Il prossimo 18 novembre ci sarà un referendum sull’acqua a Brescia. I cittadini della provincia avranno l’occasione per esprimere il loro voto in merito alla possibilità di privatizzazione delle risorse idriche. Trattandosi di un tema fondamentale e molto dibattuto a livello nazionale, è evidente che gli esiti del referendum avranno conseguenze ben al di là del contesto locale.
La “guerra dell’acqua” è arrivata allo scontro finale. Domenica 18 novembre, dalle 8 alle 22, i bresciani potranno scegliere tra una regia municipale per la gestione delle risorse idriche (istanza portata avanti da mesi con grande tenacia dal Comitato referendario per l’acqua pubblica) e una gestione mista tra pubblico e privato (strada invece auspicata dal numero uno del Broletto e dall’assemblea dei sindaci).
Il quesito del referendum è il seguente: «Volete voi che il gestore unico del servizio idrico integrato per il territorio provinciale di Brescia rimanga integralmente in mano pubblica, senza mai concedere la possibilità di partecipazione da parte di soggetti privati?».
E’ risaputo, infatti che l’acqua, oro blu dei nostri giorni, è stata a lungo considerata una risorsa illimitata, sfruttata senza criterio. Nel 1916, però, Francesco Saverio Nitti e Ivanoe Bonomi si resero conto della complessità della disciplina dell’acqua e portarono alla creazione del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Oggi, alla luce dei problemi di siccità e del cambiamento climatico, c’è maggiore consapevolezza riguardo alla necessità di un uso razionale delle risorse idriche. L’acqua è divenuta ufficialmente una priorità, a livello globale. In quanto risorsa di cruciale importanza e di natura limitata, è bene chiedersi quale regime giuridico possa meglio tutelare l’acqua sia nel presente sia, soprattutto, per le generazioni future.
Non si tratta della prima occasione per esprimere la propria opinione riguardo all’acqua. Già nel referendum del 12 e 13 giugno 2011 il 54% degli elettori si disse contrario a qualunque forma di privatizzazione del sistema idrico. Nel 2011 i quesiti referendari erano due, specifici e forse tutt’oggi poco conosciuti. L’accoglimento del primo quesito ha condotto all’abrogazione dell’art.23-bis del d.l. 25 giugno 2008, n.112, che si riferiva a tutti i servizi pubblici locali a rilevanza economica (e quindi non solo al servizio idrico integrato). Il secondo quesito, invece, ha portato all’abrogazione parziale dell’art.154, comma 1, del d.lgs. 3 aprile 2006, n.152 nella misura in cui prevedeva che la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato tenesse conto anche dell’ “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”.
Il famoso referendum sull’acqua del 2011, insomma, ha avuto un contenuto particolarmente denso e più ampio di quanto comunemente si ritiene. Peraltro, non ha condotto a effetti giuridici particolarmente chiari. Ad oggi, proprio per questo, serve ancora mobilitarsi.
Alcuni dati
Innanzitutto è bene sapere che in Italia la fornitura idrica costa meno rispetto ad altri stati europei: 1,55 euro per metro cubo, la metà del costo della Francia o della Germania. L’Italia, però, detiene il triste primato in Europa per la dispersione idrica. La dispersione spesso supera il 50% dell’acqua immessa negli acquedotti, mentre in un paese come la Germania, ad esempio, risulta pari al 9%. È dunque evidente quanto sia necessario intervenire.
Un rapido sguardo comparato
Alcuni ordinamenti hanno compiuto una scelta radicale in merito al regime delle risorse idriche. In Uruguay e in Olanda, per esempio, vige esclusivamente la gestione pubblica. Negli altri ordinamenti si ritiene la scelta sulla titolarità del gestore debba essere rimessa agli enti locali competenti.
Secondo il rapporto 2006 Acqua e povertà, l’ UNDP afferma che la gestione privata non è stata in grado di assicurare l’efficacia e l’efficienza necessarie per garantire gli investimenti necessari, comportando, oltretutto, rischi di creazione di monopoli privati. Nel caso di privatizzazione, però, ciò che è importante è il regime giuridico e le regole cui la gestione privata è sottoposta. Si pensi al caso Fish Legal nel Regno Unito. Questo caso ha fornito l’occasione per chiarire che le water companies privatizzate sono sottoposte agli stessi obblighi di trasparenza ambientali previsti per le autorità e le amministrazioni pubbliche. In effetti, il problema della gestione pubblica o privata, dal punto di vista degli standard di tutela degli utenti si potrebbe risolvere sottoponendo gli enti privatizzati alle stesse regole cui soggiacciono gli enti pubblici.
Il caso di Brescia
Secondo il cosiddetto “Codice dell’ambiente”, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il servizio pubblico integrato è definito come “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”. Tale definizione sembra spingere verso la privatizzazione del servizio. A fronte di ciò, il Comitato Acqua pubblica di Brescia, insieme a molti altri disseminati lungo la penisola, si è mobilitato. Proprio grazie al Comitato si effettuerà il referendum del 18 novembre. Brescia, infatti, è fra le provincie maggiormente attive.
Anche la Diocesi di Brescia ha espresso il proprio parere, ribadendo «la necessità di evitare nella gestione del ciclo dell’acqua potabile la possibilità di guadagni individuali o di società. Ciò si può realizzare attraverso una gestione pubblica che agisca direttamente, puntando poi al coinvolgimento di strutture non profit». Secondo Enzo Torri, responsabile dell’Ufficio, «Il punto nodale è che tutti i proventi derivanti dalle bollette dei cittadini e dagli investimenti, pubblici e non, vadano a beneficio del servizio piuttosto che a enti privati. La commissione invita pertanto i cittadini bresciani ad approfondire questo importante tema della difesa dell’acqua comune sia ai fini della partecipazione a questo referendum che per effettuare una scelta più consapevole».
A tal proposito, ancora una volta, pochissimi cittadini sono informati. E non solo manca l’informazione nel merito (riguardo, cioè, al farsi un’idea sul migliore regime a tutela dell’acqua) ma addirittura manca la conoscenza dello svolgimento del referendum. A prescindere dal giudizio sul tema, dunque, Labsus invita i cittadini a pubblicizzare, mobilitarsi e informarsi per questa grande opportunità. Come sostenuto da Nicola Lugaresi, professore di diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi di Trento, “l’acqua proprio per il suo intrinseco ed indiscusso valore, merita di meglio”.