Una riflessione sulle possibilità di trasformazione dell’area Ex Snia di Roma con un approccio di sviluppo urbano integrato collaborativo, fondato sull’esperienza berlinese

L’esperienza italiana dell’urbanistica partecipata rappresenta, grazie all’amministrazione condivisa, un caso particolarmente originale e innovativo di micro governance, capace di coinvolgere cittadini e amministrazioni locali su un piano paritetico e con spirito collaborativo. Il Regolamento di Bologna e i Patti di collaborazione ne sono gli strumenti pratici. Tuttavia l’idea dell’urbanistica partecipata non è solo italiana e costituisce a livello europeo una tensione che esprime la volontà dei cittadini di contribuire attivamente al miglioramento delle proprie città anche in assenza di precisi strumenti normativi o di attuazione concreta di questo genere di prassi.
Alma Vecchiotti ha suggerito nella sua tesi magistrale una riflessione sulle possibilità di trasformazione dell’area Ex Snia di Roma con un approccio di sviluppo urbano integrato collaborativo, fondato sull’esperienza berlinese. Si tratta di uno studio di tipo comparativo che mostra come in Europa, nel caso specifico in Germania, esistano aspirazioni comuni e la chiara volontà di ripensare la convivenza urbana, promuovendone il cambiamento “dal basso”. L’autrice si serve della propria esperienza sul campo per dimostrare come la contaminazione di buone pratiche tra diversi paesi possa favorire questo processo partecipativo, allargando lo spettro delle possibilità pratiche e delle soluzioni di fronte alla domanda sempre più insistente di cittadini attivi pronti ad attuare il cambiamento in collaborazione con le amministrazioni locali e gli enti territoriali.

Presentazione dell’autrice: da Berlino a Roma

È possibile pensare a una concreta applicazione del principio di sussidiarietà all’interno di un’impresa for profit? Questo tipo d’impresa svolge ancora un ruolo sociale, così come recita l’art. 41 della Costituzione o si è fatta trascinare dallo spirito speculativo da sempre presente e talvolta dominante nell’economia e nel sistema capitalistico? Questi sono gli interrogativi che mi hanno portata ad approfondire il tema della sussidiarietà accanto a quello della responsabilità sociale d’impresa nella elaborazione della mia tesi magistrale.
La tesi è nata dal risultato di un’esperienza diretta e di studio applicato inerente all’urbanistica partecipata in Italia e in Germania. Questo tipo di urbanistica è una modalità di redazione di piani e progetti che assegna un rilevante valore alle proposte che emergono dal basso, espresse da cittadini in forma libera o associata e da portatori di interessi locali. La ricerca si è incentrata sulle persone, sui loro interessi e sulle voci che tentano di emergere “dal basso”: i cosiddetti movimenti bottom-up. In particolare si è posta l’attenzione su uno strumento normato tedesco funzionante a livello nazionale, l’ISEK (Integriertes städtebauliches Entwicklungskonzept), traducibile in italiano con il concetto di sviluppo urbano integrato. Questo strumento è di aiuto alla formulazione di piani di sviluppo urbano a livello locale in forma partecipativa.
Le città prese in esame sono state le due capitali: Berlino e Roma. Come caso studio pilota è stato scelto un luogo simbolo di lotta bottom-up fra i più significativi della città laziale: Il lago Bullicante Exsnia. Dopo aver vagliato diversi casi studio in Germania, di cui ne sono stati approfonditi tre, quelli più simili al caso studio pilota italiano (Ex Snia a Roma), la domanda di tesi è sorta spontanea: è possibile accostare le due realtà partecipative, quella italiana e quella tedesca, in modo da migliorarle a vicenda?
Possiamo dire che dall’ipotesi iniziale lo studio di fattibilità ha portato a una combinazione di queste due realtà. L’idea e il tentativo di combinare due strumenti differenti grazie a cui è possibile generare un processo di partecipazione orizzontale ha avuto successo e ha dato risultati interessanti, potenzialmente replicabili. Ciò ha permesso di sperimentare un nuovo strumento urbanistico ibrido, nato dalle esperienze concrete e dai modelli in uso nelle due realtà urbane e nazionali.

