La recente pronuncia della Corte dei conti si può veramente definire storica, sia per i contenuti, sia per gli effetti che essa avrà  sul rapporto fra cittadini e amministrazioni.

“Gli enti locali possono stipulare, con oneri a loro carico, contratti di assicurazione per infortunio, malattia e responsabilità civile verso terzi a favore di singoli volontari coinvolti in attività di utilità sociale, a condizione che, con apposita disciplina regolamentare, siano salvaguardate la libertà di scelta e di collaborazione dei volontari, l’assoluta gratuità della loro attività, l’assenza di qualunque vincolo di subordinazione e la loro incolumità personale”.
Sono poche righe, ma come spesso accade le parole del diritto hanno un loro peso specifico che non è dato dal numero ma dal contenuto. E in questo caso il contenuto è di straordinaria importanza non soltanto per quanto riguarda il caso specifico oggetto della pronuncia, cioè la possibilità per i comuni di stipulare polizze assicurative a favore di singoli cittadini che volontariamente si offrono di collaborare con il comune per la cura dei beni comuni, ma soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione del principio di sussidiarietà e il progetto di Labsus per la promozione dell’amministrazione condivisa.

La citazione riportata qui sopra contiene infatti l’enunciazione di un “principio di diritto” che sintetizza le conclusioni a cui è giunta la Sezione delle autonomie della Corte dei conti nell’Adunanza del 14 novembre scorso, al termine di una lunga ed articolata pronuncia che è stata commentata in questa Rivista pochi giorni fa. In quel commento Fabio Giglioni, riprendendo anche suoi precedenti interventi sul tema delle assicurazioni per i singoli cittadini attivi, ricostruisce passo passo il ragionamento seguito dalla Sezione delle autonomie per giungere alla conclusione contenuta nel “principio di diritto” citato sopra, smentendo le posizioni assunte fino a quel momento da parte delle sezioni regionali di controllo della Toscana, della Lombardia e del Veneto (e in parte anche del Piemonte).
Giglioni spiega molto bene le ragioni che hanno indotto la Sezione delle autonomie in Adunanza plenaria a riconoscere ai comuni la possibilità di “stipulare, con oneri a loro carico, contratti di assicurazione … a favore di singoli volontari coinvolti in attività di utilità sociale”, per cui rimandiamo in toto al suo articolo per l’analisi della pronuncia da questo punto di vista.
Ma, riprendendo le sue parole, ci teniamo a sottolineare il fatto che “il pronunciamento in questione proviene dal massimo consesso di indirizzo della Corte dei conti e, proprio per questo, assume un valore particolarmente importante perché stabilisce l’orientamento comune e unitario valido per tutte le sezioni del giudice contabile”. Ciò significa che i comuni non hanno più alibi per rifiutarsi di stipulare polizze assicurative a favore dei singoli cittadini attivi che presentano proposte di collaborazione per la cura dei beni comuni. Adesso, veramente, non ci sono più scuse.

In questo editoriale vogliamo invece riprendere e approfondire alcuni spunti già contenuti nel breve saggio di Giglioni riguardanti sia l’applicazione in generale del principio di sussidiarietà orizzontale, sia le notevoli e del tutto impreviste assonanze fra alcuni passaggi della pronuncia della Corte dei conti e i punti essenziali del progetto di Labsus per la promozione dell’amministrazione condivisa dei beni comuni.
Perché alla fine, al di là degli aspetti tecnici riguardanti il problema specifico dell’assicurazione dei singoli cittadini attivi, ciò che veramente conta è che, come si vedrà più avanti, la magistratura contabile abbia fatto propri i fondamenti teorici dell’amministrazione condivisa dei beni comuni.

L’essere cittadini attivi è una scelta

In primo luogo, è da notare l’inedito rilievo che questa pronuncia della magistratura contabile attribuisce al principio di sussidiarietà così come disciplinato dall’art. 118 della Costituzione sia nella sua accezione “verticale” sia, soprattutto, in quella “orizzontale”. Nel criticare, giustamente, il c.d. “baratto amministrativo”, la pronuncia afferma che, prevedendo un incentivo fiscale, il c.d. “baratto” introduce “una logica economica incompatibile con lo spirito di solidarietà che contraddistingue l’attività di volontariato, la cui prestazione, oltreché personale e spontanea, è soprattutto caratterizzata dalla gratuità e dall’assenza di vincoli obbligatori” (p. 12) riconoscendo che l’essere cittadini attivi è una scelta o, per dirla con i nostri termini, una nuova forma di libertà, responsabile e solidale.

La sussidiarietà come alleanza

Subito dopo la pronuncia fa un’altra affermazione di grande importanza ai fini dell’interpretazione del principio di sussidiarietà, dichiarando che le attività dei volontari “a beneficio della comunità sono tutte espressione dell’autonoma iniziativa dei cittadini, la quale si traduce in esperienze sociali di collaborazione improntate al principio di sussidiarietà orizzontale” (p. 12). E subito dopo riprende questo concetto affermando che la dimensione orizzontale della sussidiarietà “mira a valorizzare l’autonomia, la libertà e la responsabilità dei singoli e dei gruppi anche in settori che in precedenza venivano riservati alla competenza esclusiva degli apparati amministrativi”. E poi, di nuovo, l’affermazione che il principio di sussidiarietà “si pone come principio aperto a raccogliere le esperienze sociali di collaborazione”.

