Il diritto al Paesaggio è il diritto dei cittadini di partecipare al paesaggio di cui essi stessi fanno parte ovunque essi vivano

L’importanza dell’evento risulta dal riferimento all’unica altra occasione della stessa caratura, rappresentata dalla Prima Conferenza Nazionale per il Paesaggio che ha avuto luogo nell’ottobre 1999 per iniziativa dell’allora Ministra Giovanna Melandri. Oltre al lasso di tempo trascorso tra i due eventi, il raffronto è significativo perché consente di renderci conto dei passi in avanti, dei passi indietro o della stagnazione sui temi che riguardano il Paesaggio nella vita quotidiana dei cittadini.

La prima Conferenza nazionale è avvenuta in contemporanea all’emanazione del Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali (D.Lgs. 490/1999) che cercava di mettere ordine, di rendere coerenti le disposizioni legislative prodotte nel corso del XX secolo in Italia, ma soprattutto al culmine dell’intensa evoluzione del pensiero sul paesaggio che si era sviluppata a livello europeo nel corso degli anni Novanta. La Conferenza faceva quindi il punto sull’efficacia della legislazione vigente in tema di tutela del paesaggio alla vigilia dell’apertura alla sottoscrizione della Convenzione europea del Paesaggio del Consiglio d’Europa che avrebbe avuto luogo a Firenze un anno dopo, nell’ottobre del 2000.

Tutela del Paesaggio e abusivismo edilizio

L’attenzione era focalizzata su due temi preminenti: l’adeguatezza delle leggi allora vigenti rispetto ai compiti di tutela del Paesaggio ed il contrasto all’abusivismo edilizio: i circa quindici anni trascorsi dalla cosiddetta Legge Galasso (L.431/1985) e dalla Legge sul condono edilizio (L.47/1985) consentivano di tracciare un bilancio di questi provvedimenti con particolare riferimento all’attuazione dei Piani Paesaggistici regionali come strumento principe delle politiche di tutela nazionale e regionali.

Il rapporto Stato-Regioni si veniva stabilizzando in termini di conflitto di competenze tra Beni Paesaggistici e Urbanistica destinato a tener banco fino ai nostri giorni. Tale conflittualità veniva già allora peraltro individuata come una delle principali limitazioni all’efficacia della tutela che invece richiedeva – in questo senso già si era pronunciata la Corte costituzionale – un corretto quadro istituzionale informato al rapporto di concorso tra Stato, Regioni ed enti locali dotato di strumenti efficaci. Inoltre, il solo vincolo, privo di indicazioni concrete d’intervento e delle modalità di attuazione, veniva denunciato come ulteriore concausa di inefficienza. La soluzione prospettata in esito alla Conferenza consisteva nel superamento della commistione di funzioni e quindi nella netta distinzione delle materie Urbanistica e Beni paesaggistici, ridefinendo su questa nuova base i ruoli e i meccanismi di tutela da parte degli enti interessati, così come gli strumenti, in modo da superare i limiti intrinseci nei vincoli.

Sviluppo sostenibile e tutela del Paesaggio

Un altro tema che si imponeva era lo sviluppo sostenibile. A fronte di un intenso processo di crescita economica, in grado di alimentare allo stesso tempo il fenomeno dell’abusivismo edilizio e la domanda indiscriminata di consumo del suolo, l’indirizzo proposto consisteva nel puntare sulla qualità della progettazione edilizia e sulla realizzazione di strumenti urbanistici in grado di governare le trasformazioni, indirizzando gli investimenti imprenditoriali sulla trasformazione e sulla valorizzazione delle periferie urbane e delle aree industriali abbandonate. Inoltre si riconosceva la necessità di ridistribuire le funzioni e gli interventi, eccessivamente concentrati nelle aree di valore storico e artistico, nella più ampia dimensione delle città.

Matura ma non ancora pronta per l’apertura alla sottoscrizione, la Convenzione europea del Paesaggio è salita alla ribalta della Prima Conferenza presentando una nozione giuridica di paesaggio fondata sull’idea che il ruolo del diritto non sia quello di riconoscere e tutelare soltanto un valore o una bellezza paesaggistica particolari, bensì di riconoscere e di tutelare un valore complesso che comprenda il bisogno dei cittadini di stabilire una relazione sensibile con il territorio, di godere dei benefici basati su questa relazione e di partecipare alla determinazione delle caratteristiche formali del territorio stesso.

Come fu colto con lucidità e precisione in fase di conclusioni della Prima Conferenza, emergeva il diritto dei cittadini al Paesaggio non come utopia, ma come principio guida di procedure, pratiche e comportamenti concreti delle pubbliche amministrazioni, cui la Convenzione europea offriva spazi, strumenti e supporto propri della comunità internazionale insieme con interventi di sensibilizzazione e di educazione alla qualità dell’ambiente di vita.

Il diritto al Paesaggio tra la Conferenza del 1999 e gli Stati generali del 2017

Lo slogan “Dal diritto del Paesaggio al Diritto al Paesaggio” può essere considerato il trait d’union tra la Conferenza del 1999 e gli Stati generali del 2017, in quanto condensa in sé diversi aspetti rilevanti comuni ai due momenti. Nel frattempo, il diritto in materia di tutela del paesaggio ha recepito le trasformazioni auspicate nelle conclusioni della Conferenza del 1999 riguardo alla netta ripartizione delle competenze tra Urbanistica e Beni culturali. Passi decisivi in tal senso sono stati compiuti grazie al Codice dei Beni culturali e del Paesaggio del 2004 (D.Lgs. 42/2004), rafforzato nel 2006 (D.Lgs. 157/2006) e nel 2008 (D.lgs. 63/2008).

