La legge appena approvata sul federalismo fiscale segna potenzialmente un punto di svolta nell’assetto dei pubblici poteri del nostro Paese, sotto vari profili. Quello più spesso sottolineato dai commentatori riguarda ovviamente i rapporti fra potere centrale ed enti locali. Ma altrettanto importante è il profilo riguardante i rapporti fra questi ultimi ed i rispettivi cittadini-elettori, che devono essere improntati a criteri maggiormente rispettosi dei diritti di questi ultimi.
Autonomia finanziaria, ma vincolata
Ciò risulta chiaro fin dal primo articolo, riguardante gli ambiti di intervento, che afferma che la legge “costituisce attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, assicurando autonomia di entrata e di spesa di comuni, province, città metropolitane e regioni e garantendo i princìpi di solidarietà e di coesione sociale, in maniera da sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica e da garantire la loro massima responsabilizzazione e l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti”.
La prosa, come spesso accade al nostro legislatore, non è particolarmente scorrevole, ma i punti essenziali emergono con chiarezza. Innanzitutto, viene sì assicurata l’autonomia finanziaria degli enti locali, ma con un vincolo ben preciso: “sostituire gradualmente, per tutti i livelli di governo, il criterio della spesa storica”, così da “garantire la loro massima responsabilizzazione”.
In effetti il termine responsabilità ricorre spesso in questa legge, quasi come se il legislatore volesse rendere ben chiaro agli amministratori locali che l’altra faccia dell’autonomia è appunto la responsabilità. Se essere autonomi vuol dire poter liberamente scegliere il proprio destino come comunità, allora bisogna essere consapevoli che l’inevitabile corollario di tale libertà è la responsabilità delle scelte compiute.
La trasparenza come strumento di controllo
Ma c’è un altro punto importante in questo primo comma dell’art. 1. La “massima responsabilizzazione” dei vari livelli del governo locale si ottiene sia attraverso il superamento del criterio della spesa storica, sia attraverso “l’effettività e la trasparenza del controllo democratico nei confronti degli eletti”. Viene così riconosciuto esplicitamente il ruolo fondamentale che gli elettori possono e devono svolgere nel controllare l’esercizio del potere da loro stessi delegato ai propri rappresentanti.
E inoltre si riconosce che senza trasparenza non può esserci controllo democratico. Trasparenza intesa qui non come mera pubblicità e quindi conoscibilità dei documenti amministrativi, bensì nella sua accezione più moderna, ovvero trasparenza come comprensione. Non basta infatti che i cittadini possano accedere alle informazioni di cui dispongono le pubbliche amministrazioni per rendere queste ultime trasparenti. Spesso infatti queste informazioni sono redatte secondo criteri e con linguaggi tali da renderle volutamente incomprensibili ai comuni cittadini.
Non basta la conoscenza
Questa legge sembra essere consapevole di tale problema, che nel corso degli ultimi venti anni (da quando cioè è entrata in vigore la legge n. 241/199 sulla trasparenza amministrativa) al di là delle proclamazioni di principio ha di fatto impedito il controllo democratico degli elettori sugli eletti. Lo si deduce dall’attenzione prestata alla trasparenza dei bilanci, che sono i documenti essenziali ai fini del controllo sull’uso dell’autonomia finanziaria da parte degli amministratori.
Non soltanto i bilanci devono essere “pubblicati nei siti internet delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei Comuni”, ma devono essere “tali da riportare in modo semplificato le entrate e le spese pro capite secondo modelli uniformi concordati in sede di Conferenza unificata” (art. 2, 2° c., lett. h). In altri termini, il legislatore sembra essere consapevole che non basta dare diffusione ai bilanci attraverso le moderne tecnologie dell’informazione, ma bisogna fare in modo che essi siano comprensibili ai cittadini comuni, perché non ci può essere controllo democratico senza comprensione delle informazioni. E affinché si abbia trasparenza non basta rendere pubbliche le informazioni, bisogna anche che siano comprensibili.
L’importanza attribuita dal legislatore a tale profilo della trasparenza è tale da aver previsto sanzioni “a carico degli enti inadempienti nel caso di mancato rispetto dei criteri uniformi di redazione dei bilanci, predefiniti ai sensi della lettera h)” (art. 2, 2° c., lett. z).
Il costo standard come indicatore
La trasparenza intesa come strumento di controllo democratico è alla base anche della disposizione di cui all’art. 2, 2° c., lett. f), secondo la quale i decreti legislativi che il Governo dovrà adottare per l’attuazione di questa legge dovranno tener conto della “determinazione del costo e del fabbisogno standard quale costo e fabbisogno che, valorizzando l’efficienza e l’efficacia, costituisce l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica”. In altri termini, così come la redazione secondo modelli uniformi dei bilanci, anche il costo ed il fabbisogno standard sono fattori di trasparenza, in quanto costituiscono “l’indicatore rispetto al quale comparare e valutare l’azione pubblica”. Di nuovo, anche in questo caso la trasparenza viene intesa correttamente non come mera possibilità di conoscenza, ma come una conoscenza effettiva dalla quale discendono valutazioni. In questo caso, valutazioni degli elettori nei confronti delle scelte degli eletti.
In conclusione, nella legge sul federalismo fiscale si fa un passo avanti significativo verso il riconoscimento del ruolo essenziale dei cittadini come valutatori della qualità dei servizi pubblici e delle scelte compiute dagli amministratori, siano essi eletti o dirigenti pubblici.
Norme nuove e norme anacronistiche
Peraltro anche un altro testo di legge recente va nella stessa direzione, anzi lo fa in maniera ancora più esplicita. La legge n. 15/29 definisce infatti la trasparenza come “accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali ed all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta in proposito dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità (art. 4, 7° c.). E prevede che le amministrazioni “assicurino la totale accessibilità, anche mediante internet, dei dati relativi ai servizi da esse resi tramite la pubblicità e la trasparenza degli indicatori e delle valutazioni operate da ciascuna pubblica amministrazione” (art. 2, 1° c., lettera h)).
La trasparenza vera, quella che consente ai cittadini di esercitare il controllo democratico, sembra dunque in queste nuove leggi aver segnato dei punti. Ma rimane pur sempre in vigore la norma di cui all’art. 24, 3° c. della legge n. 241/199, così come modificata nel 25, secondo la quale “Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni”. Alla luce delle disposizioni appena citate appare ancora più anacronistica.