La tre giorni reggiana può essere considerata un successo sotto molti punti di vista, ma soprattutto perché è riuscita a mettere in rete esperienze territoriali che si configurano come veri e propri laboratori di innovazione. Su queste esperienze di amministrazione condivisa, tutti sono chiamati ad aprire una riflessione.
Alla tavola rotonda finale, coordinata dal direttore generale del comune di Reggio Emilia Mauro Bonaretti, hanno preso parte Gregorio Arena (presidente Labsus), Augusto Vino (esperto di progettazione organizzativa), Teresa Petrangolini (segretario generale di Cittadinanzattiva), Guglielmo Minervini (assessore alla regione Puglia) e Agostino Fragai (assessore alla regione Toscana).
Bonaretti, riflettere sulla complessità
Si è scelta una modalità di lavoro intensa per poter ragionare seriamente su temi complessi, proprio in un momento in cui si parla della Pa solo in termini sbagliati, di inefficienza ” . Questa la spiegazione che Bonaretti ha offerto alla platea del convegno.
Riprendendo un filo rosso di queste giornate, Bonaretti ha affermato: ” credo molto nel valore della rappresentanza. I processi inclusivi e partecipativi non devono essere alternativi alla rappresentanza che legittima i corpi intermedi. La rappresentanza non è il vecchio da superare, va integrata ” .
Sul tema della responsabilità , Bonaretti ha sottolineato come chi viene eletto debba necessariamente farsene carico. ” Non bisogna quindi semplificare il passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella partecipativa ” .
Soprattutto, si è chiesto il direttore, dove si collocano i processi partecipativi? ” Su aspetti marginali e critici o su aspetti strutturali? Io credo che debbano toccare aspetti rilevanti della vita dell’amministrazione ” . Ma ” le competenze per gestire questi processi nell’amministrazione non ci sono ancora, né culturali né tecniche. Svilupparle non deve però tradursi nel costruire una professione che diventa corporazione, come è successo per gli urp.
Una provocazione Bonaretti l’ha lanciata sul ruolo dei media di fronte ai processi partecipativi. ” Siamo di fronte a una cattiva stampa – ha detto – che non ha paragoni in altri paesi. Sembra ormai che le politiche non solo siano costruite per i media, ma dai media stessi. Su questo tema bisognerebbe organizzare una giornata di lavoro ” .
Arena, stabilizzare i processi
Sintetizzando gli spunti emersi nella sessione di lavoro dedicata alla sussidiarietà , Arena ha voluto sottolineare tre aspetti. Pur notando che molti casi riguardavano più la partecipazione che la sussidiarietà , il presidente Labsus ha sottolineato che la riflessione vale per tutte le forme di amministrazione condivisa.
” Innanzitutto, c’è il problema è di consolidare le esperienze affinché non dipendano da variabili politiche. Bisonga istituzionalizzare questo modello di amministrazione per renderlo permanente. Governare con i cittadini, appunto. I casi nascono spesso per esigenze pragmatiche, ma bisogna pensare a come farlo diventare un modo normale di amministrare ”
La seconda criticità è nel tempo: ” le soluzioni che i cittadini attivi danno ai problemi richiedono più tempo, ma sono più profonde. E cambiano le domande oltre che le risposte. Ma la società sembra richiedere risposte semplici e immediate a problemi complessi. Diffondere queste esperienze, far vedere che danno garanzie nel tempo è fondamentale ” .
E proprio sulla complessità Arena ha proposto una riflessione. ” I cittadini attivi – ha detto – sanno dare risposte complesse a problemi complessi e diventano innovatori senza negare la complessità . Rendere più facili le scelte è utile, ma in molti casi non efficace. I cittadini sanno invece dare risposte efficaci. Sanno gestire la complessità , e questo è un grosso aiuto per le amministrazioni. L’innovazione nasce forse dal minor condizionamento, ma le amministrazioni devono imparare ad ascoltare ” .
