Nel libro, il principio di sussidiarietà nella sua dimensione “orizzontale” enfatizza la cittadinanza attiva dei singoli e il protagonismo delle comunità che si manifestano con diversi gradi di intensità

Il punto di partenza del lavoro è stata l’idea di affrontare il tema della sussidiarietà nell’intersezione tra uno status activae civitatis declinato al singolare e i diversi status activae civitatis corrispondenti a differenti esperienze comunitarie.

Valorizzare il ruolo dei cittadini attivi al di fuori dell’associazionismo

Sottolineare la dimensione dello status activae civitatis declinato al singolare – ma articolato in particolare nelle forme di una “citizenship of contribution”, di una “citizenry”, di una “cittadinanza societaria”, di una “cittadinanza urbana”, fino agli ultimi svolgimenti come “smart citizenship”, o “energy citizenship” – significa valorizzare anzitutto il ruolo dei cittadini attivi (anche) al di fuori dei classici circuiti dell’associazionismo, come emerge del resto anche nelle previsioni dei Regolamenti sull’amministrazione condivisa e nella prevalente prassi dei correlativi Patti di collaborazione.

La molteplicità di forme in cui si può manifestare la cittadinanza attiva

Ferma restando questa insopprimibile dimensione personale, l’attenzione si è soffermata poi sulla formula status activae civitatis declinata al plurale e in particolare sui differenti status activae civitatis legati alle molteplici declinazioni della nozione di comunità: “comunità contrattuali”, con le loro molteplici varianti e sfaccettature, “comunità patrimoniali” (o asset-based community organisations), “comunità di prossimità”, territory-communities, a diverse scale, che vanno dal condominio alla strada al quartiere, etc., smart communities, “comunità di progetto, di scopo, di pratiche”, fino alle recenti “comunità di bosco”, “comunità energetiche” e “green communities”.
La formula status activae civitatis viene utilizzata al plurale a significare la molteplicità di forme nelle quali si può manifestare, in relazione ai diversi milieaux, la cittadinanza attiva e il volume mira pertanto a ricondurre a una prospettiva unitaria e al tempo stesso articolata tali molteplici manifestazioni, cercando di mettere in luce il possibile protagonismo delle comunità, il loro coinvolgimento (o engagement) ed il loro empowerment, al quale fa riferimento il sottotitolo del lavoro.

I differenti stadi della sussidiarietà

La premessa implicita dalla quale si parte è il rifiuto di accedere a letture fondamentaliste e ideologicamente condizionate del principio della sussidiarietà, sia quelle che enfatizzano una società civile che fa da sola o in competizione agonistica con il settore pubblico, sia quelle che, viceversa, ostracizzano dall’arena della cittadinanza attiva e del community empowerment formule, strutture e moduli privatistici e d’impresa, dimenticando i crescenti processi di ibridazione tra pubblico e privato, o tra privato for profit e non profit.
Ne è conseguito il più realistico riconoscimento della sussistenza di differenti stadi della sussidiarietà, in un continuum che si snoda lungo una “scala della sussidiarietà”, sulla falsariga della nota ladder of participation, culminante nelle espressioni della co-amministrazione e della auto-amministrazione (o auto-governo) e in questa griglia si è cercato di ricondurre le molteplici esperienze di volta in volta prese ad esame.
Il volume non approfondisce l’ambito dei servizi, terreno già ampiamente arato dalla ricerca dottrinale in materia, per focalizzare piuttosto l’attenzione sulle problematiche legate alla cura, gestione, valorizzazione, rigenerazione dei beni – siano essi pubblici, privati o riconducibili all’emergente, ancorché discussa, categoria dei cd. beni comuni – alla tutela delle risorse naturali, alla pianificazione territoriale, alla “finanza ad impatto sociale” e attinge, in larga e forse inusuale misura, alle acquisizioni di ambiti scientifici metagiuridici in ragione dell’oggetto esaminato e del suo radicamento nelle esperienze concrete.

Le esperienze straniere

La prima parte del lavoro è dedicata a cogliere indicazioni provenienti da esperienze straniere, nelle quali è possibile evidenziare matrici che presentano talune significative assonanze con l’approccio veicolato dalla logica della sussidiarietà e che offrono spunti di riflessione, o talora interrogativi, rilevanti anche per l’implementazione di quest’ultima.
Le esperienze esaminate vengono distribuite secondo una progressione che, muovendo da una ricognizione generale di figure e modelli organizzativi emergenti (Community enterprises; Community Land Trusts e Community Development Corporations; Business Improvement Districts e Neighborhood Improvement Districts o Housing Improvement Districts; Sociétés coopératives d’intérêt collectif; Community foundations e Bürger-stiftungen; “privately governed residential communities”; co-housing; Planungszellen, Giurie civiche, citizens’ juries, Regie de quartiers; Community Benefit Agreements), si indirizza poi alle più specifiche espressioni della cittadinanza attiva nelle forme dell’impact investing, o “finanza ad impatto sociale” (civic crowdfunding e community shares; social impact bonds o pay for success bonds), alla vieppiù cruciale materia ambientale (Community gardening e jardins partagés; Park Conservancies; river contracts, o contrats de rivière, contrats de bassin, contrats de milieu, contrats Natura 2000, contrats pour le paysage, contrats territoriaux d’exploitation) per approdare infine alle proficue suggestioni provenienti dalla legislazione d’oltremanica in tema di community empowerment.

La realtà italiana

La seconda parte si focalizza su esperienze e attori del community empowerment nella realtà italiana, segnatamente sulle figure soggettive che manifestano, in grado diverso, i vari status activae civitatis: le c.d. comunità contrattuali (prendendo altresì in considerazione la recente disciplina in tema di domini collettivi, di associazioni fondiarie e di green communities); le imprese comunitarie, con particolare attenzione alle cooperative di comunità; le start-up innovative a vocazione sociale (SIaVS) e le società benefit; le fondazioni di comunità; i Community Land Trusts e le fondazioni aperte di scopo, di vicinato o comprensorio.

