Con la deliberazione n. 36 del 21/05/2024, la Sezione Regionale di controllo per l’Emilia-Romagna della Corte dei Conti, si è pronunciata sui limiti per una società di ricorrere al partenariato sociale (cd. baratto amministrativo) per sostituire il pagamento di un debito tributario con una prestazione di natura diversa correlata al trasferimento di un bene immobile al Comune.
La richiesta di parere da parte del comune
Il Comune di Bomporto chiede alla Sezione Regionale di controllo per l’Emilia-Romagna un parere in merito alla possibilità di concludere un contratto di compravendita di un immobile da destinare ad uso pubblico, nonostante la proprietà risulti debitrice ai fini IMU, e l’immobile sia per questo gravato da ipoteca. Il secondo quesito, funzionalmente collegato al primo, riguarda la possibilità per la cooperativa, essendo in liquidazione volontaria, di sostituire la prestazione del pagamento del debito con una prestazione di natura diversa correlata al trasferimento del bene.
L’inapplicabilità degli strumenti civilistici alla fattispecie in concreto
Il primo dubbio sciolto dalla Corte riguarda l’applicabilità, ipotizzata dal comune, degli strumenti civilistici della datio in solutum e della compensazione. Pur riconoscendo la tendenziale riferibilità dei principi civilistici alla materia tributaria, la sezione mantiene un orientamento restrittivo del principio di legalità, concludendo per l’inutilizzabilità di entrambi gli istituti nella fattispecie in concreto.
In via incidentale, la corte fa inoltre un importante monito contro il rischio di trasporre nel diritto amministrativo istituti e categorie civilistiche laddove non vi sia effettivamente una lacuna legis, istituendo tra i due settori dell’ordinamento parallelismi […] forieri di equivoci (Cons. St., sez. III, 2 Settembre 2013, n. 4364).
L’individuazione della via amministrativa: il partenariato sociale
Scartata l’opzione civilistica, la Sezione ritiene opportuno analizzare piuttosto l’applicabilità di disposizioni di matrice amministrativa abdicative e transattive di potestà tributarie. Viene così in rilievo l’istituto del “baratto amministrativo”, precedentemente previsto dall’art. 190 del D.lgs. n. 50/2016, ora assorbito, insieme agli “interventi di sussidiarietà orizzontale”, dall’istituto del “partenariato sociale» (Art. 201 del d.lgs. n. 36/2023) . Questo istituto prevede la possibilità per l’ente locale di concedere incentivi fiscali a fronte di un impegno dei beneficiari in attività di cura o gestione di beni comuni ovvero in opere di interesse generale.
La sezione definisce l’istituto de quo come “sicuramente diverso” sia dalla prestazione in luogo dell’adempimento, sia dalla compensazione, richiamando, a sostegno, l’inammissibilità di questo quale modalità di estinzione di tributi già iscritti tra i residui attivi dell’ente, come chiarito dalla propria deliberazione n. 27/2016/PAR (commentata da questa Rivista).
Tale impostazione, tuttavia, non appare convincente. Piuttosto che insistere su una presunta differenza ontologica, sarebbe stato più opportuno, anche in virtù della sentenza richiamata, limitarsi ad affermare che il baratto amministrativo, pur configurandosi di fatto come una datio in solutum — come pacificamente riconosciuto dalla relazione illustrativa all’attuale Codice dei contratti — non può tuttavia essere utilizzato come tale quando i crediti tributari sono già sorti.
L’allontanamento dall’impostazione prevalente porta con sé il rischio di opacizzare ulteriormente un istituto già ambiguo, favorendone letture distorte o arbitrarie, come quella che erroneamente lo associa agli strumenti di amministrazione condivisa.