Vino, una modalità di lavoro
“L’impressione è che il tema della partecipazione, della progettazione partecipata, è diventata una modalità disponibile di lavoro. Le amministrazioni la usano come pratiche e competenze disponibili. Non è più sperimentazione, è un elemento di evoluzione, che però non elimina il rischio delle variabili contingenti, che lo rendono precario ” . Cosìha sintetizzato le impressioni sulla sessione partecipazione il coordinatore Augusto Vino.
” Una risposta al tema dell’istituzionalizzazione inizia ad emergere – ha continuato – perché queste pratiche cominciano a fare massa critica. Ci si chiede quindi come lasciarne memoria nell’amministrazione. C’è una produzione di regolamenti che sono una risposta parziale, ma comunque vanno nella direzione di dare continuità di processo ” .
Anche Vino vede un nodo nella rappresentanza: ” con buon senso – ha spiegato però – si risolve guardando a cosa è rilevante alla scala in cui si agisceo. Bisogna individuare i protagonisti rilevanti di quel sistema sociale. Più si sale, più c’è una formalizzazione degli attori, ma non c’è contrapposizione ” .
Resta il nodo organizzativo. ” Se si ragiona a partire dai problemi – ha evidenziato Vino – i settori delle amministrazioni si sfaldano. Come gestisco processi integrati con strutture settoriali? E’ il tema della dialettica tra progetti e strutture di servizi. E’ una dialettica che non può essere eliminata, bisogna capire come gestirla a livello di modello organizzativo ” .
Fondamentale, per Vino, la ” valorizzazione di quello che fanno i partecipatori. In questa epoca in cui si guarda prevalentemente all’erogazione dei servizi, queste esperienze rischiano di essere penalizzate ” .
Petrangolini, guardare alla rilevanza
Petrangolini è ripartita dal confronto tra rappresentanza e rilevanza, fondamentale per l’organizzazione civica. ” E’ uno degli aspetti della riforma della politica – ha affermato -e bisogna comprendere i diversi livelli della partecipazione democratica. Esistono molte voci e molti livelli, anche oltre la rappresentanza tradizionale. Il tema della rilevanza, emerso dalla ricerca europea di Active Citizenship Network, dimostra che alle organizzazioni civiche si chiede di incarnare lo stesso modello di partiti e sindacati, che però appartengono a un’altra storia ” .
” Il criterio della rilevanza – ha proseguito Petrangolini – fa superare questa dialettica e cogliere le cose in più che fa l’organizzazione civica. Bisogna avere una visione più complessa della democrazia in un momento di crisi del modello tradizionale. Cittadinanzattiva fa politica ma non è partitica. Dove c’è il monopolio dell’interesse generale, la partecipazione esiste solo perché mi chiamano o perché porto la domanda ” .
Ma quali sono gli ostacoli alla partecipazione? ” Innanzitutto il tempo: le riunioni convocate la mattina limitano la partecipazione. Poi la continuità : la partecipazione spot non serve, serve un impegno pluriennale, serve il tempo di sedimentare il processo. E poi, l’asimmetria su ruoli e responsabilità di cittadini e amministrazioni. Bisogna trovare modalità più simmetriche ” .
Petrangolini si è chiesta anche se questi casi siano solo piccoli esperimenti o rappresentino un nuovo modello di sviluppo. ” A seconda di come l’interpreto – ha detto – il fenomeno cambia. Vanno superati i limiti alla sussidiarietà per costruire un paese diverso ”
Qualche spunto concreto: ” Cittadinanzattiva fa un rapporto sulle segnalazioni che, sulla Pa, sono sempre le stesse. Le amministrazioni dovrebbero prendere questi libri e cogliere i segnali dei cittadini, prenderli sul serio. Un altro campo di applicazione aperto, è quello della norma sulla partecipazione nei servizi pubblici locali, inserita con un comma in finanziaria. Il comune si affida al cittadino per valutare gli appaltatori e l’azienda deve prevedere fondi appositi per farsi valutare. Cosìsi esce dalla logica limitante della buona prassi ” .
Minervini, i cittadini sono necessari alla Pa
” Il quadro di contesto delle sperimentazioni a geometria variabile, ci dice che la Pa non se la passa bene ” . Lo ha affermato Minervini, che ha continuato: ” cresce una sensazione di irrilevanza della Pa che fa facile presa sulla stampa. Questo scarto della percezione tende a dilatarsi, ma la crisi della democrazia tradizionale è nella realtà ” .
