Dal basso, nuovi benefici per la democrazia a tutti i livelli di governo

Democrazia in trasformazione: una prospettiva multilivello

Negli ultimi anni tantissimi studiosi e amministratori hanno iniziato a domandarsi come sia possibile innovare, rinnovare, trasformare la democrazia. Se consideriamo la democrazia come sistema politico di governola peggiore forma di governo, eccetto tutte le altre che di tanto in tanto sono state sperimentate, come sosteneva Churchill – e allo stesso tempo come un principio costituzionale cardine degli ordinamenti giuridici e degli stati in particolar modo europei, questa domanda si pone con sempre più urgenza, soprattutto se guardiamo ai numeri sempre più bassi di partecipazione dei cittadini al voto (si vedano per esempio i dati forniti da International IDEA).
La partecipazione democratica dei cittadini tramite i tradizionali canali della cd. democrazia rappresentativa – il voto alle elezioni, il sistema dei partiti, le assemblee rappresentative – ha visto ondate democratiche in Italia così come nel resto del mondo rivolte a chiedere maggiori canali partecipativi tramite strumenti di democrazia cd. partecipativa, deliberativa o diretta. Questi canali aggiuntivi sono stati sviluppati a diversi livelli di governo (locale, regionale, nazionale, sovranazionale), e tramite diverse modalità (radicamento in costituzione, previsioni di legge, oppure strumenti di policy).
In particolare, adottare una prospettiva multilivello alla democrazia è fondamentale perché ci permette di guardarla in base al contesto e vicinanza o lontananza tra autorità pubbliche e cittadini. Ogni livello della democrazia corrisponde infatti, in primis, ad una rispettiva assemblea elettiva. Da questo punto di vista, per esempio nel contesto italiano, possiamo riferirci in modo diverso alla democrazia locale per guardare alla democrazia nei nostri enti locali, alla democrazia regionale per guardare alla democrazia nelle nostre regioni, alla democrazia a livello nazionale per guardare la situazione complessiva a livello nazionale, e infine alla democrazia sovranazionale per guardare alla democrazia nel contesto dell’Unione Europea (UE). Ciascun livello di democrazia permette strumenti diversi di partecipazione democratica e quindi canali di coinvolgimento dei cittadini diversificati.

Innovazioni democratiche: di cosa parliamo?

Decine di migliaia sono le forme di partecipazione democratica che vari livelli di governo hanno nel tempo sperimentato aggiungendole ai tradizionali canali di democrazia rappresentativa (per una panoramica generale, si veda la piattaforma Participedia). Da qualche anno gli studiosi usano la categoria delle “innovazioni democratiche” (democratic innovations) per classificare e riordinare le diverse possibilità di partecipazione democratica che cercando di ripensare e approfondire il ruolo dei cittadini nei processi di governance, aumentando le opportunità di partecipazione, deliberazione e influenza. Secondo una delle più recenti classificazioni, le innovazioni democratiche possono essere ricondotte essenzialmente a quattro grandi famiglie.
La prima è quella dei cosiddetti ‘mini-publics’, cioè quel gruppo di forme partecipative (per esempio, assemblee dei cittadini, giurie dei cittadini, conferenze di consenso, sondaggi deliberativi) che comprende organi consultivi formati da cittadini estratti a sorte che – usando lo strumento della deliberazione – forniscono raccomandazioni su questioni specifiche utili al processo decisionale pubblico.
La seconda famiglia comprende tutte quelle forme di cd. bilancio partecipativo, riferendosi a processi in cui i cittadini comuni possono partecipare esprimendo direttamente la propria opinione su come allocare il bilancio pubblico.
La terza è quella dei referendum e iniziative dei cittadini, e riguarda vari casi di democrazia diretta che sono stati spesso istituzionalizzati attraverso leggi oppure inclusi nei testi costituzionali.
La quarta famiglia – quella più variegata – riguarda tutte quelle pratiche riconducibili ad una governance collaborativa, ossia pratiche che per lo più a livello locale mirano a favorire una collaborazione tra attori statali e cittadini, spesso attraverso la mediazione di altri soggetti come ONG o gruppi comunitari, al fine di produrre specifici risultati di policy. Per ‘governance’ si intendono forme di governo in cui sono inclusi altri attori oltre ai tradizionali livelli di governo; ‘collaborativa’ riguarda una modalità orizzontale e non gerarchica di processo decisionale (e successiva implementazione). In particolare, a livello internazionale le pratiche di governance collaborativa vedono i cittadini come contributori attivi nella produzione e nell’erogazione di politiche e servizi pubblici.

