Le difficoltà nell’amministrazione dei rischi
La serie di eventi calamitosi che, negli ultimi anni, ha colpito il territorio nazionale ha evidenziato, con drammatica evidenza, le fragilità diffuse che attraversano ampie aree del Paese. Sullo sfondo di una tale condizione, le amministrazioni locali si trovano spesso a dover fronteggiare eventi emergenziali senza l’adeguato supporto di risorse e di personale specializzato. Tale condizione di sostanziale solitudine risulta particolarmente marcata nei Comuni di minore dimensione, che spesso non dispongono di una struttura amministrativa dedicata alla protezione civile, né di figure professionali con una formazione specifica nella gestione dei rischi e delle emergenze. A quest’insieme di difficoltà si aggiunge peraltro una condizione di mutamento del sistema climatico che è destinato ad aver un impatto significativo e crescente sull’intensità e sulla frequenza di alcuni eventi calamitosi, incidendo sulla piena efficacia dell’attività di previsione di tali eventi.
Per un modello di amministrazione condivisa dei rischi
A fronte di tali fattori di criticità, sta progressivamente maturando la consapevolezza dell’opportunità di costruire percorsi di convergenza tra amministrazione e cittadini in una prospettiva di amministrazione condivisa dei rischi, nonché la convinzione che l’applicazione del modello di amministrazione condivisa a tale settore possa effettivamente fare la differenza. L’idea alla base ricalca in fondo quella certezza su cui si fonda il modello dell’amministrazione condivisa, ovverosia che le persone non siano portatrici solo di bisogni, ma anche di capacità e che tali capacità possano essere messe a disposizione della comunità per contribuire a fornire risposte, insieme alle amministrazioni pubbliche, ai problemi di interesse generale, come la riduzione dei rischi che insistono sul territorio. Dunque, un modello di amministrazione che accoglie e valorizza le capacità; quelle stesse capacità, che, a ben osservare, intese come quella combinazione di punti di forza, attributi e risorse disponibili all’interno di un’organizzazione, di una comunità o di un sistema sociale funzionali alla protezione dall’evento calamitoso, rappresentano una componente del rischio nella sua moderna accezione.
L’applicazione del modello di amministrazione condivisa nel settore della gestione dei rischi sta comunque prendendo progressivamente forma anche sulla base di un tessuto normativo che orienta in tale direzione. In questi termini può intendersi ad esempio il d.lgs. 3 gennaio 2018, n. 1, e la connessa direttiva del 30 aprile 2021, con cui si è intervenuti nel senso di una complessiva valorizzazione dello strumento dei piani di protezione civile e, soprattutto, delle dinamiche partecipative alla base degli stessi. Come risulta dalla normativa vigente, infatti, nel processo di elaborazione, revisione e aggiornamento del piano deve essere assicurata la partecipazione dei cittadini, singoli e associati, che non si declina in una mera comunicazione o consultazione pubblica, bensì nella strutturazione di una dialettica in cui la cittadinanza caratterizza e informa, attraverso le proprie capacità, l’azione dell’autorità responsabile della pianificazione. L’idea di fondo è quindi quella di superare quell’approccio tradizionale alla pianificazione, in modo tale, da un lato, che si pervenga ad un maggiore accuratezza informativa, dall’altro, che la costruzione di una sintesi ad esito di tale dialettica sia l’occasione per condividere il patrimonio informativo, anche nei termini dell’accessibilità del piano rispetto alle vulnerabilità che insistono sul territorio, favorendo il rafforzamento della comunità medesima rispetto ai fattori di rischio.
Nell’analogo senso, può intendersi altresì la valorizzazione del contratto di fiume – uno strumento preposto a promuovere una visione condivisa del territorio che informi la gestione integrata e la valorizzazione del bacino a partire dalla condivisione tra amministrazione e cittadinanza di obiettivi, risorse e responsabilità – come strumento per la riduzione del rischio idrogeologico. Come si evince dalle disposizioni del d. l. 31 maggio 2021, n. 77, così come convertito in legge, il commissario di Governo contro il dissesto idrogeologico può difatti attuare interventi di manutenzione idraulica sostenibile e periodica dei bacini e sottobacini idrografici che mirino al mantenimento delle caratteristiche naturali dell’alveo e alla corretta manutenzione delle foci e della sezione fluviale anche attraverso gli stessi contratti di fiume.
