Riutilizzare il patrimonio dismesso, sottoutilizzato, abbandonato, sfitto, invenduto o incompiuto è una necessità epocale per rigenerare città, territori e periferie

Riutilizzare il patrimonio dismesso, sottoutilizzato, abbandonato, sfitto, invenduto o incompiuto è una necessità epocale per rigenerare città, territori e periferie: ce ne parla Roberto Tognetti, coautore del libro “Riusiamo l’Italia“. Nel recente libro di Luca Dal PozzoloEsercizi di sguardo. Cultura e percezione del quotidiano, una vera miniera di stimoli per chi, a vario titolo, svolge attività espressive, c’è un passaggio che aiuta a introdurre il tema degli approcci creativi al riuso urbano da un punto di vista meno prosaico di quanto si è costretti a fare nella mera gestione funzionale dei problemi.

Educare lo sguardo

“È utile evidenziare – scrive Pozzolo – come la coppia tópos e chóra fornisca un’articolazione di grande suggestione per trattare e rendere rappresentabili aspetti dello spazio spesso impliciti e sfuggenti, ma al tempo stesso determinanti, quanto al loro impatto sulla nostra sensibilità. In una accezione forzatamente semplificata e letterale delle relazioni tra tópos e chóra. Si può assumere che i due termini condividono lo stesso limite, la stessa superficie di confine, quasi fosse una pellicola geometricamente senza spessore che separi il modellato del tópos dalla sua contromarca cava, lo spazio circostante, la dimensione di apertura che accoglie il tópos e gli consente di porsi, di esistere, di stagliarsi in quanto tópos.
Ragionare in questi termini, per quanto semplificati, consente già di nominare, raffigurare, caratterizzare la contromarca del tópos come non-vuoto, non-residuo, ma come disponibilità a ricevere, la cui dimensione femminile di ospitalità e accoglienza dovrebbe essere tenuta in debito conto da qualsiasi tópos. Di contro appaiono eclatanti le violenze continuamente perpetrate sulla chóra, degradata a sfrido, spazio residuale, effetto ineliminabile ma irrilevante di un costruito che valuta e misura solo gli oggetti nella fisicità dei loro importi e quasi mai la qualità che producono al loro intorno. […].
Mi piace pensare che, nell’entrare in risonanza, chóra allestisca una regione sensibile non estranea a una complicità, laddove i tópoi sappiano contenerla con appropriatezza, indicendone una consonanza che non è pura complementarietà. Ciò che si inscrive su di lei in specifiche condizioni partecipa al costruire del luogo, a offrire il ricettacolo, ad aprire a un senso le condizioni per l’abitare” (cfr. pp. 70-72).

Il rapporto “spazio-luogo”

Riconosciamo così nel concetto appena esposto di ricerca della “risonanzatra spazio e luogo, tra abbandono e rinascita, tra regola ed eccezione, il fatto che il “riuso creativo” come pratica di “innesco” nei processi di rigenerazione urbana si può caratterizzare come forma di sciamanesimo contemporaneo. Un’attività che può essere svolta solo da chi, nell’indefinibile ruolo di aedo o augure dei nostri tempi, riesce a leggere quei segni di modellazione dei contesti che permettono la convergenza di articolate comunità di innovatori nel trasformare gli spazi abbandonati in luoghi di comunità.
Possono essere i “creativi” della nomenclatura un po’ vintage di Richard Florida (“L’ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita, valori e professioni”, 2003) o i “progettisti-bricoleurs” delle “comunità intenzionali” introdotti da Ezio Manzini (“Politiche del quotidiano. Progetti di vita che cambiano il mondo”, 2018), ma rimane il fatto che le strade di sperimentazione sono infinite e richiedono creatività, coraggio e pensiero laterale. Doti che difficilmente si trovano nei percorsi standard della programmazione di tipo predittivo o prescrittivo, ma che rimandano a sviluppi opposti basati su modelli di sperimentazione, anche compatibili con la successione di prove ed errori, dove il primo impatto che si viene e generare è la costruzione di un contesto di apprendimento aperto e informale.

