Per costruire legami sociali, mettere in rete risorse e competenze, sperimentare soluzioni che siano davvero innovative

Sempre più spesso quando si parla di sviluppo sostenibile si fa riferimento al territorio: la sfida per raggiungere i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 si gioca infatti a livello globale ma anche locale. I territori diventano quindi sempre più importanti per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni comuni, beni a titolarità diffusa, che appartengono a tutti e a nessuno, a cui tutti devono poter accedere e su cui nessuno può vantare pretese esclusive.
In una logica di sostenibilità questi beni devono essere gestiti secondo il principio di solidarietà: indisponibili per il mercato, i beni comuni si presentano come strumento essenziale anche per garantire a tutti il diritto di cittadinanza. Una dimensione collettiva che porta al superamento del concetto tradizionale di gestione pubblica dei beni pubblici: non è l’appartenenza del bene ma la sua gestione che può garantirne l’accesso stimolando anche la partecipazione dei cittadini.

DOVE SIAMO OGGI

1 – L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

L’urgenza del cambiamento viene oggi riconosciuta da tutti: è necessario modificare rapidamente stili di vita e di consumo, il modo di produrre, il modello economico a cui siamo abituati. Per esempio, riducendo gli sprechi, utilizzando energie rinnovabili, ottimizzando i processi produttivi, organizzando la logistica in chiave più sostenibile. Ma anche curando e valorizzando i beni comuni…
L’Agenda 2030 dell’ONU, con i suoi 17 Obiettivi e 169 target, mette lo sviluppo sostenibile al centro dell’attenzione di istituzioni, imprese, associazioni, singoli cittadini. L’avvio ufficiale degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile ha coinciso con l’inizio del 2016 e dovrà guidare il mondo sulla strada da percorrere nei prossimi anni: i Paesi che hanno sottoscritto il documento si sono infatti impegnati a raggiungere questi obiettivi entro il 2030.
Quando si parla dell’Agenda 2030 a volte non si riflette su quanto l’impegno per lo sviluppo sostenibile sia strettamente legato a un cambiamento anche nella gestione dei beni comuni. 

2 – La gestione dei beni comuni

Se ci riferiamo ai beni comuni nell’accezione proposta da Labsus, scopriamo che la loro gestione non è semplice: ogni situazione va valutata in base al contesto socio-ambientale e le scelte vanno declinate rispetto alle specifiche situazioni dei territori.
Non bisogna poi dimenticare che i beni comuni sono vulnerabili: oltre all’incuria esiste purtroppo l’incapacità delle persone che ne beneficiano di gestirli in modo corretto. Proteggere i beni comuni significa conoscere bene il sistema sociale, naturale, economico che può rigenerarli o distruggerli.
Per ora il tema della gestione dei beni comuni è poco presente nella discussione pubblica e sembra essere di scarso interesse per la politica: proprio per questo è importante ricordare che non potrà esserci un futuro se non ci impegniamo ad amare, proteggere, gestire correttamente i beni comuni. Un impegno che deve portare a scelte più sostenibili per favorire un cambiamento culturale in grado di modificare i rapporti tra le persone e le organizzazioni.

3 – Il ruolo dei cittadini, delle istituzioni, delle imprese

L’impegno per la costruzione di una società basata sulle buone pratiche individuali attuate in contesti collettivi è uno dei pilastri per far fronte ai problemi ambientali e sociali. Ma non basta l’attivismo dei cittadini. Le imprese, anche grazie allo sviluppo di nuove metodologie di produzione di beni e servizi, possono giocare un ruolo importante.
Se al cittadino si chiede di cambiare il proprio stile di vita per renderlo più sostenibile, alle aziende si chiede di modificare il modo stesso di fare impresa.
In questo contesto, le istituzioni possono (devono) avere un ruolo fondamentale per promuovere e realizzare politiche e azioni che favoriscono per esempio la diminuzione dell’impatto sulle risorse del pianeta.

4 – L’importanza della formazione

La gestione dei beni comuni richiede preparazione. Non solo per la loro cura ma anche per l’individuazione di modalità economicamente sostenibili. Per formare professionisti competenti nella gestione dei beni comuni è nata la SIBEC, Scuola Italiana Beni Comuni, che in questi anni ha creato nuove figure professionali. Il percorso formativo insegna a coinvolgere la comunità locale, valorizzare le potenzialità esistenti, evitare speculazioni, gestire eventuali conflitti (per esempio quando la discussione su un bene comune si trasforma in conflitto ambientale).
A Torino è partita alcuni mesi fa l’iniziativa Smart Commons Lab che si pone l’obiettivo di creare una nuova generazione di strumenti dinamici per migliorare i processi di policy-making, sperimentazione, partecipazione, formazione, monitoraggio, misurazione, organizzazione, gestione, decision-making e sviluppo economico che ruotano attorno ai commons. Lo Smart Commons Lab intende perseguire questo obiettivo attraverso il coordinamento collaborativo di un’ampia rete internazionale di soggetti diversi, quali enti di ricerca, non profit, aziende, enti pubblici, ma anche gruppi di interesse, associazioni di cittadini e comitati locali. 

