In Piemonte la concorrenza non è aperta alle ONLUS

La negazione della partecipazione a gara delle Onlus appare illogica se fondata su motivi che sono estranei alle regole di trasparenza e concorrenzialità  delle gare di appalto

La sentenza

Il giudice piemontese ha ribadito per ben tre volte nel corso dell’ultimo anno la propria contrarietà  alla partecipazione di organizzazioni di volontariato alle procedure di affidamento di servizi sociali (cfr. anche TAR Piemonte, sez. II, 15 aprile 25, n. 143 e 12 giugno 26 n. 2323).
L’orientamento del TAR Piemonte (ma si pongono sulla stessa lunghezza d’onda anche TAR Emilia Romagna, Sezione II, 14 giugno 25, n. 822 e TAR Campania, Sezione I, 21 marzo 26, n. 319) si fonda su un’interpretazione (forse eccessivamente) rigida dell’art. 5 della legge 266/1991 (legge quadro sul volontariato).
Alla stregua di siffatta disposizione i proventi delle associazioni devono essere costituiti esclusivamente da «rimborsi derivanti dalle convenzioni » e da «attività  commerciali e produttive marginali ».
Ora, sotto il primo profilo, secondo il giudice piemontese, le “convenzioni” di cui al citato art. 5 della legge 266/1991 hanno «natura completamente diversa rispetto ai rapporti contrattuali instaurati […] all’esito di una procedura di selezione operata da una pubblica amministrazione » e, in particolare «le anzidette convenzioni rappresentano uno strumento del tutto peculiare, che prescinde dalle regole della concorrenza al fine di promuovere attività  realizzabili solo con il diretto coinvolgimento delle associazioni di volontariato nel sistema d’interventi e servizi di solidarietà , condizionato però dalla normativa di riferimento alla salvaguardia della natura e finalità  (art. 3 DPCM 3 marzo 21) dell’autonomia e dell’apporto originale (art. 1 legge regionale 38/1994) delle stesse associazioni di volontariato ».

Sotto il secondo profilo, dapprima si sostiene che gli appalti pubblici non possono rientrare nella categoria delle «attività  commerciali e produttive marginali ». Essi, infatti, «presuppongono l’espletamento di una procedura di selezione del contraente fondata sulla comparazione delle offerte con criteri concorrenziali di convenienza tecnico-economica, per definizione incompatibile con la natura dell’attività  di volontariato ».
Poi, si aggiunge che «la possibilità  per le associazioni di volontariato di usufruire di entrate derivanti da “attività  commerciali e produttive marginali”, prevista dall’art. 5 della legge 266/1991, è ipotesi che si discosta dalle attività  esercitate a scopo di lucro e soggette alla logica di mercato ». Infatti, il provvedimento regolamentare emanato su delega della legge quadro e contenente i criteri per l’individuazione delle attività  commerciali e produttive marginali svolte dalle organizzazioni di volontariato (D.M. 25 maggio 1995) dispone che «tali attività  devono essere svolte “senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità  sul mercato, quali l’uso di pubblicità  dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell’impresa” e, non a caso, il D.P.C.M. 3 marzo 21, deputato a precisare il ruolo del terzo settore nella programmazione e gestione dei servizi alla persona, consente che le organizzazioni di volontariato vengano coinvolte “nei servizi e nelle prestazioni anche di carattere promozionale complementari a servizi che richiedono una organizzazione complessa” ma precisa espressamente che il requisito della professionalità , assente per natura nelle associazioni di volontariato, resta indispensabile ogni volta che debbano essere garantiti servizi la cui complessità  ne escluda il carattere di complementarietà  nel contesto dell’organizzazione dell’erogazione del servizio stesso ».

Il commento

Ma le conclusioni di un ragionamento cosìmacchinoso rivelano la fragilità  dell’impianto argomentativo.
Infatti, secondo il TAR Piemonte, la partecipazione ad una procedura di selezione concorrenziale dovrebbe di regola essere preclusa alle associazioni di volontariato in quanto le stesse non potrebbero «avvalersi di proventi che deriverebbero dal discendente contratto sinallagmatico, pena la violazione delle norme e dei principi fondamentali sopra richiamati ».
Il problema non è, dunque, l’alterazione di principi interni ai meccanismi di evidenza pubblica, quanto l’inosservanza delle regole che presiedono al riconoscimento delle associazioni di volontariato di determinate agevolazioni (fiscali ed economiche). Si ammette cioè che la normativa di evidenza pubblica non impone – né espressamente, né a livello di principi – un divieto di partecipazione alle gare per leonlus. Tale divieto deriverebbe indirettamente dalla impossibilità  per le onlus di utilizzare il corrispettivo delle prestazioni rese al committente pubblico.
Non solo. Siffatta conclusione si rivela del tutto illogica. L’affidamento diretto di servizi sociali mediante stipula di una convenzioneex art. 7 della legge 266/1991 con un’associazione di volontariato non solleva alcun dubbio di legittimità . Viceversa, l’espletamento di una procedura competitiva per la selezione del migliore offerente cui aggiudicare la prestazione dei medesimi servizi o di servizi ad essi comunque assimilabili automaticamente esclude i soggetti del terzo settore.
Senza considerare la perdita in termini di tasso di competitività  di procedure concorsuali per l’affidamento di servizi sociali e di livello di affidabilità  del contraente della p.a. Infatti, il risultato illogico cui conduce questo orientamento è che vengono estromessi dal loro principale campo di intervento – e cioè i servizi sociali quali l’assistenza sociale o i servizi alla persona – proprio i soggetti più attrezzati nell’erogazione di queste prestazioni.
Da ultimo, il giudice piemontese nelle sue conclusioni afferma anche che «il regime di favore di cui gode, sotto vari aspetti (fiscale, previdenziale, etc.), l’anzidetta Associazione non può che alterare i normali parametri concorrenziali ed è, quindi, incompatibile con lo svolgimento di una procedura di selezione ». Sul punto si rinvia TAR Lazio, Sez. III-quater, 18 luglio 26, n. 5993 (pubblicata in questa rivista con commento di R. Cameli) che si è espressa a favore dell’apertura delle gare al terzo settore e che ha ricordato come per giurisprudenza comunitaria e interna costante il fatto di ricevere finanziamenti o agevolazioni pubbliche non comporti di per sé una alterazione dellapar condicio tra i concorrenti.
Diversamente, le imprese che hanno presentato ricorso, che in quanto cooperative sono titolari di numerose agevolazioni fiscali, non avrebbero ugualmente potuto aspirare a partecipare alla gara per l’affidamento del servizio di telesoccorso.Probabilmente, la soluzione di questa accesa diatriba giurisprudenziale passa attraverso una più chiara collocazione in rapporto ai servizi sociali – e dunque all’interno o all’esterno della categoria comunitaria dei servizi di interesse generale – delle attività  per cui l’iniziativa dei cittadini, singoli o associati, può (e forse deve[1]) esplicarsi autonomamente, nonché delle modalità  attraverso cui essa può essere “favorita” in attuazione dell’art. 118, comma 4, Cost. Se, tuttavia, il “favorire” consistesse nell’attribuzione di risorse pubbliche, si pone il problema di garantire il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e imparzialità  [2]. In certi casi, sarebbe difficilmente aggirabile il principio comunitario della gara per l’affidamento di siffatti servizi o attività  [3]. Ma, in questi casi, il principio della gara si accompagnerebbe al principio della massima partecipazione e, dunque, non vi sarebbe più spazio per esclusioni pregiudiziali di questa o quella categoria di potenziali concorrenti [4].