Istruzioni per “riusare” l’Italia in modo creativo

È questa forse la cifra più interessante che con continue rielaborazioni viene coltivata intorno alla piattaforma “Riusiamo l’Italia”. Essa rappresenta l’implementazione del libro “Riusiamo l’Italia. Da spazi vuoti a start up culturali e sociali” pubblicato dal Gruppo 24 Ore, scritto nel 2014 da Giovanni Campagnoli con post-fazione di Roberto Tognetti. È un “road book” che parte dalle buone pratiche di riuso creativo degli spazi. Tema attuale, in quanto oggi l’Italia è “piena di spazi vuoti” e riuscire a riusarne anche solo una minima parte, affidandoli a delle start up culturali e sociali, può diventare una leva a basso costo per favorire l’occupabilità giovanile. Il sito, la pagina facebook e la piattaforma costituiscono gli strumenti per supportare l’innovazione sociale, culturale ed economica facendo incontrare la domanda e l’offerta di spazi da riusare.
Le potenzialità generative della piattaforma si basano sul concetto di open source, dove ognuno può inserire il proprio spazio vuoto, sfitto, sottoutilizzato, per favorire percorsi di riuso e rigenerazione urbana con finalità sociali e/o culturali. Più in generale la piattaforma definisce tre ambiti operativi: per il caricamento di situazioni da offrire cliccando “Proponi il tuo spazio”, per l’utilizzo di un motore di ricerca scegliendo “Ricerca avanzata di spazi” e per l’identificazione di specifici progetti selezionando “Gli interventi”. La cosa più utile e interessante in questa fase è –appunto – quella di allargare l’offerta contribuendo così a popolare la mappa del maggior numero di situazioni possibili. Più si caricano edifici da riutilizzare e più si aiuta il rilancio del sistema-paese, soprattutto per la valorizzazione dei suoi infiniti talenti.

Cosa è possibile “riusare”?

Il target perfetto è costituito da situazioni di abbandono o dismissione “quasi” pronto-uso, ovvero casi dove i costi e gli oneri di riabilitazione siano nulli o bassi e dove quindi i tempi di colonizzazione dei luoghi siano davvero veloci. La mappa è gratuita ed è semplice da usare, la compilazione del percorso “Proponi il tuo spazio” avviene prevalentemente attraverso parametri pre-definiti da scegliere cliccando le opzioni che ricorrono. Ciò porta progressivamente a comprendere che non si tratta di un mercato di transazioni immobiliari, ma viceversa di uno strumento per accelerare processi di creazione del valore, processi che possono e devono essere innescati da attività anche di riuso temporaneo, riuso creativo, riuso partecipato, attività insomma dove sono “i valori” dei contenuti a ripristinare “il valore” dell’immobile e non il contrario. Per questo tipo di operazioni “non” c’è una regola pre-definita, vale il caso per caso e conta molta la fantasia e la creatività.

Rigenerazione urbana e cittadinanza creativa

La rigenerazione urbana è indispensabile e sempre di più necessaria, intorno ad essa servirebbe sperimentare nuove forme di cittadinanza attiva e creativa e dunque nuove forme di democrazia. La rigenerazione urbana dovrebbe diventare il terreno tecnico operativo del cambiamento futuro in termini sostenibilità e semplicità. Provare a riutilizzare il patrimonio dismesso, sottoutilizzato, abbandonato, sfitto, invenduto o incompiuto è una necessità epocale per rigenerare città, territori e le relative periferie. Si tratta di una sorta di “seconda natura” che deve essere riplasmata e riabilitata per gli usi contemporanei. Una siffatta azione deve diventare la “scena” dove si recupera memoria, tradizione e senso identitario, ma anche “teatro” di nuove rappresentazioni e narrazioni che permettano alla comunità locali di intercettare cambiamento e desiderio di futuro.
La successione logica potrebbe essere la seguente:

  1. Esistono endemicamente sterminati patrimoni abbandonati per quantità e/o qualità;
  2. Non esistono le risorse pubbliche necessarie per una loro ristrutturazione complessiva;
  3. Spesso non esistono nemmeno le destinazioni d’uso identificabili a priori;
  4. Persiste invece l’esigenza di conservare e valorizzare detto patrimonio, soprattutto quando i relativi livelli di degrado sono ancora contenuti;
  5. Esistono moltitudini di casi di riuso temporaneo e/o riuso creativo che possono qualificarsi come buone pratiche per contaminare sempre di più altre situazioni potenziali.
  6. Può essere un fertile terreno di sperimentazione quello di re-inventare questa abbondanza di spazi da riusare come esercizio di ricerca della felicità collettiva, e quindi come spazi che aggiungono qualità e quantità alla nostra vita, non solo come spazi funzionali, ma anche come spazi di espressione e contemplazione, di aggregazione, di convivialità, luoghi dove svolgere nuove forme di convivenza, più ricche, più aperte, più sostenibili.

Verso una democrazia progettuale

All’Italia oggi servirebbe un nuovo statuto che si potrebbe definire di “semplicità progettuale”. Semplicità perché il nostro è un paese complicato anche quando tenta di produrre “semplificazione”. Si è visto infatti come vent’anni di semplificazione abbiano prodotto “nuovi mostri” che hanno portato il paese a quella “retorica dell’innominabile”, che si verifica puntualmente di fronte alle inerzie della “burocrazia” usata come “alias” tutte le volte, cioè quasi tutte, in cui non è possibile identificare una “responsabilità imputabile”.
“Semplicità” significa rimuovere il “formalismo” dal nostro ordinamento giuridico e sostituirlo, quanto meno nelle pratiche di governo del territorio, con meccanismi dove è “il progetto” a definire le regole. Regole che devono essere: essenziali e – appunto – semplici da applicare. Su questo punto potrebbe essere opportuno scrivere un nuovo articolo della Costituzione per assicurare che la sua applicazione possa godere del massimo posizionamento in termini di gerarchia delle fonti giuridiche. Serve porre le basi per una vera democrazia progettuale.

Nuovi percorsi

Lo scorso 20 e 21 settembre si è tenuto a Rimini, presso l’ex Colonia Bolognese (un luogo originalissimo di rigenerazione in corso), un’occasione di studio, riflessione e incontro sul tema del riuso creativo, temporaneo e partecipato. Una sfida di “civile semplicità” per promuovere metodi e strumenti operativi, intorno alle grandi potenzialità della Piattaforma La Grande Bellezza / Riusiamo l’Italia si presenterà più performante e rafforzata con svariate funzioni dal fundraising al crowdfunding.
Tale appuntamento è stata anche l’occasione per fare il punto sul Network nazionale del riuso, un’iniziativa promossa Rete ITER a cui ha aderito anche LABSUS e che ha tra i suoi primi scopi proprio quello di sviluppare la piattaforma Riusiamo l’Italia attraverso azioni di protagonismo dei cittadini e dei giovani in particolare come nel caso del progetto La grande Bellezza. Durante il meeting di Rimini, i circa 70 partecipanti, tra cui Regione Piemonte, Regione Emilia Romagna, alcuni Comuni e molte organizzazioni caratterizzate da missioni di interesse generale hanno espresso forti convergenze valoriali e operative sulle potenzialità della Piattaforma.
Molte sono le implementazioni di cui è stato chiesto uno sviluppo ex post, molte le piste di lavoro e molteplici i contatti e le relazioni da alimentare e incrementare. Sono state creato varie aspettative, anche istituzionali, circa alcune possibili evoluzioni di questi ambiti di azione e ricerca. In particolare è stato condiviso il fatto che attraverso il riutilizzo del patrimonio abbandonato sarebbe possibile dare corso ad un vero e proprio piano industriale del sistema-paese. Giovanni Campagnoli, nel suo intervento ha avuto modo di aggiornare alcune valutazioni econometriche a riguardo, sottolineando alcune stime che permetterebbero una riduzione della disoccupazione giovanile del 10% con la creazione di circa 100 mila posti di valoro, un impatto sociale di poco meno di 300 mila espressioni di cittadinanza attiva e circa 2,7 miliardi di euro di fatturato annuo.