Il principio del buon andamento: la necessità e la convenienza dello strumento
L’istituto trova nella fattispecie concreta una serie di limitazioni e ostacoli, a partire dal principio del buon andamento dell’azione amministrativa. Il giudice contabile afferma come ormai, dopo la declinazione in termini economici di tale principio da parte della novella dell’art. 97 Cost, non si possa più prescindere, nello scrutinio della legittimità dell’azione amministrativa, da una valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti e le spese sostenute. I criteri di economicità e di efficacia assumono, in altre parole, uno specifico rilievo nel giudizio di responsabilità, fino al punto di far passare in subordine la funzionalizzazione stessa dell’attività dell’ente alle finalità istituzionali. Questa infatti, stando a quanto affermato dalla Corte, che non appare troppo convincente su questo punto, sembrerebbe rilevare nella postulazione dell’utilizzo legittimo degli strumenti “solo se e nella misura in cui venga dimostrato in modo analitico che essi (i. e. gli strumenti) siano necessari e convenienti per il corretto perseguimento delle proprie finalità istituzionali pubbliche”.
Le perplessità della corte attorno al principio di imparzialità
La corte individua un ulteriore limite nel principio di imparzialità. Anche sotto la vigenza dell’attuale Codice, infatti, vale l’orientamento per cui i contratti aventi ad oggetto l’acquisto di immobili, sebbene esclusi dall’ambito applicativo del codice, devono comunque rispettare i principi generali dell’azione amministrativa, oggi declinati nei criteri di risultato, fiducia e accesso al mercato. In tale contesto, la possibilità di ricorrere a strumenti come il baratto amministrativo, in potenziale frizione con i principi concorsuali (si veda Sez. Aut., deliberazione n. 2/SEZAUT/2020/QMIG) impone un’attenta valutazione. Nel caso specifico a preoccupare la Corte sembrerebbe essere la difficoltà di liquidare la prestazione commutativa dedotta, ossia il trasferimento di un bene immobile, con il conseguente rischio di un vulnus alla parità di condizioni rispetto ad altri potenziali concorrenti che potrebbero offrire invece la prestazione in denaro.
La riferibilità dell’istituto a una disciplina generale e astratta
La corte prosegue l’analisi ragionando attorno al principio dell’indisponibilità dell’obbligo tributario, cui il partenariato sociale sembrerebbe costituire una vera e propria deroga. L’orientamento richiamato, considerato coerente con l’attuale vigenza del codice, concepisce infatti la norma come il risultato di un bilanciamento di interessi, sulla base del quale il legislatore si è espresso in favore delle esigenze costituzionalmente garantite dal principio di sussidiarietà orizzontale, consentendo all’Ente di rinunciare alla potestà impositiva prevista dalla legge in funzione del recupero del valore sociale della partecipazione dei cittadini alla comunità di riferimento. Tuttavia, affinché l’ente possa effettivamente disporre dell’obbligazione tributaria, rimane necessario un atto generale che predetermini i criteri della successiva azione amministrativa e che non possa, quindi, riferirsi a crediti già esistenti.
È questo, in definitiva, l’ostacolo più evidente che la corte individua rispetto alla soluzione prospettata dal Comune, dato anche l’inevitabile riflesso sul principio dell’equilibrio di bilancio, ossequiabile solo attraverso una disciplina regolamentare che definisca le ipotesi in cui ammettere le agevolazioni permettendo di stimare in anticipo la minore entrata.
In conclusione, la delibera conferma la pratica inattuazione del partenariato sociale e del baratto amministrativo, soprattutto dopo la loro introduzione nel Codice dei contratti pubblici nel 2016. Tuttavia, se da un lato, il parere appare convincente per quanti escludono il partenariato sociale dall’ambito dell’amministrazione condivisa, dall’altro le motivazioni addotte risultano, in generale, poco condivisibili, quando riaffermano una priorità della valorizzazione economica che, in altre occasioni — come documentato da questa stessa Rivista — è stata invece smentita dalla Corte dei conti.
Immagine di copertina: Eleonora Gaini su Unsplash