Freiheit, libertà in tedesco, è forse la parola che caratterizza di più Berlino: la città che conquistò la sua, rompendo il muro, scavalcando “La barriera architettonica” per eccellenza, e riunendo finalmente famiglie e amori perduti.
Tante sono le storie che girando attorno al Muro e tanti sono i simboli che si trovano per la città, di certo quello più conosciuto e visitato è la famosa “East Side Gallery”.
Lunga ben 1,3km è la sezione del muro che più impatta alla vista, e che meglio ricorda quegli anni di sofferenza con quella speranza che caratterizza i Berliners.
Uscendo dalla stazione di Ostbahnhof si inizia questo percorso d’arte lungo la Mühlenstraße con i 106 murales dipinti dai più grandi writers degli anni novanta. Il più famoso sicuramente è “My God, help me survive this mortal love” di Dimitrji Vrubel: il bacio fra il Segretario Generale dell’URSS e il Presidente della DDR.
Gli scenari raffigurati da artisti sono molteplici e tutti inerenti alla sofferenza, alla memoria di chi non ce l’ha fatta e alla dolcezza provata nel ritrovare finalmente quella Freiheit tanto desiderata e ricercata.
Le storie raccontate sono un promemoria per le generazioni future ed è quasi paradossale che a oggi quella barriera d’odio che un tempo la popolazione delle due Germanie non vedeva l’ora di abbattere, ora fa fatica ad essere preservata.
Come e perchè l’East side Gallery è diventato un simbolo
Ossia un patrimonio che contribuisce a mantenere viva la memoria dei tempi bui di un tempo recente, e proprio per questo i Berliners non ci vogliono rinunciare.
Nell’estate del 2013 si cominciò a mettere in discussione la conservazione dell’intero Muro con il progetto “Living Levels” dove si pensò di abbatterne circa 30metri per consentire l’accesso diretto alla costruzione di un nuovo grattacielo e inoltre il comune propose la ricostruzione del ponte pedonale sul fiume: il Brommy Bridge.
La ditta di costruzione, Living Bauhaus, aveva previsto, in quella che un tempo era considerata la “striscia della morte”, una torre di quindici piani alta 200metri con appartamenti di lusso, e una fantastica vista incontrastata sulla Sprea. Il progetto aveva visto concorde, in un primo momento, anche il precedente sindaco della città Franz Schulz.
Nello stesso anno nacque l’Iniziative East Side Gallery (L’Iniziativa East Side Gallery) che sotto il motto “East Side Gallery retten!” (“Save East Side Gallery!”), ha rilevato che tutti i progetti di costruzione sull’ex striscia della morte dietro il Muro, sono in violazione della Legge di protezione dei monumenti storici di Berlino. Una legge che proibisce qualsiasi sviluppo nelle immediate vicinanze del monumento.
Come si può ben immaginare appena gli operai edili hanno rimosso la prima lastra di calcestruzzo migliaia di manifestanti sono immediatamente intervenuti per fermare i lavori riuscendo a rimandarne l’inizio e dando vita ad un’accesa discussione.
Tra i vari accusati iniziò un gioco di attribuzione di colpe. Maik Uwe Hinkel, capo del Living Bauhaus, diede la colpa a chi aveva firmato il suo progetto; Franz Schulz fu accusato di aver rilasciato il permesso di costruzione. Günther Schaefer, uno dei pittori della Galleria ed ora membro attivo della Artists Initiative (Iniziativa degli artisti), affermò: “Il sindaco ha infranto la legge: è un criminale”. Inoltre Hinkel si lamentò con i media per il fatto che lui e la “Living Bauhaus” erano solo gli agenti vicari del piano del distretto comunale per la ricostruzione del ponte pedonale che fu distrutto durante la seconda guerra mondiale mentre tutti puntavano ingiustamente il dito contro di lui come “Boogeyman della nazione”: “Heil Hinkel!” era il grido online.
Ma in realtà sono state le autorità per la tutela dei monumenti del distretto ad approvare l’apertura del Muro. Quindi a chi dare la responsabilità di questo affronto della memoria?
