Una riflessione sul diritto di vivere la città e prendersi cura dei suoi spazi, generando intorno ad essi comunità vive e creative in grado di restituire dignità a luoghi e persone

La sezione “Ricerche” pubblica la tesi di laurea di Ferdinando Errichiello che conduce una ricerca sui beni comuni e il diritto alla città, presentando il caso studio del patto di collaborazione di Villa Giaquinto a Caserta. Questa tesi ci consente di tornare a riflettere sul diritto di vivere la città, di prendersi cura dei suoi spazi, anche e soprattutto quelli dimenticati, generando intorno ad essi comunità vive e creative in grado di restituire dignità a luoghi e persone. Nascono così i beni comuni che vanno oltre la dimensione materiale per divenire spazio di rigenerazione sociale e storia nuova di comunità umane. Questo è il tema della tesi di Errichiello e il caso di Villa Giaquinto, a lui dunque la parola.

Comunità e beni comuni

Nella nostra società l’idea della separazione tra la proprietà pubblica e quella privata sembra scontata e non pare prevedere forme intermedie. Nell’ambito del diritto e in quello della politica è ancora difficile intravedere uno spazio mediano, come quello della sfera dei beni comuni che si pone come alternativa alla sfera del pubblico e del privato. I beni comuni, infatti, non sono semplicemente un modo di possedere in maniera collettiva, ma rappresentano un modello di gestione di un bene da parte di una specifica comunità che intesse intorno ad esso e al suo utilizzo specifici legami sociali.

Dalla crisi all’opportunità

La crisi economica e politica in cui è piombato il mondo occidentale impone di ripensare e rivedere alcune delle categorie fondative della contemporaneità. In realtà, non solo le comunità sembrano essere in grado di gestire efficacemente una risorsa naturale, ma possono anche, attraverso forme di autogestione dei beni comuni, costruire relazioni qualitative, spazi di alternativa sociale, vita ecologica, istituzioni innovative, diritti e cittadinanza nuova. Proprio questa diversa modalità di autorganizzazione della cittadinanza intorno ai beni comuni sembra oggi essere una valida risposta a problemi concreti e sentiti da una larga parte della società civile che, spesso esclusa dalla politica, vuole partecipare attivamente alla vita della propria comunità. In questo senso i beni comuni rappresentano una risorsa straordinaria, come dimostra l’esperienza concreta di Villa Giaquinto a Caserta.

Una comunità in movimento

L’ultimo capitolo della mia tesi è stato dedicato proprio al caso studio di Villa Giaquinto come bene comune. Il punto di partenza è stato quello di prendere in esame l’attività del Comitato per Villa Giaquinto, considerando quest’ultimo come un movimento sociale urbano inteso a riqualificare lo spazio intorno al bene e a rivitalizzarlo da un punto di vista sociale. Per questo motivo, dopo averne raccontato la storia, la ricerca e lo studio si sono focalizzati sull’analisi del conflitto tra parti sociali e istituzioni che l’uso dello spazio inevitabilmente aveva generato.

Dal Comitato alle alleanze per la cittadinanza attiva

Per studiare l’autogestione dei beni comuni è fondamentale capire la natura e le finalità delle comunità che intorno ad essi si creano; e proprio questi due obiettivi hanno costituito l’ipotesi iniziale da cui è partita la mia analisi. Era cioè necessario mettere in luce le peculiarità della comunità eterogenea che si era formata intorno a Villa Giaquinto e ricostruire le alleanze inedite che essa aveva realizzato. La scelta della mia ricerca è caduta quindi proprio su questo caso perché rappresentava un modello virtuoso di gestione di un bene pubblico divenuto un bene comune. Ma come è avvenuto il passaggio dal “pubblico” al “comune”?
Anzitutto l’esperienza di Villa Giaquinto ha inaugurato un modo diverso di intendere e vivere la città da parte di numerosi soggetti, tra loro anche molto diversi, la cui interazione non era scontata. Attraverso l’analisi della comunità, si è evidenziato un interesse partecipativo inedito che ha contribuito a “produrre” un nuovo senso di appartenenza, suscitando nella pratica forme di cittadinanza attiva. Dopo essere passati attraverso l’esperienza del Comitato, i cittadini cambiano radicalmente, nella misura in cui diventano consapevoli delle proprie potenzialità e si scoprono attori protagonisti del cambiamento. Cittadini ora responsabili sono pronti a prendere parte alla cogestione di una parte della loro città, reclamando il diritto di viverla, di decidere e di cambiarla in comune.

Un modello virtuoso per nuove frontiere

In questa parte della tesi, ho cercato di indagare il tipo di istituzioni di cui si è dotato il Comitato per organizzare e gestire in autonomia Villa Giaquinto, situata nel centro storico della città, ponendo particolare attenzione al rapporto tra questi la proprietà privata e l’ente pubblico di riferimento. Ho inoltre cercato di descrivere il ruolo della comunità e il funzionamento della sua rete in relazione all’uso specifico di questo particolare bene comune, il modo in cui si è creata e come si trasforma, il tipo di saperi che produce e come li utilizza.
Le esperienze dei beni comuni sono tutte diverse tra loro perché hanno luogo in situazioni e contesti sempre differenti e coinvolgono soggetti sociali, pubblici e privati, eterogenei. Per ricomporre queste differenze e specificità nell’unitarietà di un fenomeno, cercando di dare loro una certa coerenza teorica, è utile approcciarsi a questa tematica anche da un punto di vista filosofico, sollevando questioni e ponendo problemi sempre nuovi. In questo modo, la filosofia deve suggerire nuove prospettive e spingere a immaginare alternative, studiando quei processi messi in campo da chi, queste alternative, già le pratica. In tal senso, i beni comuni possono rappresentare la nuova frontiera e costituire una strada da percorrere con l’obiettivo di costruire una società diversa, non più basata sullo sfruttamento ma sulla giustizia sociale.