I dati ci dicono che oggi i cittadini attivi non trovano, o non vedono, nelle organizzazioni di Terzo settore lo strumento adeguato a investire la loro iniziativa per finalità di interesse generale: qualcosa si è rotto?

È bene chiarire che sarebbe sbagliato, in questa fase di attuazione della riforma del terzo settore, voler fare un’analisi del sistema di relazioni in cui vivono e operano gli ETS – Enti del Terzo Settore.
Attualmente il RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore), che è lo strumento cardine dell’implementazione della legge di riforma del terzo settore, è sostanzialmente ancora in costruzione e la maggior parte delle organizzazioni che vi sono iscritte più che interrogarsi su cosa è cambiato e cosa cambierà rispetto all’assetto precedente si devono concentrare su come adempiere agli atti che la normativa richiede per iscriversi e per permanere iscritte al registro unico nazionale (cioè devono capire come acquisire e non perdere la qualifica di ETS).
Un’attenzione che si concentra prevalentemente, se non esclusivamente, su aspetti formali: come tradurre nei modelli previsti dalla normativa le informazioni sul rispetto economico delle attività? Come produrre documenti attraverso i quali dare conto della loro efficacia e degli esiti a cui potrebbero portare? Come rendicontare le relazioni avute con la Pubblica Amministrazione, i cittadini, i soggetti del mercato nello svolgimento delle attività?
Siamo cioè nella fase in cui la maggior parte degli enti iscritti al RUNTS sono concentrati sul come dar conto del modo in cui interpretano i loro compiti e le loro funzioni.
In conclusione siamo in una fase in cui le energie e le attenzioni degli ETS sono assorbite dall’impegno a rispondere correttamente, con il linguaggio e la procedura prevista, alle richieste delle disposizioni attuative della legge di riforma: non ne rimangono per interrogarsi su cosa sostanzialmente stia cambiando.

Tre punti importanti

Eppure, oltre che alle norme attraverso le quali si riconosce il terzo settore, si dà pubblico riconoscimento del valore della sua azione, è evidente che sono in corso cambiamenti profondi di ordine demografico, sociale, economico, culturale, del modo di vivere e rispettare l’ambiente, di informarsi o di rapportarsi con territori, con donne, uomini, popolazioni di altre nazioni e di altri continenti.
Questa premessa ci permette di precisare tre punti. Primo: per gli importanti cambiamenti al contesto le organizzazioni di terzo settore -sia gli ETS (ovvero gli enti iscritti al RUNTS), sia quelle che non si sono iscritte- dovranno misurarsi con sfide assolutamente nuove per rispondere adeguatamente ai bisogni della persona e provare ad organizzare soluzioni ai problemi delle comunità e dei territori. Secondo: con l’attuazione della legge di riforma si trovano ad affrontare questo impegno con un assetto, attraverso un sistema di relazioni e con rapporti di collaborazione modificati esplicitamente e in profondità. Terzo: attualmente (e molti indizi ci dicono che questa fase non durerà poco) sono costrette a destinare una quota rilevante delle loro energie e competenze agli aspetti formali dei cambiamenti indotti dalla riforma.

Organizzarsi per collaborare

Perché questa avvertenza e perché fissare questi tre punti? Cosa ha tutto questo a che vedere con il rapporto tra le organizzazioni di terzo settore ed i cittadini attivi?
Le organizzazioni di terzo settore sono nate e si sono sviluppate come soluzioni organizzative per chi voleva collaborare con altri al fine di mettere in campo la propria iniziativa su obiettivi di interesse generale. Più precisamente cittadine e cittadini si sono organizzati per rispondere al loro bisogno di collaborare, vivere una relazione di comunità o portare avanti un’attività che da soli non avrebbero potuto sostenere e in questo modo, grazie all’esercizio concreto di questa collaborazione, hanno realizzato che era possibile fare un ulteriore passo avanti trovando un accordo su finalità più generali (oggi si direbbe “più sfidanti”) e mettersi a disposizione con più forza e più strumenti per rispondere ai bisogni di chi non ce la faceva da solo, segnalare i bisogni o i problemi di chi o ciò che non ha voce, dare modo alle persone di esprimere la loro cittadinanza e voglia di protagonismo sociale e alle risorse delle comunità di attivarsi per costruire un futuro desiderato.
Questo il percorso che ha portato alla nascita di tante organizzazioni di terzo settore. Nel tempo, soprattutto negli anni che vanno dal secondo dopoguerra alla fine del secolo scorso, le organizzazioni di terzo settore hanno avuto la capacità e hanno investito sulla collaborazione fra di loro dando vita a strutture territoriali, regionali, nazionali e a reti interassociative. L’hanno fatto per darsi reciproco supporto e anche stimoli, ma soprattutto per potersi porre orizzonti di lavoro più ambiziosi.

Qualcosa si è rotto?