Conseguenze significative ed evidenti di questa ripartizione si sono avute sul rilascio dell’Autorizzazione paesaggistica con procedura distinta dai titoli abilitativi edilizi, e sull’iter di elaborazione e approvazione congiunta tra MIBACT e Regioni dei Piani paesaggistici regionali, che ha azzerato la situazione dei piani già approvati o in gestazione sulla base dell’impostazione precedente. Non sembra però che questa soluzione abbia prodotto effetti altrettanto evidenti nel superamento del conflitto Stato-Regioni che continua a riproporsi come nel caso recente della semplificazione in materia di autorizzazione paesaggistica.

L’esperienza maturata dai troppo pochi Piani Paesaggistici approvati dopo questa separazione, e quindi in quasi dieci anni, fornisce spunti di riflessione che sono emersi più nel corso delle giornate degli Stati generali che nel Rapporto sullo stato delle politiche del Paesaggio. L’impianto urbanistico passivo che sottende i Piani territoriali in modo dominante, è inteso a dare risposta alla domanda di trasformazione del territorio, trattando le proposte progettuali di terzi di natura quasi esclusivamente edilizia o infrastrutturale e non è in grado di esprimere una politica attiva propria né in questo ambito né in tutti gli altri, a partire dalla dimensione paesaggistica.

Questa logica influenza la pianificazione paesaggistica, riducendola a misure di conservazione circoscritta e passiva che, seppur necessarie, non sono sufficienti rispetto alla tutela effettiva dei beni paesaggistici e a quella del resto del territorio, che invece necessitano entrambe di politiche proattive. Un passaggio da sottolineare, espresso nel corso degli Stati generali, è stato l’invito a focalizzare l’attenzione più che sul conflitto di competenze tra Stato e Regioni, sul rapporto da sviluppare tra beni paesaggistici e resto del territorio. La separazione tra le due materie non ha peraltro risolto l’ambiguità persistente intorno al concetto di Paesaggio.

In questo modo “diritto al Paesaggio” può significare indifferentemente diritto ai beni paesaggistici da parte di tutti i cittadini oppure diritto dei cittadini di partecipare al paesaggio di cui essi stessi fanno parte ovunque essi vivano. Il Paesaggio registra e rappresenta la qualità delle relazioni tra ogni individuo ed il resto della collettività così come con l’intero territorio che, come sostiene Paolo Maddalena, ne costituisce il bene comune: non hanno quindi senso limitazioni di tale diritto a parte di esso. Si tratta piuttosto di interpretare questa qualità e di capire se può continuare ad essere prerogativa del pubblico o se invece sia il caso di riconoscere che i cittadini sono in grado di stabilire un rapporto sensibile con il proprio ambiente e di determinarne anche le caratteristiche qualitative. In altre parole, di partecipare al paesaggio di cui sono parte.

Il diritto a Paesaggi di qualità: legalità e inclusione

L’esemplificazione di questi ragionamenti trova riscontro nel tema Legalità e inclusione che costituisce forse il principale spunto che consente di parlare di politiche paesaggistiche da parte del MIBACT. Legalità come atto di civiltà e di tutela del Paesaggio era un argomento già emerso con forza nel corso della Conferenza del 1999 in riferimento soprattutto alla realtà dell’abusivismo edilizio insieme con il fenomeno del legalismo, a volte peggio dell’abusivismo come testimoniò Fulco Pratesi nel suo intervento così come riportato dagli Atti. Ne era conseguenza il rigetto del ricorso alla legislazione sul condono che invece fu riaffermata nel 2003 (L. 326/2003), a testimonianza dell’instabilità cui è soggetto il concetto di legalità.

Gli Stati generali hanno ripreso e sviluppato questo tema, offrendo nuovi spunti di riflessione. Legare il concetto di legalità alla rigenerazione urbana e all’inclusione sociale ricorrendo al paesaggio costituisce una scelta significativa in quanto testimonia la necessità di politiche attive verso i fenomeni della marginalità, dell’esclusione fisica e sociale, dell’abbandono e del degrado urbano e territoriale. Sono quindi da sottolineare in tal senso, per quanto limitate e parziali per effetto delle risorse disponibili, le iniziative della Direzione Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane, quali ad esempio Demix – Atlante delle periferie funzionali metropolitane, che tratta gli aspetti legati alla disponibilità di spazi e servizi, oltre che di qualità dell’ambiente edificato, e quelli connessi agli usi culturali degli stessi, come indicatore aggiunto per puntare su cultura e bellezza come fattori di rigenerazione.

Le politiche attive di rigenerazione del paesaggio, che significano rigenerazione delle relazioni tra i cittadini attraverso le risorse di cui il territorio anche degradato dispone, non significano indifferenza alla tutela e alla conservazione dei suoi aspetti considerati di particolare pregio, ma al contrario ne sono una forma di esercizio. Non bastano la conservazione passiva e la proclamazione del diritto al Paesaggio se questo non è conosciuto o sentito come tale da parte dei diretti interessati. In questo senso il Paesaggio e la sua qualità assumono il ruolo di strumento di legalità e inclusione così come di obiettivo, di risultato da ottenere grazie all’azione di chi vi partecipa condividendolo e riconoscendone la natura di Bene comune.

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