Due forme di partecipazione a confronto

A partire dagli anni Sessanta, sono considerevolmente cambiate le condizioni della partecipazione in Germania sul fronte politico e sociale. Ciò è stato considerato dagli studiosi come una conseguenza del ricambio generazionale, che ha porta con sé nuovi tipi di valori o modelli educativi. Inoltre, un crescente interventismo statale ha generato perplessità sulla capacità delle istituzioni e dei partiti democratici di rispondere ai problemi e alle questioni più pressanti.
Questi fattori hanno motivato i cittadini ad attivarsi e a chiedere una partecipazione più completa e integrata al processo decisionale. Perciò negli ultimi anni è emerso un intenso dibattito sulla partecipazione civica in Germania che talvolta ha suscitato azioni di contestazione da parte della cittadinanza e dure critiche nei confronti dei piani di sviluppo comunali. Nonostante indubbi progressi, la partecipazione pubblica in Germania è ancora fortemente istituzionalizzata. I comitati e le autorità responsabili non sono affatto disposti a consegnare competenze rilevanti per la pianificazione alla popolazione.
Spostando l’attenzione all’Italia, invece, troviamo un paese che non ha ancora maturato compiutamente una strategia coordinata e istituzionalizzata di “partecipazione”, mancando di sfruttarne il potenziale sociale e politico, ma ha saputo compiere una piccola rivoluzione “dal basso” che si sta progressivamente diffondendo e affermando. Ci riferiamo ai Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni. Dalla mia ricerca, però, è emersa la difficoltà di riconoscere questo modello innovativo di amministrazione come una soluzione pratica in grado di mobilitare la cittadinanza e attivare grandi risorse civiche. Ad oggi, l’amministrazione condivisa appare quindi ancora intesa come una pratica sperimentale, nonostante sempre più comuni adottino il Regolamento di Bologna e continuino a diffondersi i patti di collaborazione.
Chi prova a lanciare in modo diverso la sfida verso il cambiamento, in questo caso sul terreno della rigenerazione urbana, è guardato con diffidenza e forse con un po’ di superficialità, come un Don Chisciotte che tenti di combattere contro i mulini a vento. La sussidiarietà orizzontale è, quindi, ancora vista come un’utopia, come un’ideale irraggiungibile. Si stenta a capire come l’Italia, con le sue straordinarie risorse, non riesca a compiere un balzo decisivo in avanti verso il progresso, trovandosi sempre un passo avanti o un passo indietro rispetto al resto d’Europa. Tuttavia, spesso mostra di essere capace di offrire modelli innovativi, anche nel settore sociale e amministrativo. Ad oggi i comuni “utopici” che hanno già adottato il Regolamento sono più di 200: vediamo dove porterà questa “rivoluzione orizzontale”.

La crisi delle metropoli: due capitali così vicine, così lontane

Viviamo in un’epoca di crisi: economica, sociale e ambientale, e questo stato permanente di difficoltà si riflette sulla struttura (urbana) delle nostre città. La crisi che forse non è stata ancora riconosciuta del tutto è quella della metropoli; e ciò perché è una conseguenza di quella catena ininterrotta di difficoltà poc’anzi menzionate. La condizione in cui si trovano le metropoli moderne rispecchia una crisi più ampia e globale; in esse si ripropone a cascata, come un climax, tutta la serie delle diverse problematiche esistenti. In una metropoli più che in una piccola città è possibile riscontrare gli effetti collaterali e le conseguenze di questo stato permanente di crisi e di sofferenza sociale e politica generalizzata.
L’urbanistica è in costante evoluzione e per quanto possa stare al passo con i tempi, non sempre riesce a soddisfare le richieste di tutte le categorie e le classi sociali; o piuttosto non è in grado di ascoltare e comprendere le diverse problematiche che emergono dal tessuto urbano in senso sociale. Mi riferisco a fenomeni come la gentrification che spesso sfociano in conflitti urbano-sociali. Zygmunt Bauman nel suo libro La solitudine del cittadino globale spiega come attraverso tutte queste crisi sia mutata la nostra condizione sociale, come si sia modificata la “comunità umana” rispetto al modello più tradizionale della polis, atomizzandosi e accentuando i tratti individualistici a causa di un capitalismo rapace e deregolato e in conseguenza di una crisi profonda del sistema democratico.
Ed è proprio la sfiducia nella politica che negli ultimi tempi ha portato le “comunità”, sia tedesca sia italiana – ma a queste si potrebbero accostare anche quelle di altri paesi europei –, ad attivarsi e a lottare per il bene comune. C’è infatti il desiderio di recuperare in chiave moderna la dimensione comunitaria di quella antica polis, a cui si affianca una forte domanda di partecipazione e di riforma del sistema democratico. Nel corso del mio soggiorno berlinese e dopo aver analizzato il modello tedesco, ho individuato uno strumento partecipativo interessante anche per lo scenario italiano. Passando poi all’esplorazione del caso nazionale, ho potuto osservare con occhi diversi Roma e la sua realtà, individuando un “filo rosso” in grado di accostare e unire insieme le due metropoli, che tanto ho trovato simili.

