Il 18 novembre un referendum sulla gestione del servizio idrico

Alcuni dati

Innanzitutto è bene sapere che in Italia la fornitura idrica costa meno rispetto ad altri stati europei: 1,55 euro per metro cubo, la metà del costo della Francia o della Germania. L’Italia, però, detiene il triste primato in Europa per la dispersione idrica. La dispersione spesso supera il 50% dell’acqua immessa negli acquedotti, mentre in un paese come la Germania, ad esempio, risulta pari al 9%. È dunque evidente quanto sia necessario intervenire.

Un rapido sguardo comparato

Alcuni ordinamenti hanno compiuto una scelta radicale in merito al regime delle risorse idriche. In Uruguay e in Olanda, per esempio, vige esclusivamente la gestione pubblica. Negli altri ordinamenti si ritiene la scelta sulla titolarità del gestore debba essere rimessa agli enti locali competenti.
Secondo il rapporto 2006 Acqua e povertà, l’ UNDP afferma che la gestione privata non è stata in grado di assicurare l’efficacia e l’efficienza necessarie per garantire gli investimenti necessari, comportando, oltretutto, rischi di creazione di monopoli privati. Nel caso di privatizzazione, però, ciò che è importante è il regime giuridico e le regole cui la gestione privata è sottoposta. Si pensi al caso Fish Legal nel Regno Unito. Questo caso ha fornito l’occasione per chiarire che le water companies privatizzate sono sottoposte agli stessi obblighi di trasparenza ambientali previsti per le autorità e le amministrazioni pubbliche. In effetti, il problema della gestione pubblica o privata, dal punto di vista degli standard di tutela degli utenti si potrebbe risolvere sottoponendo gli enti privatizzati alle stesse regole cui soggiacciono gli enti pubblici.

Il caso di Brescia

Secondo il cosiddetto “Codice dell’ambiente”, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,  il servizio pubblico integrato è definito come “costituito dall’insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie”. Tale definizione sembra spingere verso la privatizzazione del servizio. A fronte di ciò, il Comitato Acqua pubblica di Brescia, insieme a molti altri disseminati lungo la penisola, si è mobilitato. Proprio grazie al Comitato si effettuerà il referendum del 18 novembre. Brescia, infatti, è fra le provincie maggiormente attive.

Anche la Diocesi di Brescia ha espresso il proprio parere, ribadendo «la necessità di evitare nella gestione del ciclo dell’acqua potabile la possibilità di guadagni individuali o di società. Ciò si può realizzare attraverso una gestione pubblica che agisca direttamente, puntando poi al coinvolgimento di strutture non profit». Secondo Enzo Torri, responsabile dell’Ufficio, «Il punto nodale è che tutti i proventi derivanti dalle bollette dei cittadini e dagli investimenti, pubblici e non, vadano a beneficio del servizio piuttosto che a enti privati. La commissione invita pertanto i cittadini bresciani ad approfondire questo importante tema della difesa dell’acqua comune sia ai fini della partecipazione a questo referendum che per effettuare una scelta più consapevole».

A tal proposito, ancora una volta, pochissimi cittadini sono informati. E non solo manca l’informazione nel merito (riguardo, cioè, al farsi un’idea sul migliore regime a tutela dell’acqua) ma addirittura manca la conoscenza dello svolgimento del referendum. A prescindere dal giudizio sul tema, dunque, Labsus invita i cittadini a pubblicizzare, mobilitarsi e informarsi per questa grande opportunità. Come sostenuto da Nicola Lugaresi, professore di diritto dell’ambiente presso l’Università degli Studi di Trento, “l’acqua proprio per il suo intrinseco ed indiscusso valore, merita di meglio”.