La IV sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4540 del 22 maggio 2024, ha respinto il ricorso presentato per la riforma della sentenza del T.A.R. Abruzzo, sez. I, 29 giugno 2023, n. 368, pronunciandosi su taluni presupposti per la co-progettazione di cui all’art. 55 del Codice del Terzo Settore (CTS).
La vicenda amministrativa
La controversia su cui si sono pronunciati il Consiglio di Stato e il T.A.R. Abruzzo concerne una determina dirigenziale, e gli atti connessi, con cui era stata indetta dal Comune dell’Aquila una procedura pubblica di co-progettazione con il Terzo settore per l’affidamento del servizio di assistenza scolastica per l’autonomia e la comunicazione dei diversamente abili nelle scuole del Comune.
La pronuncia del giudice di prima cure
La determina dirigenziale veniva quindi impugnata dal gestore uscente del servizio con la censura, in particolare, del difetto di un atto presupposto, ossia una delibera del Consiglio o della Giunta dalla quale risultasse la valutazione dell’organo di indirizzo politico in ordine all’opportunità di ricorrere al meccanismo della co-progettazione, e del difetto di motivazione, in assenza di un’esplicitazione delle ragioni circa la prevalenza accordata alla partecipazione del terzo settore alla gestione del servizio sociale, anziché alla tutela della concorrenza. Il ricorso è stato accolto, avendo il T.A.R. Abruzzo ritenuto che la determina dirigenziale avesse introdotto una deroga al regime definito dal Piano Sociale Distrettuale 2023/2025 di affidamento mediante appalto del servizio di assistenza scolastica, la cui previsione rientra tra le competenze esclusive del Consiglio comunale, che, a tal fine, avrebbe appunto dovuto modificare il medesimo atto di programmazione.
La posizione del Consiglio di Stato
A seguito della proposizione del ricorso in appello avverso tale pronuncia da parte del Comune dell’Aquila, si è pronunciato sulla controversia il Consiglio di Stato. Seppure abbia ritenuto fondato il primo motivo di appello, avendo il giudice di prime cure sostanzialmente accolto il ricorso sulla base di un motivo formulato soltanto genericamente, in violazione del principio della domanda, il collegio ha respinto il ricorso in appello, pronunciandosi intorno ad alcuni tratti distintivi dell’istituto della co-progettazione. In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto fondata sia la censura con cui veniva lamentata l’assenza dei presupposti per il ricorso alla co-progettazione, sia il motivo con cui il gestore uscente lamentava la predeterminazione in forma dettagliata dell’oggetto della prestazione ad opera del Comune.
Sulla predeterminazione pubblica dell’oggetto della prestazione
Rispetto a quest’ultima censura, il collegio ha invero ritenuto che il Comune avesse sostanzialmente predeterminato gli elementi, anche di dettaglio, del servizio, lasciando alla co-progettazione la mera definizione di aspetti secondari.
Sul punto, nell’argomentare la fondatezza del motivo, il collegio ha richiamato espressamente alcune previsioni contenute nel D.M. n. 72/2021, per le quali, mentre nella procedura di appalto, sarebbe l’amministrazione a definire pressoché integralmente il contenuto della prestazione, fatta eccezione per il contenuto dell’offerta dell’operatore economico concorrente, l’istituto della co-progettazione poggerebbe diversamente su una collaborazione sussidiaria fondata sulla co-responsabilità che interessa l’intero ciclo di gestione del progetto. A ben osservare, in realtà, la questione non è del tutto pacifica, essendo ancora oggetto di discussione se le dinamiche collaborative, ovverosia la negoziazione e il dialogo, possano configurarsi come elementi discriminanti della co-progettazione rispetto all’appalto pubblico (Cfr. D. Palazzo, Pubblico e privato nelle attività di interesse generale, Torino, Giappichelli, 2023, pp. 464 ss.).
Al di là della configurabilità della collaborazione come fattore distintivo, la questione attiene al delicato tema dell’estensione del perimetro della collaborazione previsto nell’ipotesi di co-progettazione, anche alla luce delle difficoltà interpretative che derivano da talune disposizioni dell’art. 55 del CTS. Sul punto, occorre tuttavia precisare che, se dalle disposizioni si evince un carattere eventuale dell’ipotesi in cui nell’ambito della co-progettazione la collaborazione si estenda anche alla fase realizzativa del progetto, appare diversamente indubbio che le dinamiche collaborative debbano necessariamente interessare la fase antecedente di definizione del progetto. Nel complesso, quindi, nella misura in cui, alla base delle argomentazioni del collegio, può rilevarsi una tale attestazione del carattere necessario della collaborazione nella fase antecedente alla realizzazione del progetto, le posizioni del Consiglio di Stato sul punto appaiono condivisibili.
