Secondo la corte dei Conti gli amministratori che usano il c.d. " baratto amministrativo " potrebbero provocare un danno erariale al proprio comune

Secondo la Sezione regionale di controllo per l’Emilia-Romagna della Corte dei Conti il c.d. “baratto amministrativo” potrebbe determinare “effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio, considerato che i debiti tributari del cittadino sono iscritti tra i residui attivi dell’ente”. Detto in altri termini, gli amministratori che usano il c.d. “baratto amministrativo” potrebbero provocare un danno erariale al proprio comune. Questa decisione, che conferma nel modo più autorevole possibile la posizione critica adottata da Labsus fin dall’anno scorso nei confronti del c.d. baratto amministrativo, è stata adottata nell’adunanza del 6 marzo 2016 con deliberazione n. 27/2016/PAR (leggi qui la deliberazione), riguardante un quesito formulato dal Comune di Bologna sull’applicazione dell’art. 24 del c.d. ” Sblocca Italia” (decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164). In particolare, la Corte dei Conti ha dichiarato che non è “ammissibile la possibilità  di consentire che l’adempimento di tributi locali, anche di  esercizi finanziari passati confluiti nella massa dei residui attivi dell’ente medesimo, possa avvenire attraverso una sorta di datio in solutum ex art. 1197 c.c. da parte del cittadino debitore che, invece di effettuare il pagamento del tributo dovuto, ponga in essere una delle attività  previste dalla norma (art. 24, cit.) e relative alla cura e/o valorizzazione del territorio comunale. La Sezione ritiene che tale ipotesi non solo non rientrerebbe nell’ambito di applicazione della norma in quanto difetterebbe il requisito dell’inerenza tra agevolazione tributaria e tipologia di attività svolta dai soggetti amministrati, elementi che, peraltro, devono essere preventivamente individuati nell’atto regolamentare del Comune, ma potrebbe determinare effetti pregiudizievoli sugli equilibri di bilancio considerato che i debiti tributari del cittadino sono iscritti tra i residui attivi dell’ente”.

L’art. 24 è “espressione del principio di sussidiarietà  orizzontale “

La Corte dei Conti fonda la sua pronuncia su un’articolata ricostruzione dei fondamenti giuridici dell’art. 24 del c.d. “Sblocca Italia”, riprendendo concetti più volte espressi nel corso degli ultimi dieci anni in questa Rivista. La norma in questione è infatti “espressione del principio della sussidiarietà  orizzontale di cui all’articolo 118, comma 4, Costituzione, in quanto consente alle comunità  di cittadini di partecipare alla gestione dei servizi relativi alla cura e alla valorizzazione del territorio. I soggetti amministrati possono diventare soggetti attivi nella cura dei beni comuni con il vantaggio per l’amministrazione locale di beneficiare di risorse, competenze ed esperienze di cui si fanno portatori i soggetti privati”.

L’obbligazione tributaria è derogabile solo da una legge

Aggiunge poi la Corte che “Ai fini dell’interpretazione della disposizione in esame, si deve richiamare il principio dell’indisponibilità  dell’obbligazione tributaria, corollario dei principi costituzionali contenuti negli articoli 23, 53, 97 Costituzione, che risulta derogabile nel nostro ordinamento solo in forza di disposizioni di legge che, operando un bilanciamento tra differenti interessi, sacrificano gli interessi tutelati dai citati articoli 23 e 53 in favore di altri interessi costituzionalmente garantiti di rango pari o superiore. Nel caso in esame la disposizione di legge sulla cui base i comuni possono deliberare l’esenzione e/o la riduzione di tributi comunali è costituita dall’articolo 24  d.l. 133/2014”.

Ma per ridurre i tributi comunali ci vuole un regolamento

Ma la possibilità  di ridurre i tributi comunali a vantaggio dei cittadini attivi  può essere esercitata solo entro limiti ben circoscritti: “In primo luogo è necessaria l’adozione di un’apposita delibera  da parte dell’ente che decida di utilizzare il suddetto istituto. Si ritiene che il predetto atto, in base alla previsione contenuta nell’articolo 52 d.lgs. 446/1997 che attribuisce ai Comuni la potestà  regolamentare per la disciplina dei tributi locali, fatti salvi gli aspetti riservati alla fonte legislativa statale, debba rivestire la forma regolamentare”. Il Regolamento per l’Amministrazione condivisa che Labsus da due anni sta diffondendo in tutta Italia è esattamente il tipo di atto che la Corte ritiene necessario per poter applicare correttamente l’art. 24 citato.

