Il valore aggiunto della co-progettazione e la sua esclusione dalle dinamiche di mercato

Con la sentenza in commento (T.A.R. Liguria, Sez. I, 3 maggio 2024, n. 310) i giudici amministrativi hanno deciso di accogliere il ricorso di un’impresa che contestava la scelta della Regione Liguria di ricorrere all’istituto della co-progettazione, per la realizzazione di progetti sperimentali volti all’inclusione delle persone sorde e con ipoacusia.

Le doglianze del ricorrente

Più in particolare, secondo il ricorrente, la decisione di escludere i soggetti privati non appartenenti al terzo settore oltre ad essere sfornita di motivazione, contravverrebbe ai principi di imparzialità, trasparenza, efficacia e concorrenza e risulterebbe irragionevole, poiché l’unico scopo del progetto bandito dalla Regione Liguria, finanziato con fondi statali, consisterebbe nel mero finanziamento di iniziative volte a migliorare la condizione delle persone sorde e ipoacusiche.

La decisione del giudice amministrativo

Secondo il Collegio giudicante, la Regione non avrebbe fatto buon governo delle regole che presiedono alla scelta ed all’utilizzo delle procedure di co-progettazione, come tali escluse dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici, ai sensi dell’art. 6, D.lgs. 36/2023. Innanzitutto, l’Amministrazione regionale avrebbe dovuto motivare la decisione di dare corso ad una procedura di co-progettazione ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. n. 117/2017, invece di escludere a priori le imprese che perseguono un profitto. Oltre a ciò, dalla lettura dell’avviso e dall’esito dell’istruttoria, non si percepirebbe immediatamente il valore aggiunto del privato sociale, dal momento che, in questo caso, i bisogni da soddisfare consisterebbero esclusivamente nella facilitazione dell’accesso dei sordi e degli ipoudenti ai servizi sociosanitari, scolastici e culturali mediante sistemi innovativi per abbattere le barriere alla comunicazione. Tale facilitazione, peraltro, sarebbe realizzata nel concreto attraverso servizi di video-interpretariato, con una determinante componente tecnologica e non umano-solidaristica. Di conseguenza, il ricorso all’istituto della co-progettazione non sarebbe giustificato né ragionevole.
In secondo luogo, il ricorso alla co-progettazione sarebbe illegittimo perché la Regione non avrebbe rispettato il principio di gratuità, includendo tra le spese da rimborsare anche la remunerazione dei fattori di produzione interni all’ente stesso.
In definitiva, secondo il T.A.R., la selezione pubblica in questione sarebbe assimilabile ad un ordinario appalto di servizi. E, di conseguenza, sarebbe illegittima perché esclude ingiustamente le imprese private che perseguono un profitto.

Il commento: il valore aggiunto della co-progettazione

Come già potuto vedere nei commenti precedenti pubblicati su questa rivista (cfr. da ultimo, R. Stupazzini, Sui presupposti per la co-progettazione), le prime applicazioni e interpretazioni dell’art. 6 del D.lgs. 36/2023 da parte dei giudici amministrativi ci mostrano un quadro di grandissima fatica nel cogliere non solo le peculiarità della co-progettazione, ma soprattutto le ragioni per cui i modelli di amministrazione condivisa dovrebbero essere esclusi dagli ordinari schemi dei contratti pubblici.
Innanzitutto, tralasciando il fatto che l’associazione risultata vincitrice del finanziamento non è stata evocata in giudizio, e quindi non ha potuto spiegare le peculiarità del proprio progetto, l’amministrazione avrebbe potuto comunque motivare, all’interno dell’avviso, le ragioni del mancato ricorso al mercato, nonostante non sia previsto in maniera specifica all’art. 6 D.lgs. 36/2023. O comunque, ad ogni modo, avrebbe dovuto spiegare al giudice amministrativo le ragioni della sua scelta e quindi il valore aggiunto dell’amministrazione condivisa, che non è soltanto esecuzione di un servizio da parte di un ente senza scopo di lucro, ma co-progettazione, inclusione di idee differenti, professionalità della cura e dialogo perenne. Senza l’individuazione del valore aggiunto dell’amministrazione condivisa, infatti, si potrebbe arrivare alla stessa conclusione del giudice amministrativo, e cioè che “una società commerciale che fornisce servizi di video-interpretariato, potrebbe senz’altro espletare prestazioni identiche e persino migliori”.

Assenza di sinallagma non vuol dire gratuità della prestazione

Ad ogni modo, la più recente linea evolutiva del giudice amministrativo sull’applicazione del principio di gratuità nella co-progettazione non convince affatto, perché contrasta non solo con la giurisprudenza europea (cfr. da ultimo, CGUE, sez. IV, 14 luglio 2022, causa C-436/20, ASADE, qui commentata da E. Fidelbo), ma soprattutto con il dettato legislativo. In primo luogo, con l’art. 6 del D.lgs. 36/2023, che riguarda i modelli organizzativi “privi di rapporti sinallagmatici”, che letteralmente vuol dire privi di un rapporto di corrispettività tra le controprestazioni: definizione che esclude che una somma di denaro possa costituire il “prezzo” della controprestazione, per finalità di profitto, ma che giustifica pacificamente il rimborso dei costi di produzione del servizio. In secondo luogo, con l’art. 56, comma 4, del D.lgs. 117/2017, in cui si prescrive che le convenzioni di co-progettazione devono contenere le modalità di rimborso delle spese, limitandole al “rimborso dei costi indiretti alla quota parte imputabile direttamente all’attività oggetto della convenzione”. Tale disposizione, infatti, sebbene applicabile per peculiari tipi di convenzioni con ODV e APS iscritte da almeno sei mesi nel RUNTS, non può non costituire parametro interpretativo per tutte le tipologie di co-progettazione. In tutti questi casi, quindi, non si parla di gratuità in senso stretto, ma anzi si ammette la possibilità di rimborsare i costi riferiti alle attività oggetto delle convenzioni, anche perché può essere necessario che le attività in co-progettazione abbiano una componente professionale e non solo volontaristica che deve essere giustamente remunerata.

LEGGI ANCHE:

Immagine di copertina: Enrique da Pixabay