Sulla gratuità della prestazione
Relativamente all’altro motivo del ricorso, le argomentazioni del collegio a sostegno della fondatezza del medesimo sono state articolate intorno alla definizione giuridica del concetto di gratuità, identificando lo stesso come uno degli elementi costitutivi della possibilità di utilizzare le procedure di affidamento disciplinate dal CTS e di sottrarsi, quindi, all’applicazione delle norme unionali in materia di appalti pubblici e del Codice dei contratti pubblici. Secondo la tesi del collegio, il concetto di gratuità si identificherebbe nel conseguimento di un aumento patrimoniale da parte della collettività, cui corrisponderebbe la diminuzione patrimoniale di altro soggetto, ossia il prestatore del servizio. Richiamando espressamente le conclusioni del parere del Consiglio di Stato del 26 luglio 2018, quindi, l’effettiva gratuità, risolvendosi in non economicità del servizio, dovrebbe escludere una qualsiasi forma di remunerazione, anche indiretta, dei fattori produttivi (lavoro, capitale), ammettendo unicamente il rimborso delle spese. Nel caso di specie, essendo stato previsto il pagamento, anziché il semplice rimborso, previa fatturazione del soggetto affidatario, di una parte dei fattori produttivi, si sarebbe trattato di una fattispecie lontana dal concetto di gratuità come riconosciuta nel richiamato parere, non prevedendo il bando un mero rimborso delle spese vive, essendo quest’ultimo limitato ai soli volontari, ma piuttosto compensi per gli operatori e retribuzioni per gli esperti.
Quale risultato con una gratuità in senso stretto?
Diversamente dall’altro motivo richiamato, le conclusioni a cui perviene il collegio non appaiono in questo caso condivisibili. A ben osservare, difatti, il Consiglio di Stato sembrerebbe aver mantenuto una posizione ancorata al richiamato parere del 2018, non prendendo adeguatamente in considerazione le evoluzioni giurisprudenziali che sul punto si stanno consolidando a livello europeo (cfr. le sentenze della CGUE C-113/13, Spezzino, 2014 e C-436/20, ASADE, 2022). Il grande fraintendimento alla base di una lettura in senso stretto della gratuità è in sostanza che la riconducibilità di determinati rapporti al modello dell’amministrazione condivisa, e quindi l’attestazione del relativo carattere non sinallagmatico, trovi il suo presupposto nell’esclusione integrale della remunerazione dei fattori produttivi. Eppure, impostando il ragionamento sulla base della lettura della Corte costituzionale, ciò che contraddistinguerebbe il modello di amministrazione condivisa sarebbe piuttosto la sussistenza di una convergenza di obiettivi e di un’aggregazione di risorse, messe a fattor comune, per aumentare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una dinamica relazionale non riconducibile allo scambio utilitaristico. Ebbene, costituisce in parte un’illusione ritenere che la costruzione di questi percorsi di convergenza non implichi uno sforzo organizzativo che passi anche attraverso il coinvolgimento di professionalità specifiche da impiegare nelle condivise finalità di interesse generale, alle quali, come tali, non può non riconoscersi un corrispettivo per la prestazione erogata. Condividere, dunque, una lettura in senso stretto della gratuità, come quella che verrebbe sostenuta dal Consiglio di Stato, porta a confrontarsi con esiti indesiderabili che minano le concrete possibilità di diffusione dell’istituto della co-progettazione: l’esclusione di un’effettiva sostenibilità, sul piano economico finanziario, delle attività in tal senso preordinate per gli enti del terzo settore, ovvero l’esclusione di un coinvolgimento di tali professionalità nell’operato posto in essere dagli Enti del Terzo settore. A fronte di ciò, allora, nella realizzazione di attività di co-progettazione, verrebbe da dubitare che tali condizioni costituiscano presupposti idonei al perseguimento di finalità sociali in base al principio del risultato, così come espressamente richiesto dalle nuove previsioni del Codice dei contratti pubblici (art. 6).
Immagine di copertina: IMG_9494 di Comune di Bologna su Flickr
LEGGI ANCHE:
- L’assenza di finalità di lucro come criterio per le procedure di co-progettazione
- Aspettando Godot? Il grande cantiere dell’Amministrazione condivisa
- Co-programmare e co-progettare: la sfida della pluralità
- Il Consiglio di Stato si pronuncia sui rapporti tra amministrazioni pubbliche e terzo settore
ALLEGATI (1):