Per questo, secondo Minervini, ” la democrazia partecipativa e deliberativa è una delle possibili risposte alla crisi della democrazia rappresentativa. Una risposta necessaria, a prescindere se sia migliore. L’amministrazione non deve distribuire risorse, ma moltiplicare le energie ” .
Come si fa, allora, a ridurre il gap tra realtà e amministrazione pubblica? ” Attraverso i cittadini ” , è la risposta convinta di Minervini. ” Non si può dare la partecipazione per legge ma solo attraverso un lungo percorso di sperimentazione di processi. Solo dopo la consuetudine può arrivare la norma. E’ il cambiamento che produce la norma, non il contrario ” .
Secondo Minervini, ” ogni esperienza partecipativa è leva di un cambiamento organizzativo. Se dilati la domanda, serve una rete più larga di raccolta di conoscenze. E’ una più efficace modalità di generazione di relazioni, che agisce sulla leva della fiducia. Bisogna ripensare l’amministrazione sul territorio come fautore di processi di cambiamento, alimentando unarivoluzione copernicana che metta al centro il cittadino e non l’amministrazione stessa ” .
” Man mano che cresce la sperimentazione – ha proseguito l’assessore – l’amministrazione scopre l’altra faccia della partecipazione: il problema del dar conto. E’ il tema della valutazione, affrontato da noi in maniera formale. La partecipazione rovescia la cultura della valutazione: è dar conto degli obiettivi delle politiche pubbliche. Bisogna mettere in condizione il cittadino di valutare. Non è un caso che a questi processi si accompagni la valutazione civica delle politiche pubbliche ” .
” Il cambiamento che stiamo attraversando – ha concluso Minervini – modifica non solo le culture burocratiche, ma anche quelle politiche. Non più comando ma regolazione. In questo senso siamo ancora ai primissimi passi. A consolarci di questa distanza c’è la consapevolezza della crescita della densità politica delle sperimentazioni. E’ un riconoscimento ottenuto sul campo con l’efficacia. Siamo agli inizi ma sulla strada giusta: si anticipa un cambiamento della realtà ” .
Fragai, un modello di legge
” In questi giorni – ha esordito Fragai – ci si è occupati non di un fatto marginale ma di una riflessione ampia sulla nostra democrazia. Il lavoro pionieristico di alcune amministrazioni dimostra che al fondo non ci sono molte altre ricette. Il problema immediato è il governo delle amministrazioni locali dove il decisionismo non funziona. Anche su temi secondari si mette a rischio il consenso. Un campo non ancora ben misurato, liberato dalla crisi dei partiti, che arrivavano fino agli spazi più piccoli. Oggi non presidiano più e in quello spazio o c’è una nuova forma di demcrazia, o ci sono gli interessi forti e le decisioni di breve periodo ” .
La regione Toscana ha emanato una legge sulla partecipazione articolata che Fragai ha illustrato. ” Per il legislatore la partecipazione deve diventare forma ordinaria dell’amministrazione. Le grandi opere di carattere regionale consentono alla regione ma anche ai cittadini di promuovere dibattiti partecipativi su certi temi, con un tempo limite di 6 mesi, in modo che la partecipazione non allunghi i tempi ” .
Altro punto della legge, ” il finanziamento dei progetti delle amministrazioni locali con 1 milione di euro l’anno, sia se presentati dai comuni, sia da un certo numero di cittadini. I comuni devono accettare le stesse condizioni che hanno i cittadini ” . E la legge ha anche effetti concreti: ” L’autorità garante, quando dà il via al processo, può sospendere gli atti amministrativi che ostacolano il processo. E’ uno degli aspetti più significativi ” .
Ma la legge non corre il rischio di imbrigliare la partecipazione? Il non di Fragai è stato netto. ” La legge non prescrive una forma particolare di partecipazione. L’autorità garantisce che le regole siano uguali per tutti. Non esiste il tema della rappresentanza, ognuno discute in prima persona, ed è garantita la partecipazione di tutti ” .