Caratteristiche del rapporto di lavoro
Per poter immaginare come un rapporto di lavoro possa esprimere le proprie potenzialità oltre la sfera strettamente connessa all’oggetto tipicamente contrattuale, dobbiamo partire dall’analisi delle sue caratteristiche tipiche. Partiamo, dunque, dal principio fondante del rapporto stesso, che si realizza nel cosiddetto sinallagma; termine giuridico pomposo, che sta, molto semplicemente, ad indicare il legame di reciprocità che si instaura tra il datore di lavoro ed il lavoratore. Tale legame si esprime attraverso l’obbligo di prestazioni corrispettive, ovvero, per semplificare: un banale do ut des, nel quale, a fronte della prestazione lavorativa erogata dal lavoratore, si pone l’obbligo di corrispondere una retribuzione da parte del datore di lavoro. A quest’ultimo, tuttavia, avendo la responsabilità dell’organizzazione aziendale, la legge attribuisce tre poteri (direttivo, di controllo e disciplinare), che concretizzano il vincolo di subordinazione del lavoratore. Fin qui, l’impostazione più classica e, se vogliamo, più rigida, del rapporto di lavoro.
Responsabilità sociale d’impresa e Costituzione italiana
Negli ultimi anni, però, va aumentando il numero delle aziende che, animate dalla volontà di incidere positivamente nella realtà circostante al proprio operato, al sinallagma fondante tra datore di lavoro e lavoratore, associano un ulteriore soggetto “contraente”, che è costituito dal territorio in cui svolgono la propria attività e, di riflesso, dalla sua comunità. Questa attenzione è normalmente definita come “responsabilità sociale d’Impresa”, intesa come la capacità di coniugare l’attività imprenditoriale con l’impegno ad affrontare in maniera attiva problematiche di impatto sociale ed etico, sia verso i propri dipendenti e collaboratori, che verso la comunità esterna. La diffusione dei temi legati alla sostenibilità ambientale, sociale e di governance (ESG), che trovano puntuale riferimento nell’Agenda 2030 dell’ONU, stanno favorevolmente condizionando anche la legislazione italiana. Esempio ne sia la modifica operata nel 2022 all’art. 41 della Costituzione che, nella versione vigente, recita così “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”.
Le società benefit
La Legge di stabilità per il 2016 ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico la figura delle società benefit, che vengono testualmente identificate come le società “che nell’esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse.” Questa figura societaria coniuga il legittimo interesse di produrre valore economico per i propri soci, con l’impegno a produrre valore in termini di beneficio comune nei confronti di: persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni, lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile, ossia qualunque soggetto, coinvolto nell’attività realizzata dalla società benefit, anche indirettamente.
Il welfare aziendale come forma retributiva
Tuttavia, indipendentemente dalla forma giuridica dell’azienda e dalle finalità d’impresa (profit, no profit, benefit, cooperativa, ecc.) il datore di lavoro può adottare sistemi di welfare aziendale, che gli consentono di erogare ai propri dipendenti forme retributive “in natura” (ovvero non monetarie), sotto forma di beni o servizi, che non vengono assoggettate né a prelievo contributivo, né a imposizione fiscale. L’adozione di questo sistema retributivo (come unico dato tecnico, va detto) non può mai essere alternativo, ma, piuttosto, aggiuntivo, alle retribuzioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro. Per espressa previsione del Testo Unico delle imposte dirette (DPR 917/1986), in particolare gli artt. 51 e 100, i beni o i servizi oggetto di tale sistema agevolato attengono a sanità integrativa, previdenza complementare, trasporto pubblico, educazione e istruzione, assistenza a familiari anziani o non autosufficienti, ricreazione, assistenza sociale o sanitaria, o culto. Tale vantaggio è da considerarsi quale deroga al principio generale, secondo cui il reddito di lavoro dipendente, sul quale vengono versati contributi e tasse, è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo, percepiti in relazione al rapporto di lavoro.