[1] G. Arena, Cittadini attivi, Roma-Bari, Laterza, 26, p. 11 ritiene che nel modello di amministrazione condivisa delineato dall’art. 118, u.c. della Costituzione «sono […] i cittadini che autonomamente si propongono all’amministrazione come alleati per perseguire insieme l’interesse generale ».

[2] Cfr. Comunicazione della Commissione su «Attuazione del programma comunitario di Lisbona: i servizi sociali d’interesse generale nell’Unione europea », COM(26) 177, 26 aprile 26, secondo cui «A livello generale, la giurisprudenza della Corte di giustizia […] stabilisce che il trattato dell’Unione europea riconosce agli Stati membri la libertà  di definire missioni d’interesse generale e di stabilire i principi organizzativi che ne derivano per i servizi destinati a metterle in pratica. Tuttavia questa libertà  deve esercitarsi in condizioni di trasparenza, senza abusare della nozione d’interesse generale. Nell’esercizio di questa facoltà  gli Stati membri devono tener conto del diritto comunitario allorquando determinano le modalità  di attuazione degli obiettivi e dei principi da essi stessi fissati. In tal modo, ad esempio, quando organizzano un servizio pubblico sono tenuti a rispettare il principio di non discriminazione e il diritto comunitario in tema di appalti pubblici e di concessioni. […] Un’autorità  pubblica può decidere di compensare gli oneri connessi allo svolgimento di una missione sociale d’interesse generale da parte di un organismo esterno. Questa compensazione finanziaria è destinata a coprire le spese risultanti dallo svolgimento della missione e che non sarebbero state sostenute da un ente operante esclusivamente in base ai criteri del mercato. A seguito di una sentenza della Corte, la Commissione ha adottato una decisione in materia di aiuti di Stato che ha già  notevolmente semplificato le esigenze relative alle compensazioni finanziarie ricevute da coloro che prestano servizi sociali e che ha fornito la necessaria certezza giuridica. La decisione definisce infatti soglie e criteri tali che le compensazioni percepite dalla maggior parte dei servizi sociali vengono d’ufficio considerate compatibili con le regole in materia di concorrenza. Per i pochi servizi sociali che non rispettano queste soglie e questi criteri rimane necessaria una notifica della compensazione finanziaria alla Commissione. Queste semplificazioni possono tuttavia applicarsi soltanto se ai servizi in questione è stata attribuita, mediante un «atto giuridico », una missione che ne sancisce il carattere d’interesse generale. La decisione della Commissione sollecita quindi gli Stati membri a rendere esplicite le missioni che affidano ai servizi sociali, in un’ottica di trasparenza utile per tutti, sia che si tratti dei servizi interessati, che degli utilizzatori ».

[3] Sempre la predetta Comunicazione afferma che «Se le autorità  pubbliche decidono di affidare la missione ad un partner esterno o di cooperare con il settore privato con un partenariato, può entrare in gioco la normativa comunitaria in materia di appalti pubblici e concessioni. In questi casi l’ente pubblico che attribuisce a un organismo esterno una missione sociale d’interesse generale deve, a titolo minimo, rispettare i principi di trasparenza, di parità  di trattamento e di proporzionalità . Inoltre, in alcuni casi le direttive sugli appalti pubblici impongono obblighi più concreti. Ad esempio, la direttiva 24/18/CE che riguarda fra l’altro gli appalti pubblici per i servizi, dispone che le autorità  aggiudicatrici definiscano specifiche tecniche per la documentazione relativa all’appalto, quali i bandi di gara, il capitolato d’oneri o la documentazione complementare. ».

[4] Per gli aspetti inerenti alla interferenze fra disciplina dei contratti della p.a. e convenzioni con il terzo settore cfr. P. Michiara, Le convenzioni tra pubblica amministrazione e terzo settore, Istituto Editoriale Regioni Italiane, Roma, 25.