Voglio chiedervi se ritenete ragionevole l’interrogativo che vi propongo. Non proporrò un’analisi di come le organizzazioni di terzo settore hanno saputo, sanno o sapranno essere corpi intermedi né una valutazione di come hanno saputo esserlo in passato e lo sono oggi.
Non credo sia questo il momento delle risposte quanto piuttosto quello delle domande: chiederci se le organizzazioni di terzo settore per il ruolo che hanno avuto, che stanno interpretando e prefigurando, sapranno essere intermedie fra le domande dei singoli e le risposte delle comunità.
Le organizzazioni di terzo settore e i loro antenati sono nate associando i bisogni; non sempre bisogni omogenei ma in ogni caso mettendo a confronto, facendo incontrare bisogni anche diversi fra loro per natura e soluzione richiesta.
Per i singoli questo ha rappresentato una possibilità di uscire dalla paralisi in cui li costringeva il restare soli con il proprio bisogno e impotenti nel darsi delle risposte. Una condizione vissuta principalmente ma non esclusivamente dalle persone più fragili.
Luoghi di protagonismo e confronto…
Non ci si poteva accontentare di associare i bisogni: era necessario trovare delle risposte e le organizzazioni di terzo settore sono state la sorprendente soluzione di tanti problemi che a volte nemmeno venivano riconosciuti e ai quali comunque non venivano offerte risposte adeguate.
Per le Autorità questo ha rappresentato una chiamata ineludibile a confrontarsi con esperienze che non solo segnalavano esigenze fino a quel momento ignorate ma che dimostravano come sarebbe stato possibile rispondere in modo più efficace o più efficiente a quelle già note e considerate.
Le organizzazioni di terzo settore sono state luogo di protagonismo e di ricerca comune di soluzioni ai problemi e di costruzione delle risposte per i singoli cittadini e hanno reso praticabile uno spazio di confronto con l’Autorità. In questo senso sono state e sono spesso ancora oggi meccanismi di connessione fra gli individui e le comunità che costituiscono. Per questo credo si potrebbe dire che le organizzazioni di terzo settore sono e i loro antenati sono stati corpi intermedi.
…con funzioni sempre più ampie e complesse
Nel corso degli anni le organizzazioni di terzo settore sono state sollecitate ad assumere compiti e sono state chiamate a svolgere funzioni sempre più impegnative e complesse. Hanno dovuto imparare a gestire servizi che le Autorità non erano in grado di erogare o che gli sarebbero costato troppo farlo; a impegnarsi in campagne di tutela e promozione dei diritti negati di persone, comunità e territori lontane (a volte nemmeno mai incontrate); a dar voce a chi non ne ha e pertanto non li può difendere né rivendicare come i bambini, il paesaggio, l’ambiente; a co-progettare interventi con soggetti pubblici o del mercato e a co-programmare misure e politiche per affrontare le cause dei danni che quotidianamente cercavano di contenere e ridurre. Hanno dovuto dotarsi di un apparato professionale e di competenze qualificate per rispondere alle nuove richieste del contesto: adattarsi – mutare – per questo.
La domanda allora diventa: non è che con questi cambiamenti, in questa evoluzione, si è persa quell’immediata capacità delle organizzazioni della società civile di “mettersi in mezzo”? A che condizioni sono ancora in grado (e lo saranno in futuro) di non lasciare soli i bisogni e contemporaneamente dare forza alle rivendicazioni e alle proposte per sollecitare le Autorità?
La capacità di trovare obiettivi sui quali far convergere interessi e risorse per rispondere ai bisogni
Vale la pena di guardare tutto ciò in prospettiva per capire quali adattamenti delle organizzazioni di terzo settore sono stati in continuità con la loro missione originaria e quali no; quali le hanno portate a “togliersi di mezzo” e quali hanno consentito loro di “continuare a mettersi in mezzo”. Per questo i successivi appunti.
Andando a scoprire la storia di alcuni “antenati” delle organizzazioni di terzo settore a Milano, alcuni peraltro ancora attivi e incredibilmente vivaci, colpisce la determinazione con la quale nel corso dei tempi e attraverso i tanti cambiamenti con cui hanno dovuto fare i conti hanno sempre tenuto il punto: quando i bisogni della persona sono bisogni sociali allora diventano una questione delle comunità e per affrontarli è necessario tanto favorire l’iniziativa e attivare le risorse di ciascuno quanto accreditare quei problemi e le relative soluzioni come impegno e risultato di tutti. Per un primo elenco degli enti a cui mi riferisco rimando a questo link.
Colpisce la determinazione e sorprende la capacità di queste esperienze di coinvolgere energie e interessi diversi. Sia quando a porre il problema sono le persone che li vivono direttamente sia quando è l’iniziativa di un filantropo a dar voce a un bisogno, la ricerca delle soluzioni attiva energie e risorse più ampie. Quello che sorprende è la convergenza di interessi e risorse diverse nella costruzione delle soluzioni.
