Le giornate di Assisi hanno aperto nuovi orizzonti verso i quali indirizzare il nostro cammino. Se a Bologna, in occasione degli Stati generali dell’Amministrazione condivisa, si era parlato di “utopia realizzata”, ad Assisi è emersa la “forza dell’utopia”, quella, per dirla con Eduardo Galeano, che ci spinge a camminare. Perché siamo certi che di cammino si tratta, che non può dirsi mai compiuto. E la strada percorsa per giungere al Festival dell’amministrazione condivisa dei beni comuni è stata particolarmente lunga, ogni singolo passo di quel percorso è rappresentato dalle prime comunità di pratica per la cura dei beni comuni che, attraverso i patti di collaborazione, si sono diffuse in tutta Italia. È rappresentata dallo studio e dall’approfondimento dei temi, dei nodi critici affrontati e superati grazie al contributo di studiosi che hanno messo la comunità al centro del loro lavoro di ricerca. È composta dall’impegno e dalla fatica quotidiana di amministratori pubblici e cittadini attivi. Dall’apertura di spazi di dialogo, conflitto, discussione, accordo e sintesi. C’era tutto questo lungo il viaggio che ha portato più di 250 persone ad Assisi, in quel palazzo che ci ha ospitato per tre giorni e che, all’ingresso, una targa ricordava essere nato come ospedale per gli ammalati del popolo. Uno spazio di cura, dunque, dal 1267, che è stato il contenitore ideale per provare a declinare il senso e il valore della cura ai giorni nostri.

Foto: ORA Comunicazione Politica
Ad Assisi da tutto il Paese
Al Festival hanno partecipato rappresentanti di Comuni provenienti da tutto il Paese, come Bologna, Palermo Roma, Torino, Bari, Milano, Modena, Cuneo, Parma, Pavia, Trento, Chieri, Perugia, Foligno, Spoleto, Terni e altri ancora, ma anche piccole comunità come Roseto Capo Spulico (Calabria) con i suoi 1.800 abitanti fino a piccoli centri come Naragus (Sardegna) e Fontecchio (Abruzzo) che contano rispettivamente 800 e 280 abitanti. I dati ci dicono che il 39% dei partecipanti fa parte della pubblica amministrazione, più del 28% è intervenuto in rappresentanza di associazioni ed enti del Terzo settore, oltre il 14% come cittadini attivi, il 13% espressione del mondo accademico e della scuola.

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Il piacere di incontrarsi
Una comunità composita che ha condiviso il piacere di riflettere insieme, ridere, guardarsi negli occhi, dialogare. Il Festival ha fatto emergere la necessità di incontrarsi, la curiosità di conoscersi, il bisogno di scambiare esperienze. Se c’è un elemento che è sembrato emergere in queste giornate è il valore della semplicità come chiave di lettura necessaria nell’affrontare quel sistema complesso di relazioni, processi, cura degli spazi che abitiamo, cura delle persone che è alla base del modello collaborativo. La semplicità necessaria per non perdere il senso e la sostanza dell’impegno quotidiano di ciascuno.

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Il bisogno di costruire insieme
Tante persone che, ognuna con il suo bagaglio di esperienze, ha voluto mettersi in gioco per provare ad immaginare il futuro del nostro Paese fatto, oltre gli scenari cupi che abbiamo davanti, di accoglienza, reciprocità, ascolto attivo, fiducia. Sono le parole chiave di una nuova forma di impegno politico che ha radici antiche, nella Resistenza e nella Costituzione, parole che stanno modificando nel profondo quegli elementi che caratterizzano l’esercizio unilaterale e verticistico del potere. Realtà, molto spesso piccole ma proprio per questo ancora più radicate nei territori, che avvertono il bisogno di essere sempre più connesse in rete fra di loro, che, con i patti di collaborazione, reinventano funzioni, costruiscono alleanze inedite, ibridano soggetti diversi, creano nuovi spazi di partecipazione democratica attraverso un esercizio di aggregazione delle domande e integrazione sociale come risposta alla crisi dei corpi intermedi e dei classici presidi di comunità.

