Quale direzione finale sta prendendo attualmente il Terzo Settore, giacché la Costituzione dovrebbe tutelare quelli che sono considerati i beni pubblici per eccellenza, rispetto ai quali non è possibile operare nessun tipo di esclusione in confronto al loro godimento, tra cui i beni comuni sui quali impatta l’agire volontario?

Il volume “Storie di Volontariato dalla Campania al Veneto”, curato da Domenico Callipo, con contributi di Giuseppe Romanelli, Giovanni Fazio e Donata Albiero, rappresenta la seconda edizione del libro La riforma del Terzo Settore: un’occasione mancata?, pubblicato nel 2020, nel quale, a partire dalle storie di due sodalizi campani ed uno veneto, si cerca di tracciare un possibile filo rosso tra gli aspetti sociali, giuridici e psicologici che attengono il Terzo Settore e l’impatto che ha avuto finora la riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale, che, a distanza di ormai quasi otto anni dalla sua introduzione, sconta ancora delle problematiche, in confronto alla sua attuazione pratica nell’esperienza quotidiana.

Le storie di volontariato

Nel volume viene posto l’accento sulle esperienze vissute da tre ETS, nello specifico due attivi in Campania, nella provincia di Caserta, ed uno in Veneto, nella provincia di Vicenza, territori che presentano le loro particolarità.
Si tratta del “Comitato Città Viva” e del “Comitato per il Centro Sociale-ex Canapificio”, accomunati dalla medesima visione di un sistema sociale basato sulla solidarietà, sull’inclusione e sull’eliminazione delle disparità tra ricchi e poveri, per quanto riguarda Caserta e la sua provincia, e di “CiLLSA” (Cittadini per il Lavoro, la Legalità, la Salute e l’Ambiente), la quale, da oltre un decennio, si batte affinché si possano mettere al bando definitivamente i PFAS (Sostanze Perfluoro Alchiliche) o, quantomeno, ridurre il più possibile i danni causati dallo scempio ambientale verificatosi in Veneto e non solo.
Nello specifico, il “Comitato Città Viva” è nato nel 2007, mentre era in corso l’emergenza rifiuti in Campania, quando alcune associazioni e i cittadini del quartiere Acquaviva di Caserta decisero di unire le forze per sperimentare una raccolta differenziata autogestita per un anno (da settembre 2007 a settembre 2008).
Il “Comitato per il Centro Sociale-ex Canapificio”, dal canto suo, è sorto nel 1995, come associazione che ha deciso di portare avanti un’azione sociale incisiva e che avesse delle ripercussioni utili al territorio, riconosciuta a livello sociale e civile dalla cittadinanza e dalle stesse Istituzioni.
“CiLLSA” (Cittadini per il Lavoro, la Legalità, la Salute e l’Ambiente), non da ultima, si occupa di azioni di cittadinanza attiva e di sensibilizzazione del territorio, rispetto ad interventi educativi che mirino a tutelare dei fondamentali beni comuni come l’aria e l’acqua, in maniera tale che le comunità di Arzignano e della provincia di Vicenza diventino più sensibili, in confronto all’emergenza ambientale ancora in corso, causata dai PFAS e da altre sostanze pericolose rilasciate in natura, soprattutto a causa delle attività delle aziende del settore conciario.
Il volume, per l’appunto, tratta, in maniera esaustiva, di tutte le attività che sono state svolte finora dai sodalizi presentati in breve in precedenza, tutti accomunati dal voler avviare dei percorsi di cittadinanza attiva e di democrazia partecipata, in maniera tale da consentire alle comunità di riferimento di essere protagoniste dei cambiamenti e di non assistere, in modo passivo, al perpetuarsi di cattive pratiche, messe in atto da attori che hanno interessi non sempre in linea con i beni comuni da tutelare.