La sussidiarietà orizzontale come punto di svolta
Negli anni novanta del secolo scorso le organizzazioni di terzo settore raccolgono i frutti di un percorso trentennale in cui avevano ripreso il cammino degli antenati che il ventennio fascista avrebbe voluto sopprimere. Trovano la forza di aggiornare obiettivi e strategie alla luce delle sfide poste da un contesto profondamente mutato rispetto a quello in cui lavoravano i loro “antenati”. La premessa rimane il punto da cui partivano le esperienze del passato. Con una novità: per aggregare interessi e risorse al fine di non lasciare soli i singoli con i loro problemi le organizzazioni di terzo settore hanno bisogno di essere riconosciute pubblicamente per il ruolo che interpretano. Sono di quegli anni le leggi di riconoscimento delle organizzazioni di volontariato, della cooperazione sociale e infine dell’associazionismo di promozione sociale. E nella metà degli anni novanta il terzo settore progetta e realizza tre grandi operazioni grazie alle quali creare le condizioni per esercitare pienamente ed efficacemente il proprio ruolo: nasce così il Forum Permanente del Terzo Settore per svolgere in modo stabile le funzioni di rappresentanza e praticare quello spazio di confronto con il Pubblico che fin dalle origini le esperienze di terzo settore hanno occupato; viene costituita Banca Etica per rafforzare anche sul terreno delle attività e delle relazioni economiche la capacità di coinvolgere le imprese e i soggetti del mercato nella costruzione delle risposte ai bisogni, per cogliere le possibilità di porsi come interlocutori delle realtà del mondo del lavoro e delle imprese; si fonda Fair Trade per operare sulla nuova domanda di solidarietà che viene dai diritti negati e dalle condizioni di bisogno di altri popoli e territori. Una stagione che si conclude, agli inizi degli anni duemila con l’introduzione nella Carta Costituzionale del principio di sussidiarietà orizzontale che fissa definitivamente collocazione e funzione delle organizzazioni di terzo settore: ovvero essere strumento ed espressione dell’autonoma iniziativa dei cittadini disponibili a operare per l’interesse generale.
La fragilità dell’impianto: un problema solo del Terzo Settore?
La stagione di accreditamento del terzo settore come realtà in grado di organizzare bisogni e libertà per affrontare i problemi dei territori e delle comunità e rispondere ai bisogni della persona ha come esito sia quello di portare in chiaro la funzione di corpi intermedi delle organizzazioni di terzo settore sia il moltiplicarsi dei compiti a cui queste vengono chiamate. E così lo Stato nelle sue diverse articolazioni vede nel terzo settore un interlocutore per la co-progettazione e co-programmazione delle politiche e vi fa sempre più frequentemente ricorso per la gestione dei servizi alla persona e per lo svolgimento di attività di tutela dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico e in quelle di promozione culturale. Un risultato che sfida il terzo settore su un doppio terreno.
Nel corso degli anni duemila, ma la dinamica era emersa già sul finire del secolo scorso, il terzo settore per rispondere alle richieste per la gestione e lo svolgimento di attività in nome e per conto della Pubblica Amministrazione rafforza le proprie competenze gestionali e amministrative. Si qualifica complessivamente come soggetto in grado di gestire servizi e offrire prestazioni con cui rispondere ai bisogni e affrontare i problemi delle comunità e dei territori. Ma le energie che deve investire per questo sono ingenti e le sue risorse limitatissime: non ne rimangono per qualificare le competenze per esercitare il confronto con le istituzioni pubbliche e per coinvolgere e attivare soggetti del mercato e singoli cittadini.
Diventa così oggettivamente più fragile l’impianto su cui poggiava il ruolo di corpi intermedi delle organizzazioni di terzo settore: quella capacità di associare i bisogni, accreditare gli obiettivi e le strategie per le risposte e infine far convergere interessi e risorse sulle soluzioni e dimostrare al pubblico che è possibile realizzarle ed è giusto dare loro continuità.
Questo impreciso excursus per riproporre gli interrogativi da cui sono partito: è possibile occuparsi di questa fragilità? E questa fragilità è un problema solo del terzo settore o è il segnale di un problema più ampio? Quanto è necessario rivedere le relazioni fra i singoli cittadini, comunità e pubblico così come fra il locale e i livelli regionale, nazionale, comunitario e internazionale nella definizione, implementazione e applicazione delle politiche?
Sergio Silvotti è Presidente di Arci Servizio Civile Lombardia e Segretario del Forum del Terzo Settore – Lombardia. E’ stato Presidente della Fondazione e Società Triulza dal 2013 al 2017, Portavoce del Forum del Terzo Settore – Lombardia dal 2010 al 2018, rappresentante dei Forum regionali del Terzo Settore del nord ovest nel Coordinamento del Forum Nazionale del Terzo Settore dal 2014 al 2017, componente dell’organo di indirizzo della Fondazione Cariplo da aprile 2006 a maggio 2019.
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