Il “filo rosso” che collega Berlino a Roma

Benché Berlino abbia adottato alcuni metodi standard di inclusione dei processi partecipativi, con strumenti e norme, che coinvolgono i cittadini nelle decisioni che riguardano i piani di sviluppo locale, spesso emergono situazioni conflittuali quando si passa alla fase attuativa. Per questa ragione sono diversi anni che viene aggiornato il Manuale della partecipazione, in cui si spiega all’amministrazione, anche tramite esempi, come interfacciarsi con la popolazione. Ciò, però, non sempre riesce a evitato contrasti o ad arginare movimenti bottom-up, generati appunto dall’insoddisfazione delle decisioni politiche e dall’assenza di canali di ascolto da parte dell’ente pubblico. L’ultima parola, infatti, non spetta mai ai cittadini e in molti casi resta di esclusiva competenza del Senato per lo sviluppo urbano e l’ambiente.
Uno strumento particolarmente interessante è quello dell’ISEK che coinvolge gli attori nel piano di sviluppo locale di un’area ristretta. Uno strumento complesso, composto di due fasi dirette ad analizzare e a comprendere la condizione dell’area in oggetto e a definire successivamente le priorità d’azione attraverso l’individuazione di alcune linee guida da parte degli attanti coinvolti, a cui si allega un piano finanziario. Dopo la sua approvazione da parte del Consiglio comunale, la progettazione viene affidata ad enti terzi ed è a questo punto che spesso si verificano i conflitti, come è accaduto per i tre casi studio presi in esame: Elisabeth-Aue; Kleingartenkolonie Oeynhausen ed infine Ernst Thälmann Park. Tutti e tre presentano aspetti comuni al caso studio italiano: una lotta per il bene comune ambientale, conflitti con il privato e una battaglia per un bene comune di carattere storico.
L’area Ex Snia ha una storia complessa, unica nel suo genere e già precedentemente analizzata in un articolo di Labsus: un lago la cui comunità combatte da anni perché sia riconosciuto monumento naturale. Un obiettivo finalmente raggiunto pochi mesi fa e che è al centro della mia ipotesi di tesi. L’idea e, da qui, la proposta elaborata nella mia tesi è stata quella di aggiungere “l’orizzontalità” del modello italiano (sussidiarietà, Regolamento, patti di collaborazione) allo strumento tedesco nella sua fase finale, quella più critica, dando vita ad una terza via progettuale, apertamente collaborativa.
Lo Sviluppo urbano integrato collaborativo vuole suggerire uno strumento urbano innovativo in grado di avviare un processo partecipato per la formulazione di un piano di sviluppo locale. Si tratta di un modello che intende portare in ogni sua fase di progettazione e realizzazione l’idea della orizzontalità, facilitando il coinvolgimento partecipativo al fine di rigenerare l’area in oggetto come bene comune e condiviso. Il processo, però, non si arresta alla fase progettuale, ma prosegue servendosi del Patto di collaborazione come strumento versatile, modulabile ed estendibile per organizzare la gestione condivisa dell’area in questione.
Il mio auspicio per l’area Ex Snia era quello che potesse divenire un parco naturale, chiamato dalla sua comunità Parco del selvatico. Forse, in fondo, ciò che più desideravo era di vedere quel luogo riconosciuto come monumento naturale; ed oggi questa speranza è in parte una realtà. Mi auguro che presto, grazie alla sussidiarietà orizzontale, possa diventare anche un bene comune, aperto e liberamente fruibile da tutti: un’utopia forse realizzabile.