all’interno dell’impresa. Una “normale” impresa for profit ha dunque perso il suo lato umano?

Il binomio sussidiarietà – RSI

È indubbio: la dimensione economica, che ci offre la società odierna, privilegia le imprese dal “facile profitto”, ma è altrettanto vero che, sul piano nazionale, numerose PMI hanno dimostrato di saper “tenere testa” alla crisi economica, agendo sulla base di uno spirito collaborativo e solidaristico. Protagoniste sono le cosiddette imprese socialmente orientate (Argiolas, 2014), ben diverse dalle conosciute imprese sociali, cardine del Terzo settore. Se queste ultime infatti si pongono obiettivi d’interesse generale, non a scopo di lucro, le prime si riferiscono a imprese profittevoli che pongono al centro dell’intera attività la centralità della persona. Ecco che il binomio sussidiarietà-RSI diventa anello di congiunzione tra questi due settori così apparentemente differenti.
L’applicazione di tale binomio all’interno dell’impresa porterebbe infatti a un concreto ridimensionamento della funzione strumentale di questa per far spazio a una quasi dimenticata dimensione antropologica. In tal senso, le categorie coinvolte nell’impresa sono molteplici ma quella dei cosiddetti stakeholder interni (dipendenti, addetti ai servizi, soci, stagisti ecc.) è sicuramente quella maggiormente chiamata in causa. Ci si riferisce dunque a coloro che quotidianamente “vivono l’impresa”. A partire dagli anni Trenta del Novecento, le riflessioni in materia di RSI (Barnard, 1939) si rivolgono proprio a tale categoria, sviluppandosi “dal basso”, dalla persona.

Il profitto come requisito

Il tema della centralità dell’uomo diventa dunque il punto cruciale della nuova prospettiva d’impresa; ciononostante, è bene sottolineare che l’impresa socialmente orientata mantiene salda la sua natura profittevole. Il profitto infatti da fine ultimo si pone come conditio sine qua non, diventa cioè requisito. Pertanto, ripensare l’economia in questo modo significa non solo ribaltare i meccanismi tipici dell’economia tradizionale ma soprattutto “stimolare e radicare fiducia, reciprocità e sussidiarietà anche in campo economico e fare dell’impresa un luogo civile” (Bruni, Zamagni 2015).

Un nuovo modello per l’impresa

L’intervista condotta presso un’impresa torinese che si occupa di lubrorefrigeranti e macchine utensili sull’intero territorio nazionale, ha risposto in maniera soddisfacente al quesito alla base della tesi, confermando la funzionalità del binomio sussidiarietà-RSI. Pur presentando alcuni limiti, infatti, la valorizzazione dello stakeholder, attraverso obiettivi condivisi e una visione d’impresa trasparente, ha confermato come le caratteristiche della sussidiarietà (libertà, autonomia, fiducia) si riflettano concretamente anche in quelle di un’impresa for profit e socialmente orientata (libertà, universalità e pluralità). Guidata dal dialogo, dalla fiducia e dalla reciprocità – valori per eccellenza in un’impresa socialmente orientata – sussidiarietà e RSI generano quel circolo virtuoso che permette d’integrare nel core business la dimensione ontologica della persona. I risultati aziendali, sia in termini economici che relazionali, ne hanno confermato i benefici nel lungo periodo.
Infine, ma non meno importante, l’adesione dell’impresa analizzata come caso studio alla rete internazionale Economia di comunione (EdC), progetto di condivisone dell’utile, riconduce all’origine carismatica della sussidiarietà e ai valori che l’impresa socialmente orientata ha fatto suoi. La reciprocità si rivela il valore preminente. Lo spirito del dono infatti fa sì che l’intervento da sussidio diventi cooperativo e la relazione da unilaterale diventi sempre più multilaterale; l’impresa perciò diventa un luogo in cui il lavoratore cresce, condivide e ne diventa custode – cooperando, dunque, per il bene comune.