Il ruolo di regioni ed enti locali nelle innovazioni democratiche

Da uno sguardo al contesto europeo, emerge che più uno stato ha una forma regionale o federale in cui quindi maggiore è il livello di autonomia degli enti subnazionali, maggiori sono le probabilità che questi livelli di democrazia “intermedi” abbiano sviluppato forme innovative di partecipazione per i cittadini.
Questo è il caso di molte regioni che hanno nel tempo adottato delle leggi sulla partecipazione, in questo modo istituzionalizzando – tramite lo strumento legislativo – la possibilità di canali aggiuntivi di partecipazione democratica in parallelo ai classici canali rappresentativi. È il caso, per esempio, della Regione Toscana – tra le prime al mondo ad aver adottato una legge simile (l.r. n.69/2007) – o del Land austriaco di Vorarlberg, o della Comunità autonoma dell’Aragona. Le regioni, in sintesi, possono contribuire con strumenti legislativi veri e propri per dare quadri giuridici di natura generale su cui i loro enti locali possono contare in mancanza di previsioni a livello nazionale per sperimentare forme innovative di partecipazione.
In aggiunta al contributo che può venire dal livello regionale, l’aspetto interessante di molte forme di innovazione democratica è che in generale si sviluppano con maggiore frequenza a livello locale – il più vicino ai cittadini. Per esempio, se guardiamo in particolare alle forme deliberative, i dati che emergono da un recente rapporto dell’OECD dimostrano che più della metà dei casi mappati si svolgono a livello locale – in questo modo evidenziando il ruolo davvero centrale di comuni, città ed altri enti locali. L’aspetto che gioca un ruolo fondamentale è che gli enti locali, infatti, hanno il vantaggio di poter far leva sulla loro capacità di autogoverno, in primis legittimata a livello costituzionale europeo dalla Carta europea dell’autonomia locale adottata nel 1985 dal Consiglio d’Europa (CoE) e ad oggi ratificata da tutti i 46 stati membri del CoE (tra cui l’Italia). Questa permette loro di regolamentare autonomamente forme innovative di partecipazione, pur in mancanza di quadri giuridici validi a livello nazionale.

L’amministrazione condivisa come innovazione democratica: valore politico

L’amministrazione condivisa è un modello organizzativo nato nel diritto amministrativo, ma che negli anni è andato ben oltre il mero ripensamento del coinvolgimento dei cittadini nei procedimenti amministrativi, arrivando piuttosto a proporre di fatto un modello di relazione tra individui e istituzioni pubbliche totalmente nuovo, con capacità di incidere a 360 gradi sulla società ben oltre il diritto.
L’amministrazione condivisa è una innovazione democratica, e può dunque essere messa in rete con le tante altre innovazioni democratiche oltre i confini nazionali per alcuni motivi fondamentali. Come innovazione democratica, il suo valore politico sta nella sua capacità di andare oltre alle divisioni partitiche in virtù del suo ancoraggio alla struttura amministrativa; allo stesso tempo, la trasformazione dell’impostazione dell’amministrazione pubblica in ottica di amministrazione condivisa è prima di tutto una scelta politica: senza questa – e senza quindi un impegno concreto e visione da parte della componente politica dell’amministrazione – un reale cambiamento in ottica orizzontale e collaborativa non è possibile.
Alla luce di quello che abbiamo detto fin qua sulle innovazioni democratiche, è possibile sostenere che l’amministrazione condivisa sia riconducibile alla più ampia panoramica internazionale delle innovazioni democratiche. In particolare, consiste in una forma di governance collaborativa in cui i cittadini – grazie al loro contributo alla definizione di obiettivi interesse generale – contribuiscono alla definizione ‘sul campo’ di politiche e di servizi aperti alla comunità più ampia. È una forma di partecipazione democratica che cerca di ripensare il ruolo dei cittadini, in cui la loro partecipazione e possibilità di influenzare il processo decisionale è possibile grazie non solo al modello organizzativo affinato negli anni dall’amministrazione condivisa (regolamento e patti di collaborazione), ma anche alla previsione costituzionale del principio di sussidiarietà orizzontale. Inoltre, è una forma di innovazione democratica che ad oggi vede il supporto sia di enti locali – comuni, città metropolitane, province e altri enti locali – sia di regioni – per esempio, ad oggi sono otto le regioni che hanno adottato leggi che riguardano l’amministrazione condivisa. Da ultimo, i beni comuni che costituiscono l’oggetto prevalente delle migliaia di forme di amministrazione condivisa in Italia oggi possono essere considerati loro stessi come innovazione democratica in quanto forniscono il terreno sul quale si possono sviluppare forme nuove di partecipazione democratica dei cittadini.