VERSO IL FUTURO

1 – Migliora la collaborazione tra pubblico e privato

Negli ultimi anni sono aumentate le partnership pubblico-privato con modalità di collaborazione diverse rispetto al passato e con un’attenzione particolare alla sostenibilità dei territori. Grazie anche al web, che facilita la condivisione e la collaborazione, e al diverso ruolo che le imprese stanno assumendo con l’obiettivo di generare valore condiviso nella realtà in cui operano.
Sono diversi gli esempi di collaborazione: dalla cura diretta di zone del verde pubblico da parte di un’impresa (modalità in essere da tempo) al contributo per la valorizzazione del patrimonio artistico (facilitato grazie all’Art Bonus); dal sostegno agli eventi locali alla partnership finalizzata alla gestione di alcuni servizi innovativi per i cittadini.
Per un’impresa responsabile è strategico creare o rafforzare la relazione con l’ente locale per contribuire alla crescita di un territorio più sostenibile ma anche più competitivo.

2 – Si diversifica la partnership profit-non profit

La collaborazione tra profit e non profit sta crescendo anche se cambiano le modalità e a volte le finalità di questa partnership. Se l’obiettivo principale resta la realizzazione di iniziative di valore sociale, si modifica lo spirito della collaborazione: oggi si cerca di co-progettare azioni che possano essere economicamente sostenibili (quindi capaci di autoalimentarsi) e sta diventando evidente che quando il percorso è deciso congiuntamente il risultato finale è migliore.
È cresciuta anche la consapevolezza che per avviare partnership di valore è necessario essere trasparenti, aperti, disponibili al cambiamento e adottare un nuovo approccio che aiuta a migliorare le proprie performance.
La convergenza tra gli interessi dell’impresa e quelli dell’organizzazione non profit è il presupposto per accordi di lungo periodo che devono comprendere la definizione delle iniziative comuni, le interazioni tra i partner, una comunicazione capace di evidenziare le affinità esistenti, la valutazione degli impatti concreti prodotti dalla collaborazione.

3 – Aumentano le iniziative di innovazione sociale

La gestione dei beni comuni favorisce l’innovazione: le relazioni, le contaminazioni, gli scambi di conoscenza facilitano il cambiamento. In altre parole, condivisione e collaborazione sono determinanti per dare origine a processi di innovazione: quando soggetti diversi collaborano si ottiene un risultato migliore. In generale più orizzontali sono questi scambi, più generano risorse cognitive perché mettono a disposizione di tutti competenze, esperienze, know-how diversi.
Si può parlare di innovazione nella gestione dei beni comuni anche grazie a informazioni, infrastrutture, competenze considerati come risorse condivise che portano allo sviluppo di idee e offrono risposte nuove ai bisogni sociali, generando socialità e relazioni. Istituzioni, imprese, centri di ricerca, associazioni ma anche aggregazioni informali di cittadini oggi realizzano progetti di innovazione sociale.

4 – Si sviluppa l’idea di città sempre più collaborative

Le città sono spesso i contesti territoriali dove sperimentare queste pratiche capaci di generare innovazione per lo sviluppo delle comunità e per la qualità della vita dei cittadini. La dimensione collettiva della città, che agisce sul patrimonio sociale rendendolo “civico”, è il valore aggiunto che si produce e che alimenta le esperienze di collaborazione nella gestione dei beni comuni. Una città collaborativa può essere considerata un bene comune: infatti è un sistema urbano in cui le risorse essenziali per il benessere delle comunità urbane (ambientali, infrastrutturali, culturali, cognitive e digitali) vengono condivise, gestite, generate o rigenerate dai diversi attori locali. In questa evoluzione della città un ruolo importante è quello degli innovatori sociali che possono essere makers, creativi digitali, rigeneratori urbani ma anche semplicemente cittadini attivi.
Nella città collaborativa le forme di partenariato possono essere diverse: dalla creazione di piattaforme, spesso peer-to-peer, che hanno l’obiettivo di innovare servizi di welfare alle iniziative finalizzate a promuovere processi inclusivi di rigenerazione urbana. Un processo governato da soggetti diversi che mira a creare città sempre più sostenibili.

Per concludere

Viviamo immersi nei beni comuni e non possiamo pensare al futuro senza modificare il nostro approccio alla loro gestione e salvaguardia. Difendere i beni comuni consente non solo di vivere meglio ma anche di crescere in modo sostenibile.
Una delle maggiori difficoltà resta la capacità di coinvolgere le persone: la partecipazione alla vita della comunità spesso rappresenta un ostacolo non facile da superare.
Oggi si chiede ai diversi attori di intervenire in modo nuovo e complementare attraverso processi solidali che vedono nei soggetti pubblici i facilitatori di nuove forme di collaborazione. Con l’obiettivo di costruire legami sociali, mettere in rete risorse e competenze, sperimentare soluzioni innovative. Per rendere il futuro più sostenibile con vantaggi per tutti.

Rossella Sobrero si occupa di comunicazione sociale e di CSR da oltre 20 anni. Ha fondato Koinètica, prima realtà in Italia dedicata alla CSR. È docente all’Università degli Studi di Milano e all’Università Cattolica. È autrice di libri sulla sostenibilità; organizza Il Salone della CSR e dell’innovazione sociale; ha creato il blog CSR e Dintorni e il network CSRnatives. È membro del CdA di Pubblicità Progresso, del Consiglio Direttivo del CSR Manager Network, del Consiglio Nazionale FERPI.