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Il patto come processo
Gianni Rodari diceva che per cambiare la società «occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione». Cosa ha a che fare il Patto di collaborazione, un atto pur sempre di natura amministrativa, con l’immaginazione? Ce lo siamo chiesto indirettamente nei tavoli di lavoro. Un Patto è il tentativo riuscito di piegare la retorica del cambiamento al quotidiano lavoro di cura in grado di cambiare la realtà per davvero. Attraverso questa chiave di lettura quello che conta davvero è il processo che porta a sottoscrivere un Patto di collaborazione. Ancora più importante dello strumento, dei risultati che produce quello che conta sono le connessioni inedite che crea e alimenta. E che cambiano la realtà attraverso il recupero e il riutilizzo di beni confiscati alla mafia, i progetti di inclusione sociale e contrasto allo sfruttamento, la lotta al degrado delle periferie e la cura dell’ambiente e dell’ecosistema, la gestione condivisa e la fruibilità dei beni culturali, l’esercizio di una cittadinanza che sappia interpretare le differenze come ricchezza al di là della provenienza, del genere, del credo politico e religioso.

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Il patto come palestra della democrazia
Certo non mancano le criticità, nonostante il lavoro infaticabile di tanti è emerso come i patti siano ancora diffusi a macchia di leopardo nel nostro Paese, in tante realtà ancora marginali rispetto alla complessità dell’azione della pubblica amministrazione o autoreferenziali rispetto a soggetti che si attivano per la cura di interessi particolari invece che generali. La risposta che emerge sia dalle giornate di Assisi che dal Rapporto Labsus 2024 sta nella capacità di indirizzare le politiche pubbliche attraverso la valorizzazione degli effetti che le azioni di cura hanno nei nostri territori. Per questo serve alimentare momenti di scambio, dialogo e confronto tra tutti i cittadini attivi. A livello locale, attraverso la creazione di spazi materiali e immateriali, in cui ritrovarsi, ma anche a livello nazionale attraverso “l’Alleanza per…” lanciata al termine della tre giorni di Assisi e che troverà nei prossimi mesi forme, modalità di lavoro, percorsi che cercheranno di valorizzare il contributo di tutti e ciascuno.

Foto: ORA Comunicazione politica
Assisi è un racconto collettivo
La ricchezza dei contributi, la profondità delle riflessioni, la varietà delle proposte emerse da tutte le persone che hanno vissuto queste giornate ci ha spinto a scartare l’idea di un report affidato solo ai promotori del Festival. Assisi è il risultato di un apprendimento condiviso, e per questa ragione abbiamo scelto di farne un racconto collettivo aperto al contributo di tutti i partecipanti. Nelle prossime settimane proveremo ad impostare un lavoro che ci permetta di avvertire ancora, anche a distanza, quello spirito che ha alimentato il festival e acceso lo sguardo e i volti di ciascuno.

Foto: ORA Comunicazione politica
Arrivederci ad Assisi 2026
Grazie! Ad ognuno dei partecipanti, a chi ha lavorato quotidianamente per tutti questi mesi affinché il Festival potesse tenersi, grazie ai relatori che hanno accettato di condividere con noi questo pezzo di strada. Grazie ai volontari di Labsus e a chi ha guidato e facilitato i gruppi, agli esperti che hanno contribuito con le loro parole ad arricchire le nostre riflessioni. E grazie alla città di Assisi, cornice ideale per i nostri pensieri e i nostri sguardi. Arrivederci al prossimo anno per la seconda edizione del Festival che si terrà nelle giornate del 26, 27 e 28 marzo. Nel frattempo ci incontreremo, come sempre, lungo le strade dei nostri paesi e delle nostre città.

Foto: Roberta Rosati
Immagine di copertina: Ora Comunicazione Politica