Il welfare aziendale e la sussidiarietà
Lo spirito della norma si palesa nella individuazione delle forme retributive “in natura”, che il legislatore ha inteso agevolare. Con tutta evidenza, riferendoci alla elencazione riportata nel paragrafo precedente, si tratta di beni e servizi che riguardano la sfera sociale del lavoratore. Se vogliamo “tradurre” l’elencazione fatta prima, infatti, possiamo dire che stiamo parlando, a titolo solo esemplificativo e non esaustivo, di libri scolastici, rette universitarie, asili nido, trasporto pubblico, palestre, servizio di badanti, spese mediche, viaggi, babysitter, corsi di lingua, cinema, teatri, ecc. Ma anche buoni pasto e voucher di spesa (cosiddetti fringe benefit), che contribuiscono alla capacità di spesa dei lavoratori. In sostanza, l’azienda si affianca al pubblico, per integrare i servizi che questo non riesce a fornire. È un sistema, questo, che, oltre a garantire ai lavoratori un migliore tenore di vita, abbattendo il cuneo fiscale (ossia la differenza tra il costo sopportato dall’azienda ed il valore netto ricevuto dal lavoratore), crea circuiti virtuosi di partecipazione e di condivisione.
Il welfare territoriale e l’amministrazione condivisa
Una forma evoluta di welfare aziendale è quella che viene fatta confluire all’interno di sistemi di welfare territoriale, ove è l’ente locale che si fa carico di mettere in rete aziende, associazioni di categoria, enti del Terzo Settore, sindacati dei lavoratori, ordini professionali e altri stakeholder che, insieme, creano le condizioni affinché gli effetti positivi del welfare “privato” si riverberino sull’intera comunità territoriale. In tal modo, la verticalità del rapporto datore di lavoro – lavoratore e, quindi, anche la verticalità della forma retributiva del welfare aziendale, trova un suo sbocco in un rapporto trasversale nella struttura sociale, produttiva e culturale del territorio. Ciò significa, per esempio, organizzare forme di collaborazione, che consentano di creare convenzioni tra le aziende e gli erogatori di servizi locali, i negozi di vicinato, palestre, cinema, teatri, consentendo, così, al valore dei beni e servizi erogati dai datori di lavoro di creare ulteriore valore sul territorio, in una sorta di relazione in cui tutti i soggetti interessati “vincono”.
Il welfare territoriale e la mobilità sostenibile
Un ultimo esempio di come il welfare aziendale possa generare ricadute positive sul territorio, è riferito ad uno dei temi più sensibili che gli enti locali oggi si trovano ad affrontare, ovvero la mobilità. Abbiamo detto che una delle forme retributive in natura, che possono essere ricomprese nei piani di welfare aziendale, riguardano il trasporto pubblico. Indipendentemente dagli obblighi di legge, che riguardano pubbliche amministrazioni e aziende con determinati requisiti numerici, strutturare il piano spostamenti casa-lavoro nell’ambito di un progetto di welfare territoriale, consentirebbe allo stesso di mettere in relazione Ente Locale, aziende, gestore del trasporto pubblico e lavoratori fruitori del servizio. Soprattutto lì dove sono presenti siti di aggregazione di imprese (zone industriali, commerciali, ecc.), le forme di collaborazione potrebbero prevedere l’erogazione di abbonamenti o anche solo di rimborso per il trasporto pubblico, forme di car sharing, navette di trasporto privato, organizzazione degli orari di lavoro di ingresso e di uscita, mense, asili, istituzione del cosiddetto “maggiordomo aziendale”, che si occupa del disbrigo delle incombenze personali dei lavoratori e delle lavoratrici.
Per concludere, nel prendersi cura dei propri lavoratori, l’azienda può estendere gli effetti al territorio ove opera, creando le condizioni per la costruzione di un modello di gestione attento alla cura della propria comunità, trasformando, così, un rapporto tipicamente verticistico e gerarchico, non a caso definito rapporto di lavoro subordinato, in una potenziale fonte di sviluppo, in un’ottica di sostenibilità e di partecipazione attiva dei lavoratori/cittadini.
Claudio Cavaliere, Consulente del lavoro
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Immagine di copertina: Elf-Moondance su Pixabay