Le forme del community empowerment

La terza parte, in modo complementare, si incentra su strumenti, meccanismi e soluzioni istituzionali finalizzati a tale empowerment, privilegiandosi le realtà più attuali ed emergenti: si analizzano le forme del community empowerment nei beni comuni urbani (con approfondimento dei relativi regolamenti e dei patti di collaborazione e sussidiarietà nella loro evoluzione, nonché delle vicende concernenti il baratto amministrativo e il “partenariato “sociale”), nella pianificazione strategica e nella progettazione urbanistica, nell’edilizia residenziale sociale, nella “finanza ad impatto sociale” (civic crowdfunding; Titoli di Riduzione di Spesa Pubblica; “titoli di solidarietà” e social lending) e nella materia ambientale (contratti di fiume e di paesaggio e contratti e accordi di foresta; Rete Natura 2000 e “contratti territoriali”; aree verdi, giardini e orti urbani).

Caratteristiche e problematiche comuni

Dalle concrete esperienze analizzate si enucleano conclusivamente alcune caratteristiche e problematiche comuni, così sintetizzabili:
a) si evidenzia anzitutto la circostanza che quasi costantemente si parta da esperienze solo successivamente recepite dal formante normativo, con il riconoscimento dei cittadini come experience experts;
b) si riscontra una costante – reale o potenziale – dialettica tra spontaneismo e tendenze all’istituzionalizzazione e alla “ossificazione procedurale” delle vicende esaminate e la conseguente necessità di trovare un equilibrio tra la spontaneità/creatività caratteristica della cittadinanza attiva e i meccanismi della programmazione/progettazione pubblica, più o meno partecipata e più in generale di un rinnovato ruolo della sfera pubblica stricto sensu;
c) sulla premessa che l’interesse generale stesso possa risultare graduabile e che correlativamente ci possono essere gradi diversi di generalità delle attività sussidiarie, si enucleano alcune coordinate utili a disegnare le condizioni per la “apertura in generalità”, o “crescita in generalità”, delle manifestazioni di cittadinanza attiva, il che appare, anche ai fini della loro legittimazione, come il cuore delle problematiche discendenti dagli status activae civitatis.
Fra queste condizioni, inter alia, la presenza nelle figure soggettive esaminate di una governance (e più in generale di un’attività e organizzazione interna) “multitakeholder”, o “multi sociétariat” e che sia indipendente anche rispetto ad ogni ristretto gruppo sociale presente nella comunità di riferimento; le modalità con le quali sono strutturati i relativi processi decisionali e le connesse forme di trasparenza, a partire dalla necessità di assicurare un’ampia pubblicità dei progetti promossi dalla cittadinanza attiva, a quella di assicurare un dibattito trasparente e adeguatamente conoscibile; la possibilità di prevedere, anche nei patti di collaborazione, un “test di socialità” e di “rispondenza” all’interesse generale dell’iniziativa che ne forma oggetto;
d) rilevanti profili investono, oltre al piano dell’attività e dei relativi processi decisionali, anche quello dell’organizzazione: i regolamenti sull’amministrazione condivisa offrono un florilegio di spunti, generalmente individuando infatti, con diverse ma convergenti varianti, una figura specifica all’interno dell’amministrazione municipale nella quale il nuovo ruolo enabling di quest’ultima prende corpo e si può proficuamente dispiegare;
e) alla rilevata necessità di assicurare una “apertura in generalità” e un orientamento al community empowerment delle manifestazioni degli status activae civitatis si lega strettamente, come necessario completamento, la problematica dell’accountability, o, quella della più comprensiva e specifica rispondenza (responsiveness) di tali manifestazioni ai community needs.
Si evidenzia così l’insufficienza – se non si vuole smarrire la valenza “comunitaria” delle realtà in gioco – di forme di “rendicontazione” basate su dati puramente finanziari-contabili e su una dimensione puramente quantitativa delle informazioni fornite, piuttosto che attente al risvolto sociale delle attività svolte.
Significativa inoltre la previsione, contenuta in alcuni regolamenti sulla cura dei beni comuni, di forme di rendicontazione contraddistinte, tra l’altro, dalla comparabilità e dalla verificabilità e che, in difetto di un’autorità esterna di regolazione, hanno come referente, accanto all’amministrazione, la cittadinanza tutta, così da realizzare un “controllo diffuso”;
f) se si guarda infine agli strumenti nei quali si manifestano gli status activae civitatis e l’empowerment comunitario, colpisce la sintonica e quasi consustanziale diffusione del ricorso alle forme dell’amministrazione consensuale e agli strumenti negoziali.
Nelle riflessioni più recenti della dottrina civilistica emerge la consapevolezza della necessità di un ripensamento della tradizionale configurazione dell’autonomia privata, che si apre alla realizzazione di interessi generali; si nota allora un convergere, nel comune orizzonte della sussidiarietà, di tale approccio con la visione dell’amministrazione oggettivata, con i suoi corollari di una nuova e più comprensiva “autonomia dei cittadini” – risultante dalla sommatoria dell’autonomia “privata” e “pubblica”, secondo la lezione di Feliciano Benvenuti – e della sussistenza di una funzione amministrativa “in senso oggettivo”, di una funzione “diffusa” nella società.

Status activae civitatis. Nuovi orizzonti della sussidiarietà orizzontale nel community empowerment, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 2023.

LEGGI ANCHE:

Immagine di copertina: Fons Heijnsbroek su Unsplash