L’amministrazione condivisa come innovazione democratica: valore costituzionale

Oltre al valore politico, l’amministrazione condivisa come modello di innovazione democratica porta con sé anche un valore costituzionale di grande rilevanza, soprattutto se guardato nel panorama internazionale. Questo valore costituzionale si trova in alcuni aspetti che caratterizzano questo modello che, grazie alla loro valenza universale, possono essere ritrovati nelle costituzioni di tanti altri paesi nel mondo e, di conseguenza, essere usati come “leva” per creare nuovi modelli organizzativi capaci di innovare le democrazie – a tutti i livelli.
Il primo aspetto è l’autonomia: questo modello permette di riconoscere l’autonomia civica del singolo (oltre la collettività) in parallelo all’autonomia pubblica delle istituzioni.
Il secondo è la valorizzazione del pluralismo sociale: la possibilità per ciascuno di contribuire all’interesse generale in collaborazione con le istituzioni permette di far rientrare in canali istituzionali e formali un pluralismo sociale che spesso fatica ad essere riconosciuto e trovare spazio nelle arene pubbliche.
Il terzo è la valorizzazione del pluralismo istituzionale: questo permette una valorizzazione dei diversi livelli della democrazia, permettendo a ciascuna autorità pubblica di agire in ottica di amministrazione condivisa.
Il quarto è il riconoscimento della partecipazione: questa è componente integrante dell’amministrazione condivisa, e si realizza in entrambe le sue componenti decisionale e pratica (partecipazione al decidere e al fare).
Il quinto è la valorizzazione della solidarietà: l’amministrazione condivisa permette il riconoscimento a livello istituzionale di forme di partecipazione democratica basate su logiche solidali e non competitive.
Il sesto aspetto è l’autogoverno locale: l’amministrazione condivisa è realizzata in primis sulla base della potestà regolamentare degli enti locali (articolo 117, comma VI Costituzione). Questa, a sua volta, rientra nella capacità di autogoverno locale prevista anche a livello internazionale, in primis dalla Carta del Consiglio d’Europa del 1985 menzionata sopra di chiaro valore costituzionale.
In conclusione, questi sono solo alcuni tra gli aspetti di valore costituzionale che possono essere ricavati dal modello organizzativo dell’amministrazione condivisa. Nata dalle solide radici del principio di sussidiarietà introdotto nella costituzione italiana all’articolo 118, IV comma, infatti, l’amministrazione condivisa negli anni si è consolidata grazie soprattutto alla sua capacità di riflettere e assorbire principi e valori di portata universale ben oltre il suo intento originario.

Chiara Salati, ricercatrice post-doc presso Eurac Research – Istituto di studi federali comparati e caporedattrice della sezione ‘Patti di collaborazione’ di Labsus.

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Immagine di copertina: Sonhador Trindade su Unsplash