“E’ crisi. Ma la penuria di risorse cosìcome le rigidità del patto di stabilità non sono sufficienti a spiegare la brusca e preoccupante battuta d’arresto delle politiche ambientali urbane. C’è, prima ancora di quella economica, una crisi della capacità di fare buona amministrazione che investe molte, troppe realtà locali”. Comincia con un vero atto di accusa il XIX rapporto sull’ecosistema urbano. Sotto la lente di ingrandimento di Legambiente e Ambiente Italia è finita la bassa attenzione riservata dalle amministrazioni locali alla questione ambientale. Quella che viene definita, senza mezzi termini, “crisi della capacità di innovazione, del coraggio, delle scelte utili” che impedisce “una visione netta e trasparente del futuro”.
I problemi irrisolti
Perché un giudizio tanto negativo? Dati alla mano, ciò che emerge è un generalizzato passo indietro con la crescita dell’inquinamento atmosferico, il persistere dell’inefficienza energetica, l’endemica emergenza rifiuti e lo scarso utilizzo del trasporto pubblico. Nel primo caso, ad esempio, viene evidenziato come “la media delle polveri sottili è passata da 3 a 32 microgrammi per metro cubo” mentre “i giorni dell’anno in cui l’ozono scavalca i limiti di legge sono aumentati da 27 a 37”. Per quanto riguarda i trasporti, invece, il rapporto rimarca un’elevata densità automobilistica, pari a ben 63,8 auto ogni 1 abitanti. Un dato che denota una scarsa fiducia nel trasporto pubblico locale. Basti pensare che, se nel 211 un cittadino effettuava in media 85 viaggi l’anno su bus, tram e metro, oggi il numero è sceso a 83. Altre note dolenti? Gli scarsi investimenti su piste ciclabili ed isole pedonali nonché la dispersione idrica (sono ben 56 i capoluoghi che vedono sprecate “per strada” un terzo delle loro risorse idriche).
I segnali positivi
Tutto da buttare? Non proprio. Qualche indicazione positiva arriva infatti dai consumi di acqua potabile, rimasti stazionari rispetto all’anno scorso (164 litri a testa ogni anno, 3 in meno rispetto al 211) e dall’efficienza della depurazione (passata dall’86% all’88%). Anche la raccolta differenziata fa segnare un aumento (dal 31,97% del 211 al 37,96%) ma resta comunque lontanissima dall’obiettivo del 6%. Obiettivo peraltro raggiunto in appena 12 città ossia Novara, Salerno, Trento, Pordenone, Verbania, Belluno, Oristano, Teramo, Benevento, Asti, Nuoro, Rovigo. Segnali incoraggianti arrivano infine sui temi dell’abusivismo edilizio e degli orti urbani: in questo caso si è proceduto inviando alle amministrazioni due questionari ad hoc che hanno trovato risposte in 82 casi su 14.
Le città top e quelle flop
Analizzando le singole realtà urbane “più ecosostenibili”, si scopre che Venezia detiene il primo posto fra le grandi città (quelle con più di 2. abitanti). Tra i capoluoghi di media grandezza (8. – 2. abitanti) spicca Trento, mentre le piccole città vedono come modello di riferimento Verbania. Rimandate senza appello invece Reggio Calabria (44 ª) per le città medie, Vibo Valentia (45 ª) per quelle piccole, e Messina (15 ª) per le grandi città .
La crisi come opportunità
Un quadro non certo esaltante, questo è poco ma sicuro. Eppure proprio dalle difficoltà può nascere la spinta per migliorare. “Nel nostro Paese – ci ha tenuto a rimarcare Alberto Fiorillo, responsabile aree urbane di Legambiente – diverse best practices ci dicono che produrre significativi cambiamenti nel modo di gestire e vivere la città è possibile. L’Area C di Milano o il porta a porta dei rifiuti di Andria, i tetti solari delle scuole di Bergamo, la mobilità e l’efficienza energetica di Bolzano, le nuove pedonalizzazioni del centro storico di Firenze sono esperienze che mostrano come – anche in tempi di vacche magre – il vero motore resta la voglia di fare. Anzi a dispetto della crisi (o forse proprio in ragione della crisi) gli interventi appena citati – road pricing, energie pulite, efficiente gestione dei rifiuti – evidenziano che la riduzione degli impatti ambientali sulle città può creando opportunità economiche per il pubblico, il privato, la collettività “.