Il regolamento deve fissare i criteri e le condizioni per la cura dei beni comuni

Continua poi la Corte dicendo che “Dal punto di vista sostanziale, ossia del suo contenuto, è necessario che l’atto deliberativo comunale fissi/individui ‘criteri’ e ‘condizioni’ in base ai quali i cittadini, singoli o associati, possano presentare progetti relativi ad interventi di riqualificazione del territorio. Tali interventi possono riguardare, come prevede espressamente la disposizione in esame, ‘la pulizia, la manutenzione, l’abbellimento di aree verdi, piazze, strade, ovvero interventi di decoro urbano, di recupero e riuso, con finalità  di interesse generale, di aree e beni immobili inutilizzati, e in genere la valorizzazione di una limitata zona del territorio urbano ed extraurbano’. E’ altresì necessario che sussista un rapporto di stretta inerenza tra le esenzioni e/o le riduzioni di tributi che il comune può deliberare e le attività  di cura e valorizzazione del territorio sopra indicate che i cittadini possono realizzare“. E infatti tutto questo (criteri, condizioni, rapporto di stretta inerenza e così via) è regolato minuziosamente dai Patti di collaborazione che costituiscono il cuore del nostro Regolamento.

Non solo associazioni, anche cittadini singoli

Infine, la Corte ricorda che l’art. 24 citato “prevede che l’esenzione  dal pagamento dei tributi locali può essere concessa per un periodo limitato e definito di tempo, per tributi specifici e per tipologie di attività  individuate dai comuni in ragione dell’esercizio sussidiario dell’attività  posta in essere. Infine, è previsto che le agevolazioni fiscali sono concesse ‘prioritariamente’ a  comunità  di cittadini costituite in forme associative stabili e giuridicamente riconosciute. La presenza dell’avverbio ‘prioritariamente’ e l’espressa previsione contenuta nel primo periodo della disposizione in esame che i cittadini possono essere singoli ed associati conduce a ritenere che anche cittadini singoli possono presentare progetti relativi ad interventi di cura e valorizzazione del territorio cui possono conseguire benefici collegati ad agevolazioni tributarie”.

Deve esserci un rapporto diretto fra riduzione dei tributi e attività  dei cittadini

In sostanza, la Corte dei Conti ritiene illegittimo il c.d. “baratto amministrativo” , ma riconosce invece la piena legittimità  della riduzione delle imposte locali a vantaggio dei cittadini attivi, anche singoli, purché le “agevolazioni tributarie, consistenti nella temporanea esenzione e/o riduzione di tributi locali ” siano “collegate ad interventi relativi alla cura e/o valorizzazione del territorio che i cittadini, in forma singola o associata, propongono all’ente locale”.

L’art. 20 del nostro Regolamento

Vi è dunque piena sintonia fra la posizione della Corte dei Conti, l’art. 24 dello “Sblocca Italia” e il nostro Regolamento, che già  nel 2014 all’art. 20, comma 4 prevedeva che: “Il Comune, nell’esercizio della potestà  regolamentare prevista dall’art. 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, dispone ulteriori esenzioni ed agevolazioni, in materia di entrate e tributi, a favore delle formazioni sociali che svolgono attività  nell’ambito dei patti di collaborazione di cui all’art. 5 del presente regolamento o delle associazioni, consorzi, cooperative, fondazioni di vicinato o comprensorio di cui al presente regolamento, assimilandone il trattamento a quello delle associazioni, delle fondazioni e degli altri enti che non perseguono scopi di lucro”.

Le risorse aggiunte al bilancio del comune dai cittadini attivi

Il ragionamento alla base di questo comma del Regolamento è semplicissimo ed è agli antipodi rispetto al c.d. “baratto amministrativo”.
I cittadini che si attivano per prendersi cura della città  mettono il proprio tempo, i propri strumenti di lavoro, la conoscenza del territorio, le competenze, le relazioni, etc. a disposizione dell’intera comunità  per rendere la città  più bella e vivibile. Poiché tutto ciò ha valore non soltanto sul piano sociale, ma anche su quello economico, è come se i cittadini attivi, oltre a pagare le imposte locali come gli altri contribuenti, aggiungessero virtualmente al bilancio del comune preziose risorse aggiuntive non sotto forma di denaro ma sotto forma appunto di tempo, competenze, relazioni, etc.

