Sui margini e sui limiti nel concedere direttamente, a titolo gratuito e con l'attribuzione di ulteriori vantaggi la gestione di un centro sportivo comunale ad un'associazione sportiva dilettantistica

La richiesta di parere da parte del Comune

Con la deliberazione n. 251 del 17 dicembre 2024, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti si è pronunciata su una richiesta di parere del Comune di Monte Cremasco, volta a chiarire se l’amministrazione possa perseguire una delle proprie finalità istituzionali – l’avviamento e/o la facilitazione allo sport – mediante la stipula di una convenzione con un’associazione sportiva dilettantistica per la gestione del centro sportivo comunale. In particolare, la Corte, a seguito dello scrutinio di ammissibilità, si è pronunciata sui quesiti formulati dal Comune che riguardavano: la possibilità di concedere direttamente e a titolo gratuito l’uso e la gestione dell’impianto all’associazione; l’assunzione, da parte del Comune, di tutti gli oneri relativi alle utenze e alla manutenzione ordinaria e straordinaria; la facoltà per l’associazione di consentire l’utilizzo a terzi, anche mediante subaffitto, trattenendone integralmente i ricavi; e, infine, la possibilità di erogare un contributo annuo a sostegno delle attività.

Sull’affidamento diretto

Per quanto concerne il primo quesito, la Corte ha precisato una serie di vincoli normativi con i quali il Comune, nel procedere con l’affidamento diretto, dovrebbe confrontarsi. Si tratterebbe non solo dei vincoli derivanti dalla normativa di settore in materia di impianti sportivi (d.lgs. n. 38/2021), in conformità alla quale gli affidamenti degli impianti sportivi deve avere luogo nel rispetto delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (art. 6, co. 3), ma anche dei vincoli più generali dello stesso Codice, nel quale i contratti attivi sono intesi come quei contratti da cui potrebbe derivare un’entrata per l’amministrazione, per i quali, sebbene siano esclusi dall’ambito di applicazione dell’impianto normativo, trovano comunque applicazione i principi di risultato, di fiducia e di accesso al mercato.
Al di là dei vincoli che trovano fondamento nella normativa in materia di contratti pubblici, taluni limiti si evincerebbero anche al di fuori di essa, e, più di preciso, dall’art. 56 del Codice del Terzo settore. Invero, in conformità a tale norma, l’individuazione delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale con cui stipulare la convenzione è comunque fatta nel rispetto dei principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento, mediante procedure comparative riservate alle medesime. Per quest’insieme di ragioni, dunque, la Corte dei conti perviene in modo condivisibile alla conclusione che l’impiego di una procedura a carattere latamente selettivo costituisca la modalità più appropriata per l’individuazione dell’affidatario, come peraltro già precisato in precedenza (Corte dei conti, sez. contr. Puglia, n. 106/2022).

Sulla gratuità e sugli altri vantaggi patrimoniali

Intorno ai profili che attengono ai vantaggi patrimoniali per l’associazione che deriverebbero dalla convenzione, ovverosia la possibilità di concedere la gestione dell’impianto all’associazione a titolo gratuito, di consentire l’utilizzo dell’immobile a terzi e di trattenerne i ricavi, nonché di erogare un contributo annuo a sostegno delle attività, la Corte sembra riconoscere taluni margini, pur nel rispetto di alcune condizioni che nel parere vengono rammentate.
Rispetto al primo aspetto, viene ricordato che il principio di redditività dei beni costituisca la regola generale e tipica della valorizzazione del patrimonio a tal punto che un’eventuale deroga a tale principio apparirebbe giustificata esclusivamente dall’assenza di scopo di lucro dell’attività concretamente realizzata.
Relativamente alle altre due ipotesi, la Corte precisa invece che si tratterebbe di possibilità dal carattere accessorio, che andrebbero imprescindibilmente coniugate con la disamina circa la reale sussistenza in concreto di espliciti scopi di attività sociale commisurati con la capacità del concessionario di soddisfarli, in ossequio sia al principio di sussidiarietà orizzontale, sia alle previsioni di cui all’art. 12 l. n. 241/1990. Sul punto preme precisare che, a parere di chi scrive, la possibilità di erogare un contributo annuo a sostegno delle attività dovrebbe comunque confrontarsi anche con le previsioni di cui all’art. 56, co. 2, del Codice del terzo settore, nell’ipotesi in cui si decida di ricorrere ad un tipo di convenzione che trova in questo articolo la propria base giuridica. In particolare, in conformità a tali disposizioni, le convenzioni in questione possono prevedere esclusivamente il rimborso alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di promozione sociale delle spese effettivamente sostenute e documentate. In tal caso, dunque, si ritiene che il contributo annuo in parola debba assumere tale forma.

La robustezza della motivazione e la periodicità dei controlli

Nel complesso, dunque, anche in questa occasione la Corte dei conti ha ribadito il proprio consolidato orientamento per cui la regola ordinaria che informa la gestione dei beni pubblici sia quella della valorizzazione economica del bene (Corte dei conti, sez. contr. Veneto, delibera n. 33/2009). Nonostante ciò, la Corte ha comunque riconosciuto che la mancata produzione di reddito derivante dalla valorizzazione economica dell’immobile potrebbe essere compensata dal perseguimento di un interesse pubblico equivalente o addirittura superiore (Corte dei conti, sez. contr. Veneto, n. 716/2012; Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, n. 349/2011), come quello che emergerebbe dalla spiccata valenza sociale delle esperienze che sono alla base di alternative forme di valorizzazione del bene.
Si tratta, ad ogni modo, di possibilità che possono concretamente trovare spazio nel rispetto dei dovuti vincoli e condizioni e comunque ad esito di attente valutazioni comparative degli interessi che insistono intorno al bene, anche a fronte dei cospicui vantaggi che verrebbero riconosciuti all’associazione. Per tale ragione, la Corte precisa in sede conclusiva in modo condivisibile, per un verso, che l’apertura a tali possibilità sia comunque subordinata ad un robusto apparato motivazionale, nel quale emerga chiaramente l’iter logico seguito dall’amministrazione nell’esprimere una preferenza per tali soluzioni, per un altro, che l’amministrazione accompagni la decisione ad attività di controllo periodico volte a verificare nel concreto l’andamento della gestione dell’impianto in rapporto con gli interessi della collettività.
In conclusione, dunque, si registra un’apprezzabile apertura della Corte, in virtù della quale non viene escluso che forme di gestione dei beni alternative alla valorizzazione economica siano comunque in linea con la sana gestione del patrimonio pubblico.

Immagine di copertina: Komarov Egor 🇺🇦 su Unsplash

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