L’incertezza come fattore di instabilità nel rapporto fiduciario
La costruzione di percorsi di convergenza che conducano ad un’amministrazione condivisa dei rischi si confronta con una difficoltà strutturale, ovverosia che le attività di previsione del rischio, in quanto intrinsecamente connotate da quote di incertezza, possono produrre risultati che non necessariamente trovano effettivo riscontro. A titolo esemplificativo, possono essere richiamate quelle casistiche in cui l’amministrazione, ad esito di un’attività di previsione meteorologica e a fronte di un’allerta, impone preventivamente misure restrittive che incidono sulla collettività, come la chiusura delle scuole. Ebbene, il timore diffuso è che, qualora l’evento previsto non si verifichi, si diffonda un clima di diffidenza nei confronti dell’amministrazione, con la conseguente incrinatura dell’equilibrio nel rapporto fiduciario costruito nel tempo. Da qui emerge con forza la necessità di una continua alimentazione del legame fiduciario tra la comunità locale e l’amministrazione, che porti ad identificare l’incertezza connessa ai rischi come un comune fattore di complessità con cui confrontarsi congiuntamente. Ebbene, rispetto a ciò, un contributo potrebbe derivare proprio dallo strumento dei patti di collaborazione.
Il patto di collaborazione di Bagnara calabra
Prima di comprendere in quali termini si ritiene che il patto di collaborazione possa contribuire significativamente nel rispondere a tale strutturale fattore di complessità, appare opportuno richiamare un recente caso di stipula di un patto di collaborazione per la realizzazione di attività di protezione civile. Il riferimento, nello specifico, è al patto “Insieme per la protezione civile”, firmato tra il comune di Bagnara Calabra e diverse associazioni. Guardando al contenuto del patto, le parti si sono impegnate in primo luogo ad esaminare in modo congiunto il contenuto del Piano di protezione civile e ad individuare le eventuali parti dello stesso che necessitano di un aggiornamento. A ciò si è altresì aggiunto l’impegno a produrre opuscoli informativi e altri strumenti di comunicazione necessari per informare la popolazione sui diversi rischi, sulle istruzioni da seguire in caso di allerta ed emergenza e sulle misure di autoprotezione da adottare. Oltre a ciò, amministrazione e associazioni hanno inoltre concordato la volontà, così come sintetizzata nel patto, di realizzare attività collettive di cura del territorio che contribuiscano alle finalità di protezione civile, favorendo la mitigazione dei rischi e il rafforzamento della comunità rispetto agli stessi.
La prima riunione del gruppo “Insieme per la Protezione Civile” (Immagine prelevata dalla pagina Facebook del Comune di Bagnara Calabra)
Per una comunità locale di protezione civile
Il patto di collaborazione firmato a Bagnara Calabra non costituisce un mero documento formale, rappresentando piuttosto uno strumento dinamico attraverso il quale favorire la costruzione di legami solidi e di un rapporto di fiducia con l’amministrazione a partire da un’attenzione riservata al tema della protezione civile. In questa ottica, quindi, il patto non si limita a definire obblighi e responsabilità, configurandosi piuttosto come un mezzo per alimentare la partecipazione attiva della cittadinanza intorno a ciò, promuovendo un senso di appartenenza collettiva. In altri termini, e guardando anche oltre l’esperienza bagnarese, il patto pone le basi per una comunità che, a partire da una maturata consapevolezza, riconosce il rischio come un elemento intrinseco del territorio e si confronta in modo condiviso con la dimensione di incertezza connessa ai rischi.
In questo senso, allora, il patto di collaborazione, nella sua apertura e inclusività, può intendersi come quello strumento generativo di uno spazio di incontro tra l’amministrazione, il volontariato organizzato di protezione civile che, vista la natura di struttura operativa del Servizio nazionale di protezione civile, presenta le sue specifiche peculiarità e il resto della società civile. Ebbene, tale spazio di incontro può costituire un terreno fertile su cui far crescere una comunità locale di protezione civile, diversa e ulteriore rispetto al Gruppo comunale di protezione civile, trattandosi di un ente del terzo settore costituito in forma specifica nell’apposito proposito di perseguire le finalità di protezione civile di cui all’art. 1 d.lgs. n.1/2018. Uno spazio in cui favorire l’integrazione della cittadinanza singola e dell’associazionismo ulteriore rispetto alle organizzazioni di volontariato di protezione civile, non solo per mettere a fattor comune le diverse competenze, saperi e capacità mettendole al servizio dell’interesse generale alla riduzione dei rischi che insistono sul territorio, ma anche per rafforzare il tessuto connettivo della comunità, anche nel proposito di ridurre la reattività improvvisata nelle ipotesi di emergenza. In quest’ottica, allora, muoversi in una tale direzione può favorire il riconoscimento della mitigazione del rischio come un impegno condiviso, stimolando l’accettazione del rischio non come elemento paralizzante, bensì come un’opportunità per il rafforzamento della resilienza della comunità e per la costruzione di un futuro più sicuro.
Riccardo Stupazzini, Labsus – Dottore di ricerca in “Diritto amministrativo europeo dell’ambiente”
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Immagine di copertina: Jonathan Ford su Unsplash