Egoisti e solidali

Questi cittadini sono al tempo stesso un poco “egoisti” e molto solidali. Sono “egoisti” perché si attivano in primo luogo per vivere essi stessi in luoghi più belli, puliti, ordinati. Ma sono anche molto solidali perché sanno benissimo che i vantaggi del loro lavoro di cura della città  ricadranno anche su altri abitanti che, del tutto legittimamente, preferiscono non prendersi cura essi stessi della città , lasciando che, com’è del resto loro dovere, siano i dipendenti comunali a farlo.

Ridurre le imposte per riequilibrare gli oneri

Ma se i cittadini attivi “regalano” al comune (inteso come istituzione) ed alla comunità  in cui vivono risorse preziose che hanno un valore anche economico, allora si spiega perché il nostro Regolamento (e l’art. 24) prevedano che il comune possa disporre “ulteriori esenzioni ed agevolazioni, in materia di entrate e tributi, a favore delle formazioni sociali che svolgono attività  nell’ambito dei patti di collaborazione di cui all’art. 5 del regolamento”. Ridurre le imposte locali che i cittadini attivi devono pagare è un modo per riequilibrare, per cosìdire, gli oneri che gravano su di loro, tenendo conto del valore delle risorse che essi mettono a disposizione di tutti.

Una misura di equità 

Questa è la ratio della disposizione dell’art. 20, comma 4 del nostro Regolamento, inserita nel 2013 su suggerimento di un dirigente del Comune di Bologna e ripresa poi dall’art. 24 del decreto c.d. “Sblocca Italia”. E’ infatti una misura di equità riconoscere il valore anche economico delle risorse “introdotte” nel sistema locale dai cittadini attivi quando si prendono cura dei beni comuni della propria città  e scomputare, per cosìdire, tale valore dal totale delle imposte locali che questi ultimi pagano. Ed è una cosa ben diversa da quel pagamento “in natura” delle imposte preteso dal c.d. “baratto amministrativo” che, come ha scritto benissimo Fabio Giglioni nell’editoriale pubblicato il 16 dicembre 2015 “somiglia molto più alla corvée medievale che ai rapporti civili di una Repubblica democratica”. Ma su questi ed altri profili del “baratto amministrativo” rinviamo all’analisi approfondita e molto convincente svolta appunto da Fabio Giglioni nel suo articolo.

Il Comune di Bologna smaschera il “baratto”

Bene ha fatto il Comune di Bologna, che è stato il primo in Italia a redigere e ad approvare il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, a chiedere alla Corte dei Conti “se i Comuni – senza incorrere in violazioni delle norme di contabilità  pubblica e di danno erariale – possano consentire l’adempimento dei debiti relativi ad entrate comunali corrispondenti a residui attivi di bilancio mediante l’effettuazione di un’attività  sostitutiva del pagamento riconducibile ad una delle attività  sussidiarie contemplate dall’articolo 24 d. l. cit. “offrendo così alla Corte dei Conti l’opportunità  di rispondere che no, non possono, perché l’interpretazione letterale della norma non lo consente”.

L’immenso valore aggiunto che non si vede

Concludiamo notando che comunque anche la riduzione delle imposte locali a vantaggio dei cittadini attivi è una misura di equità  minima, perché tiene conto di una parte soltanto del “valore aggiunto” prodotto dai cittadini attivi, la parte visibile e, sia pure non facilmente, in qualche modo misurabile (su questo punto: Il valore aggiunto. Come la sussidiarietà  può salvare l’Italia, G. Arena, G. Cotturri, Carocci editore, 2010). Perché c’è poi tutta la parte importantissima ma impalpabile e quasi impossibile da misurare rappresentata dal capitale sociale prodotto dai cittadini attivi, dagli effetti positivi che la cura condivisa dei beni comuni produce in termini di miglioramento della coesione sociale, della ricostruzione dei legami di comunità , della produzione di fiducia reciproca…. tutti beni relazionali fondamentali per il benessere di una comunità , che i cittadini attivi producono in abbondanza quando si prendono cura dei beni comuni. E non c’è riduzione delle imposte che possa “compensare” adeguatamente l’immenso valore di tutti questi beni. Ma per fortuna ai cittadini attivi non importa, loro si danno lo stesso da fare, perché sono un po’ egoisti e molto solidali!

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