La voce degli artisti contro la rimozione
Non è la prima volta che il Muro viene rimosso per permettere il passaggio e la vista sulla Sprea fanno notare i cittadini, già 50 metri furono rimossi anni prima per l’accesso alle barche per l’evento “02 World”. “Se non si sta attenti, Berlino perderà questa magnifica opera d’arte”, fa notare una studentessa facente parte dell’Iniziativa (Un’Iniziativa politica significa una qualsiasi forma di pubblico invito alle autorità ad agire su un particolare problema). Si stima che 5 milioni di persone ogni anno accorrono ad ammirare quest’ opera d’arte, unica nel suo genere, e rimuovere un’altra sezione di Muro è come uccidere un pezzo di memoria storica. Kani Alavi, capo dell’Iniziativa “East Side Gallery” qualche anno prima donò dei soldi per il progetto della restaurazione del monumento. E’ stato inoltre uno dei primi artisti a dipingerlo con il murales intitolato “Es geschah im November” (È successo a novembre) e vedendo questo tentativo come un affronto alla sua opera, disse: “Vediamo questo come un atto diretto di distruzione verso il nostro lavoro, nell’ipotesi che si possa abbattere tutto il Muro”.
La parte scelta per la rimozione fu una porzione dell’opera dell’artista francese Thierry Noir, “Heads with big lips”. Anche lui partecipò alle proteste per preservare il suo lavoro e per la sopravvivenza della Galleria. Noir affermò che “Tutti i dipinti [della East Side Gallery] sono diventati un simbolo di libertà per Berlino e l’Europa – A differenza di altre parti della città dove la maggior parte del Muro è stato rimosso, questa è un’opportunità unica di preservare la maggiore sezione di quella che fu la ‘striscia di morte’. Se voi la rimuovete distruggerete l’autenticità di questo luogo”.
A seguito di negoziati improduttivi con i funzionari della città, Hinkel continuò con la costruzione dell’edificio e a fine marzo “rimosse” 20 metri della East Side Gallery. Un portavoce di Living Bauhaus dichiarò: “Il varco è solo temporaneo per creare l’accesso al cantiere e potrebbe essere chiuso con i segmenti originali una volta che il grattacielo sarà completato nel 2015”. Hinkel valutò anche la possibilità di condividere l’apertura con un progetto alberghiero di un suo investitore nei pressi del suo grattacielo. Nel frattempo, la costruzione del Brommy Bridge fu sospesa da parte di Hubert Staroste, a quei tempi dirigente della Soprintendenza della conservazione dei monumenti nella DDR.
Nonostante le continue proteste contro le nuove idee dell’investitore, come la nuova pista ciclopedonale all’interno dell’area e l’intenzione di mantenere l’accesso aperto, la risposta da parte dell’ex sindaco fu sempre negativa: “L’investitore ha un permesso legale e quindi può procedere”.
A quel punto ai cittadini rimase solo la certezza di poter preservare la parte rimanente del Muro e iniziarono la campagna per far entrare la Galleria nel patrimonio UNESCO, capitanata dall’Iniziativa East Side Gallery sotto la guida del Prof. Leo Schmidt.
Il Muro che ha diviso oggi unisce
Quello che appare strano, in tutta questa storia, è che quella che doveva essere una garanzia, il vincolo a monumento storico, è venuta meno. Ma la speculazione edilizia a Berlino, ormai, è senza controllo. La mancanza di rispetto verso la memoria storica che contraddistingue il mondo dominante dell’edilizia sembra non avere termine. “Questo non è il vero Muro, poiché il confine tra Est e Ovest era nel mezzo del fiume”, dichiarò la Living Bauhaus senza rispetto per la memoria.
L’autenticità rimane un punto di discussione chiave, per i sostenitori della East Side Gallery.
E’ un monumento storico inestricabile, unico ed eccezionale per la sua pozione e continuità. Queste caratteristiche consentono di mostrare al mondo di oggi quello che tutti si chiedono: “Com’era Berlino divisa?”.
La Galleria è una risposta praticamente tattile, e manometterla è come sminuire e rischiare di dimenticare la piena oscurità della storia del Muro, della Guerra Fredda che si risolse in quel giorno di novembre ormai passato alla Storia.
Nonostante le diverse attività di protesta, la torre ora riecheggia sul panorama sconfinato, ma le lotte sono rimaste per evitare che altri eventi di questo genere si ripresentino e sono iniziati dibattiti sui media.
Un muro divise Berlino in due e, stranamente, questo stesso muro ha unito di nuovo pacificamente Berlino in un atto d’amore, un atto paradossale. Un muro di cemento, prima sinonimo di odio, a oggi memoria dei tempi che furono e di libertà faticosamente conquistata.
Photo by Michelle O’Brien