Per Labsus è fondamentale che in una pronuncia di questa importanza, deliberata dall’Adunanza plenaria della Sezione delle autonomie, cioè dal massimo consesso di indirizzo della Corte dei conti in materia, si affermi un’interpretazione della sussidiarietà come “principio aperto a raccogliere le esperienze sociali di collaborazione”, cioè, detto di nuovo con i nostri termini, come “alleanza” fra cittadini e amministrazioni per la soluzione di problemi di interesse generale.
Senza voler enfatizzare, ma giusto per memoria, vale la pena ricordare che non era certo questa l’interpretazione prevalente della sussidiarietà dodici anni fa, quando è nato Labsus. Il fatto che in una sua pronuncia la Corte dei conti abbia fatto propria la nostra interpretazione della sussidiarietà da un lato non può che farci piacere, dall’altro è la dimostrazione che le idee, se sono in grado di spiegare la realtà meglio di altre, prima o poi si impongono.

L’attività di volontariato è integrativa, mai sostitutiva

Un altro aspetto rilevante di questa pronuncia riguarda il ruolo centrale in essa riconosciuto alle previsioni del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, cioè al Codice del Terzo Settore.
Per esempio, molta attenzione è dedicata alla definizione di attività di volontariato contenuta nel Codice, sottolineandone più volte “il carattere necessariamente ‘occasionale’, in quanto attività spontanea e gratuita, libera da vincoli temporali e da condizionamenti esterni” (p. 7).
E poco dopo da questo carattere occasionale dell’attività di volontariato si fa discendere un’altra conseguenza per noi molto importante, cioè l’essere la prestazione volontaria “occasionale nonché ‘accessoria”, nel senso di aggiuntiva e complementare alle ordinarie attività dell’apparato organizzativo all’interno del quale si inserisce, quale strumento mai ‘sostitutivo’ delle risorse umane normalmente destinate al servizio di utilità sociale prescelto dal volontario” (p. 8).
Proprio da tale carattere “accessorio” delle attività di volontariato discende che il comune deve sempre garantire che il servizio sia prestato a prescindere dal contributo dei volontari, che deve risultare “sempre sussidiario e aggiuntivo”. Anche su questo punto c’è totale sintonia con la pronuncia della Corte, in quanto anche noi diciamo da sempre che le attività di cura dei beni comuni svolte dai cittadini attivi devono essere considerate come integrative, mai sostitutive, delle normali attività svolte dalle amministrazioni pubbliche.

Nella nostra interpretazione della sussidiarietà, se i cittadini si attivano nell’interesse generale i poteri pubblici non si ritraggono, bensì affrontano insieme con i cittadini attivi i problemi della comunità.

Le fonti del diritto in materia di sussidiarietà

La centralità riconosciuta dalla pronuncia alla riforma del Terzo Settore è per noi di particolare importanza anche sotto un altro profilo, attinente alle fonti che nel nostro ordinamento applicano il principio costituzionale di sussidiarietà. Finora, una volta statuito tale principio nell’art. 118 ultimo comma in sede di revisione costituzionale, il Parlamento non era più intervenuto in materia. L’unica fonte normativa di livello inferiore alla Costituzione vigente dal 2014 ad oggi (a parte alcune leggi regionali non particolarmente incisive) sono stati i regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni adottati in circa 150 comuni italiani.
Il Codice del Terzo Settore colma questa lacuna. Noi riteniamo infatti che esso sia la prima legge statale realmente attuativa dell’art. 118 ultimo comma e, quindi, del principio di sussidiarietà, che individua nei volontari (noi diremmo cittadini attivi), sia singoli, sia associati, i soggetti che fanno vivere tale principio.
A questo punto la piramide è completa: al vertice l’art. 118 ultimo comma, subito sotto il Codice del Terzo Settore, più sotto ancora i regolamenti comunali per l’amministrazione condivisa dei beni comuni e, infine, le centinaia di patti di collaborazione stipulati da cittadini e amministrazioni per la cura dei beni comuni.

Dalla Costituzione al Regolamento

Infine, come nota Fabio Giglioni nel suo commento, la pronuncia conferma molto autorevolmente la scelta apparentemente azzardata compiuta alcuni anni fa insieme con l’amministrazione del comune di Bologna, quando decidemmo di “tradurre” il principio costituzionale di sussidiarietà in un regolamento comunale-tipo.
Afferma infatti la Sezione autonomie della Corte dei conti che “le norme costituzionali di principio debbono (nei limiti del possibile) essere applicate direttamente, anche in mancanza di una interposizione legislativa, in quanto le stesse vincolano l’esercizio della funzione amministrativa nell’ambito del margine di discrezionalità spettante alle autorità pubbliche” (p. 12).
Quindi il principio può essere applicato direttamente e, per quanto riguarda i comuni, può essere fatto attraverso la previsione di un regolamento, emanato ai sensi dell’art. 117, comma 6, Costituzione. Non a caso, del resto, il Regolamento sull’amministrazione condivisa dei beni comuni promosso da Labsus richiama al primo articolo proprio gli artt. 117, comma 6, e 118, ultimo comma.

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