Le organizzazioni di terzo settore sono state, in sintesi, strumento ed espressione dell’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale; sono nate e si sono sviluppate perché rappresentano efficaci formule organizzative dei cittadini attivi.
Ma, si obietterà, molti dati ci dicono che oggi i cittadini attivi non trovano, o non vedono, nelle organizzazioni di terzo settore lo strumento adeguato a investire la loro iniziativa per finalità di interesse generale: non vuol dire questo che qualcosa si è rotto? E quindi che il rapporto che legava terzo settore e cittadinanza attiva si è incrinato?
Non torno sull’analisi dei dati sulla base dei quali si giunge a queste valutazioni: diversi interventi, alcuni ospitati anche da Labsus, l’hanno già fatto. Mi limito ad osservare che queste obiezioni assumono che ci siano due parti (cittadini attivi ed enti/organizzazioni di terzo settore) il cui rapporto è in crisi e ha comunque bisogno di essere rivisto radicalmente. In ogni caso non funziona più come un tempo, il tempo in cui la cittadinanza attiva si organizzava nelle strutture del terzo settore.
Osservo quindi che tali valutazioni registrano una progressiva disaffezione dei cittadini attivi verso associazioni, cooperative, organizzazioni di volontariato, fondazioni, opere caritative, etc. e concludono come spesso cresca una vera e propria diffidenza da parte dei cittadini attivi verso questo mondo che non rappresenta più lo strumento adeguato per tradurre in concrete attività di cura dei beni comuni l’azione dei cittadini attivi.

Una distinzione artificiosa e fuorviante

Questa distinzione fra ricerca di un nuovo posizionamento e necessità di costruire un aggiornato sistema di relazioni da parte delle organizzazioni di terzo settore e ricerca di nuove modalità di esercizio della propria iniziativa da parte di chi desidera esercitare attivamente la propria cittadinanza mi sembra artificiosa e fuorviante. Ciò non significa negare o nascondere le difficoltà e la fatica delle organizzazioni di terzo settore a interpretare in un contesto in cui tutto sta rapidamente cambiando la funzione di essere strumento per e il compito di esprimere il valore che ha la risorsa autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale (art. 118, u. c., Cost.), ma cogliere come siamo in presenza di una fase di trasformazione sia del modo di esercitare cittadinanza attiva da parte dei singoli sia dei compiti e delle funzioni delle realtà del terzo settore.

Il rischio di dare per scontato

Il rischio a cui ci portano queste valutazioni è di dare per l’ennesima volta per scontato che chi vuole vivere da protagonista il proprio ruolo di cittadino e ha il coraggio e la determinazione di organizzarsi e collaborare con altri per farlo con effettività ed efficacia alla fine una strada la trova e tutti beneficeremo dei suoi sforzi. Per attraversare queste fasi di transizione e abitare il cambiamento servono invece intenzionalità e investimenti sia da parte dello Stato, sia da parte dei soggetti del mercato.
Bisogna dirsi che è necessario investire sullo sviluppo organizzativo dei soggetti del terzo settore e sulla formazione all’esercizio della cittadinanza attiva tenendo presente che farsi carico del primo compito è condizione necessaria per affrontare il secondo.
Negli anni è stato dato per scontato che chi si metteva a disposizione per affrontare i bisogni di chi non aveva risposte o per aiutare chi non aveva voce a vedere rispettati i propri diritti o si faceva carico della responsabilità di lasciare in eredità alle future generazioni un mondo degno di essere abitato lo avrebbe fatto a qualsiasi condizione … lo fanno perché ci credono si diceva intendendo che perché ci credevano avrebbero fatto tutti i sacrifici necessari pur di non venir meno ai propri doveri civici e sociali. È così che, di sacrificio in sacrificio, i cittadini attivi e le realtà di terzo settore in cui si sono organizzati sono stati spinti a sacrificare la loro competenza più preziosa: quella di aggregare, di contaminare con il loro entusiasmo altre persone, di sforzarsi di attivare la comunità e di reclamare risposte adeguate dalla pubblica amministrazione.

Riuscire a cogliere il nodo politico

Non è sufficiente fare del bene, è necessario far bene il bene si diceva ancora; e l’altro imperativo… un’organizzazione di terzo settore deve trasferire tutte le risorse che intercetta o raccoglie in attività che attuano i propri fini istituzionali: non deve trattenere nulla -o comunque una quota minima- per la propria gestione e il proprio sviluppo.
“Imperativi” anche condivisibili in linea teorica ma succede che il primo ha spostato attenzioni ed energie degli enti del terzo settore sulle prestazioni costringendoli a concentrarsi sull’efficienza e il secondo a sottrarre risorse, soprattutto di competenze e di tempo e quindi non solo economiche, all’investimento sul senso, sul perché del loro impegno.
Guardare con questa prospettiva al momento di crisi che vive la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, alle modalità da reinventare perché possano contribuire da protagonisti alla costruzione di un futuro migliore, considerando l’ampiezza delle sfide che i cambiamenti propongono a tutti e a ciascuno è necessario se vogliamo cogliere che impegno richiede questa fase di transizione, che investimenti sono necessari per attraversarla e quanta determinazione e intenzionalità dobbiamo mettere in gioco per riuscire a cogliere il nodo politico del momento ovvero come sortirne insieme.

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Immagine di copertina: Ruben Mishchuk su Unsplash