La riforma del Terzo Settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale (Legge delega n. 106 del 06 giugno 2016)

Uno dei capisaldi del volume è rappresentato dalla riforma italiana del Terzo Settore, che ha presso le mosse nel 2014 con l’Esecutivo guidato da Renzi, la quale ha rivisto in toto la normativa di settore esistente, andando a riformare il Titolo II del Libro I del Codice Civile, con un aggiornamento ed una rivisitazione delle Legge n° 266 del 1991 e n° 383 del 2000, mirando a riordinare le varie regole esistenti, con un focus particolare sulle legislazioni settoriale, regionale e nazionale.
Una delle novità più rilevanti, peraltro, è rappresentata dall’istituzione del RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore), che unifica, di fatto, le diverse modalità di iscrizione ai vari registri regionali in cui erano presenti, fino a qualche anno fa, gli ETS (Enti del Terzo Settore), consentendo di poter assolvere all’obbligo della pubblicità notizia, visto che, in passato, gli elenchi regionali non erano digitalizzati e in comunicazione fra loro, creando, in concreto, anche delle disparità di trattamento in merito all’iscrizione degli ETS.
Ma vi è di più, infatti, uno dei Decreti Legislativi di attuazione della riforma, il n° 117 del 2017, definisce la figura del volontario come “[…] una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un Ente del Terzo Settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità, per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà” (p. 99).
E per gli ETS vengono contemplate delle obbligazioni, finora solo a carico delle Organizzazioni di Volontariato e delle ONLUS, vale a dire la creazione e la cura di un registro dove iscrivere tutti i volontari che sono attivi, in maniera non occasionale, e la stipula di una polizza assicurativa, per la globalità dei volontari, che copra i casi di infortunio, le malattie correlate e la responsabilità civile verso i terzi.
La riforma, da un certo punto di vista, dovrebbe consentire di raggiungere una normativa unificata per l’intero Terzo Settore, grazie al coordinamento degli ETS, al recupero dell’Authority di settore, con funzione di aiuto e di verifica degli stessi ETS e alla creazione di Osservatori nazionali, dato che “è stata contemplata la possibilità di rivedere le attribuzioni dell’Osservatorio Nazionale per il Volontariato e quelle dell’Osservatorio Nazionale dell’Associazionismo di Promozione Sociale, con l’obiettivo ultimo di revisionare e di razionalizzare gli scopi portati avanti da questi ultimi” (p. 87).
Sembra evidente che, in un simile scenario, con una società a matrice fortemente capitalista, il ragionamento di fondo non è basato sulla solidarietà, ma sui ritorni economici, ragion per cui, si riesce meglio a gestire e governare un sistema dove gli ETS vengano resi omogenei e codificati, senza nessuna possibilità di differenziazione, a volte necessaria per aiutare l’ETS medesimo ad esprimere le sue potenzialità e peculiarità, visto che è difficile che possano esistere due sodalizi perfettamente identici.
La riforma, ad ogni buon conto, esprime, gioco forza, tutti i suoi caratteri “iniqui”, perché unifica realtà completamente diverse tra loro, anche perché le associazioni di volontariato, culturali o di altro tipo, le cooperative, le imprese sociali e le fondazioni presentano delle particolarità ben precise nei loro obiettivi, ma anche nelle persone che vi fanno parte, di conseguenza, risulterebbe veramente difficile unificare tutti gli ETS predetti e riunirli in un’unica veste giuridica, se non in maniera forzata, basandosi su criteri squisitamente economici e non sul benessere collettivo. 

Perché fare volontariato?

Per poter trattare il tema dell’essere volontari bisogna prendere le mosse dalle teorizzazioni di Amartya Sen, il quale incentra le sue considerazioni sul tema della libertà sostanziale, che ben si sposa con l’accostamento al concetto di welfare State, che dovrebbe permettere al singolo di realizzare in maniera piena se stesso, grazie ad un approccio “attivo” e “abilitante”, che incrementi l’empowerment del cittadino “inteso come processo tramite il quale egli acquisisce il potere e le risorse necessarie per esercitare una cittadinanza attiva e padroneggiare la propria vita” (pp. 52-53).
Da varie ricerche compiute da autori, come Putnam e Goldthorpe, emerge anche il rapporto che i cittadini hanno nel partecipare alla vita non soltanto politica, dato che essi, tendenzialmente, hanno un approccio migliore con le Organizzazioni di volontariato ed i movimenti rispetto ai partiti, anche in considerazione del fatto che un trend del genere è emerso sempre più fortemente dagli anni Ottanta del Novecento.
In conseguenza di ciò, quindi, si potrebbe affermare che il volontariato e la partecipazione in campo politico sono entrambi connessi dalle stesse dinamiche sociali, a livello personale e territoriale, dunque, l’impegno singolo nel volontariato permetterebbe anche una reale partecipazione alla vita politica dei sistemi sociali democratici.
La connessione tra cittadini e mondo politico “consiste nell’attivarsi nell’ambito del procedimento politico a livello istituzionale, anche se sarebbe possibile definire, in maniera allargata, la concezione di partecipazione politica, la quale riguarderebbe, per l’appunto, ogni azione che direttamente o indirettamente mira a proteggere determinati interessi o valori (consolidati o emergenti), o sia diretta a mutare o conservare gli equilibri di forza nei rapporti sociali” (p. 63).
In definitiva, comunque, la reale dicotomia nel fare volontariato si riscontra nella tradizionale contrapposizione tra i comportamenti egoistici e quelli altruistici, studiata largamente dalla psicologia sociale, secondo la quale bisognerebbe incentivare i comportamenti prosociali, tramite i contesti scolastici e familiari, tentando di contrastare qualsivoglia azione che miri all’aggressività e non al benessere sociale, con una programmazione educativa più altruistica e meno aggressiva.

