Tra condivisione di esperienze di cura dei beni comuni e arricchimento del "Glossario", il viaggio del progetto "Commoning Europe" raggiunge l'Olanda e si appresta a volgere al termine

Il progetto “Commoning Europe” – di cui abbiamo già parlato sulla nostra Rivista – intende dare una descrizione trasversale non solo alla definizione di beni comuni ma individuare i termini e le pratiche che in ogni Paese consentono ai cittadini di impegnarsi per il bene comune e che proprio per questa caratteristica rappresentano «la grande catena che lega insieme gli uomini nella società» (Tito Livio).

Preme ricordare che il progetto, di cui fa parte il Comune di Campi Bisenzio, iniziato alla fine del 2020 e promosso dall’Unione europea nell’ambito del programma Erasmus+, è coordinato dall’associazione “Biblioteca di Pace” di Firenze, che coinvolge partner provenienti dall’Olanda, dal Belgio, dalla Turchia e dalla Romania.

Le “Case Spa”

Dopo gli incontri tenutisi a Campi Bisenzio e in Romania, come ultima tappa prevista dal progetto siamo stati in Olanda, ad Hilversum, poche decine di chilometri da Amsterdam, dove abbiamo avuto modo di confrontarci con esperienze interessanti che, pur avendo, ovviamente, moltissime affinità con quelle che conosciamo per quanto concerne gli obiettivi ed i soggetti a cui queste si rivolgono, si differenziano da esse, per quello che è stata la mia impressione, poiché non si limitano ad un solo obiettivo e non hanno come oggetto di intervento “un solo bene”. Quello che voglio dire è che, mentre nel nostro Paese sono ancora molte le esperienze in cui i soggetti privati, singoli o associati, circoscrivono le diverse attività al solo bene oggetto del Patto; al contrario, le esperienze con cui siamo venuti a contatto hanno come centro di azione il quartiere, il rione, il neighborhood. E non può che essere così vista la eterogeneità degli abitanti. Queste attività trovano una loro dimensione organica nel centro del quartiere, in edifici anche di proprietà privata, una specie di “Case Spa“, che mettono a disposizioni quei locali che non sono ancora entrati a far parte dell’edilizia popolare e che vengono gestiti da fondazioni per finalità sociali, per svolgere iniziative e attività riconducibili a tematiche disparate in quanto interessanti una molteplicità di individui con un background altrettanto eterogeneo per cultura, consuetudini, abitudini alimentari, credi religiosi.

Le esperienze e i luoghi

Un centro che abbiamo visitato ad Amsterdam, ossia il Meevaart, si trova in un quartiere in cui vivono 23.000 persone di 183 nazionalità. In questo centro, così come in altri visitati durante la visita in Olanda, si trovano aree e locali per lo sport e l’esercizio fisico, per la ristorazione multietnica, per la scuola, dei centri di incontro, uno spazio spirituale, un centro culturale, nonché uno spazio all’aperto. Il Meevaart rappresenta un centro di quartiere in cui la gente ed i giovani possono discutere di argomenti che loro scelgono di affrontare e che, invece, troppo spesso, non li vedono coinvolti. Sul sito del Meevaart si può leggere: «La partecipazione, l’incontro, l’apprendimento e lo sviluppo dell’imprenditorialità sono al centro del Meevaart. Questo lo rende un luogo in cui gli utenti sono incoraggiati a creare e attuare piani. Il Meevaart era un edificio scolastico che in seguito è stato utilizzato come centro comunitario. L’edificio è ora gestito dal Partenariato di quartiere. Le organizzazioni dei residenti possono utilizzare lo spazio per le loro attività. Si è anche formata una comunità all’interno e intorno al Meevaart, da cui vengono prese nuove iniziative per le attività».
Leggendo la descrizione del Meevaart e visitandolo, ciò che ha maggiormente attratto la mia attenzione, forse dovuto al mio passato di funzionario responsabile di uffici comunali, è che alcune delle attività svolte in questo centro, così come in altri, da noi sarebbero impossibili se non attraverso l’espletamento di procedure burocratiche, richieste e autorizzazioni. Premesso che il programma e il tempo a disposizione non hanno consentito di approfondire questi aspetti tecnico amministrativi, devo dire che i locali denotano tutt’altro che improvvisazione e trascuratezza.
Oltre al Meevaart, altri centri con i quali siamo entrati in contatto sono stati il De Geus, che viene gestito9 dagli stessi abitanti del rione e i cui spazi sono messi a disposizione della comunità locale; il De Vonk, la cui attività è concentrata sui cambiamenti climatici e le difficoltà abitative da affrontare, attraverso l’imprenditoria sociale. In ognuno di questi centri, ciò che si rileva è che oltre alla collaborazione tra privati e soggetti pubblici, spesso si registra la presenza di numerosi tecnici esperti, che si mettono a disposizione di progetti e attività socioculturali.

I centri Geus (sulla sinistra) e Vonk (sulla destra)

 

Il “Glossario”: una catena che unisce i Paesi e le Istituzioni dell’Unione europea

Come già emerso durante l’esperienza in Romania, anche questa volta una parte del dibattito si è concentrato intorno all’arricchimento terminologico del Glossario. Uno dei primi termini è stato individuato quando abbiamo chiesto come fosse stato deciso di assegnare un edificio per svolgere attività di carattere sociale ad un soggetto piuttosto che ad un altro; in questi casi si è ricorsi al c.d. diritto di sfida, o Right of challenge, in base al quale nel corso di una trattativa possono essere presentate offerte progettuali “sfidanti” rispetto ad altre in termini di impatto, tematiche, fattibilità, sostenibilità, coinvolgimento di cittadini etc. Altrettanto interessante è il termine Sociocracy, traducibile in sociocrazia, o governance dinamica. In questo caso si parla di un sistema di gestione degli spazi, dei programmi e delle tematiche con lo scopo di trovare soluzioni in un contesto armonioso e produttivo. Alla decisione non si giunge in esito a votazioni a maggioranza ma sulla base del consenso o assenso in esito a un dibattito tra persone che condividono il progetto e quindi unite da conoscenza e fiducia reciproca. Al Meevaart, infatti, le decisioni sono assunte nel corso di un dibattito che coinvolge circa 100 persone, mentre le stesse decisioni interessano circa 10.000 stakeholder. Questo metodo, sviluppato non a caso in Olanda da Gerard Endemburg, ingegnere elettronico e imprenditore, era originariamente detto “dell’organizzazione in cerchi”. Un altro termine che troverà senz’altro collocazione nel glossario è l’esatto opposto di “sociocrazia” e cioè crowding out, cioè l’esclusione delle persone dal prendere parte alle decisioni anche di quelle che li riguardano direttamente.

Un nuovo ruolo per l’Unione Europea

Indipendentemente dalla definizione che si voglia dare ai beni comuni questi sono e restano beni che, prescindendo dal titolo di proprietà, risultano essere funzionali al soddisfacimento del benessere delle persone, da ciò consegue, come è stato osservato e condiviso dai partecipanti, che manca, nel contesto europeo, un riconoscimento giuridico dei beni comuni così come invece è presente nel nostro ordinamento, almeno nei Regolamenti comunali (circa 300), ovvero negli Statuti di comuni e regioni, oltre che nelle conclusioni della Commissione Rodotà e nelle sentenze della Corte di cassazione ss.uu. n.3665/2011.
Così come manca un riconoscimento della partecipazione attiva, cioè di una partecipazione in cui si collochino le azioni dei “cittadini attivi”, diversa e alternativa alla cittadinanza passiva che si esprime con la sola partecipazione al voto.
L’altro termine a cui ritengo sia necessario riconoscere dignità giuridica è senza dubbio la “sussidiarietà orizzontale”, così come invece è stato fatto nel nostro Paese. Ora, poiché il TUE, all’art.10 c.1 recita che «il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa», e al c.3 che «[o]gni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione. Le decisioni sono prese nella maniera il più possibile aperta e vicina ai cittadini», e prosegue all’11, c. 2, affermando che «[l]e istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile», non sembrerebbe azzardato sostenere che i presupposti per andare nella direzione auspicata non manchino. In altri termini, il monito per il legislatore europeo è quello di dare una concreta evoluzione al concetto di partecipazione, affinché da una partecipazione del dire si proceda verso una partecipazione del fare, capace di avvicinare maggiormente le giovani generazioni alle istituzioni pubbliche.