La comparazione tra le norme italiane e quelle estere

Nel volume viene effettuata anche una disamina sulle possibili similitudini e differenze tra la normativa italiana e quella straniera, considerando che la prima prende in considerazione, relativamente al Terzo Settore e al volontariato più in generale, gli articoli 2, 3, 18 e 118 della Costituzione, anche perché, prima del dettato costituzionale, l’agire volontariato poteva fare riferimento a due modalità diverse, ossia il mutuo soccorso e la filantropia privatistica, che non erano compiutamente disciplinate.
La legislazione straniera, nel volume, prende come punto di riferimento due paesi di common law, cioè l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America, ed uno di civil law, vale a dire la Francia, i cui approcci sono nettamente diversi, a partire dalla concezione stessa di Terzo Settore, ad esempio, in Inghilterra nel 1997 l’esecutivo dei New Labour decise di puntare sul Terzo Settore come “terza via” governativa, grazie ad una programmazione di stampo laburista, che condusse all’approvazione di un Local Government White Paper, prima, e di un Compact e di un Charities Act, poi.
In America, viceversa, già a partire dagli anni Trenta e Quaranta del Novecento, erano stati istituiti i Civilian Conservation Corps, nell’ottica del citizen-service, proprio per fare in modo che i cittadini potessero prendere parte, in maniera attiva, all’agire volontario, ricevendone dei benefici in campo.
In Francia era stata data la massima importanza ai servizi di prossimità, un insieme di prestazioni che permettono di fornire una possibile risposta alle necessità delle singole persone e della collettività, evidenziando tutte le difficoltà connesse nel creare una disciplina puntuale per tutte queste differenti modalità di concepire il Terzo Settore a livello globale.
Una delle dicotomie classiche, infatti, è rappresentata dal riuscire a trovare un buon compromesso tra la regolamentazione tutelare e quella concorrenziale, dato che non esiste una legislazione che contempli in maniera esatta e possa salvaguardare tutte le situazioni connesse ad un comparto complesso come quello del Terzo Settore, anche perché uno degli attori coinvolti è rappresentato dallo Stato, che non può prescindere da determinati dettami di base.

Quali i possibili scenari futuri?

Il saggio, alla fine, porta il lettore a riflettere su un interrogativo ben preciso, vale a dire quale direzione finale sta prendendo attualmente il Terzo Settore, giacché la Costituzione dovrebbe tutelare, in primis, quelli che sono considerati i beni pubblici per eccellenza, rispetto ai quali non è possibile operare nessun tipo di esclusione in confronto al loro godimento, tra cui i beni comuni sui quali impatta l’agire volontario.
Una riforma che avesse voluto definirsi “coraggiosa” avrebbe dovuto prendere in considerazione il quadro iniziale e circoscrivere in maniera esatta i confini del volontariato, considerando il contesto “frastagliato” e le connessioni tra l’elemento personale e quello legato agli scopi, con le necessarie e doverose differenze relativamente ad altri organismi che operano nel nonprofit, nonostante possano verificarsi, comunque, dinamiche collegate al mondo profit.
Il volume si sofferma, infine, sulla definizione controversa che la riforma ha assegnato al volontario, sottolineando maggiormente la conformazione economica rispetto a quella gratuita, anche perché scegliere di far elaborare la riforma a degli esperti di non poco conto non ha significato anche prendere in considerazione le particolarità del Terzo Settore, composto da organismi piccoli o piccolissimi, che hanno un’influenza sui territori di riferimento.

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Foto di copertina: Immagine copertina volume “Storie di volontariato dalla Campania al Veneto” di Domenico Callipo