La decisione della Corte costituzionale n. 131/2020 impegna le PA e il Terzo settore ad attuare con responsabilità e consapevolezza l’art. 55 del Codice del terzo settore, privilegiando la sinergia tra attori e la messa in comune di mezzi, piuttosto che la competizione per l’individuazione del miglior offerente

Finora in questa Sezione abbiamo pubblicato soltanto saggi inediti. D’ora in poi, invece, ogni tanto pubblicheremo un saggio già pubblicato altrove. Abbiamo infatti deciso di innovare la nostra politica editoriale dando visibilità a riflessioni apparse su Riviste che trattano temi simili a quelli di cui ci occupiamo noi, in modo da moltiplicare la diffusione delle idee.
Inauguriamo questo nuovo corso pubblicando un saggio apparso recentemente su Impresa sociale, una rivista con cui abbiamo molti punti di contatto, a cominciare dall’antica amicizia con chi la dirige. Il direttore responsabile di Impresa sociale è infatti Felice Scalvini, Carlo Borzaga e Marco Musella ne sono i direttori scientifici e Gianfranco Marocchi dirige la Rivista e il Forum sul sito impresasociale.it. Sono tutti “vecchi” amici con cui c’è piena sintonia di vedute su tanti temi, tant’è che il presidente di Labsus fa parte del Comitato scientifico della Rivista stessa.
E poi ovviamente vi sono motivi oggettivi, legati al reciproco interesse per i temi che trattiamo. Noi di Labsus, per esempio, siamo interessati fra l’altro alle tematiche riguardanti l’utilizzo dell’impresa sociale nell’ambito dei Patti di collaborazione, soprattutto dei Patti complessi. Mentre gli amici di Impresa sociale a loro volta sono interessati a tutto il “contesto” in cui si muove Labsus, dalla sussidiarietà alla cura dei Beni comuni, dai Regolamenti per l’amministrazione condivisa ai Patti di collaborazione.
Un ulteriore elemento di vicinanza è poi dato dal fatto che con Scalvini, Borzaga e Marocchi abbiamo lanciato alcuni anni fa un’iniziativa chiamata “Amici dell’art. 55” per promuovere la corretta applicazione dell’art. 55 del Codice del Terzo Settore, una disposizione che innova radicalmente i rapporti fra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo Settore.
Insomma, la collaborazione fra le nostre due Riviste era nell’ordine delle cose, si trattava soltanto di cogliere l’occasione per concretizzarla. Ma ringrazio ugualmente molto gli amici di Impresa sociale per aver immediatamente aderito alla nostra proposta, consentendoci di pubblicare un saggio di Silvia Pellizzari, ricercatrice di Diritto amministrativo presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento, intitolato Sentenza 131/2020: attuare con responsabilità l’art. 55 del Codice del Terzo settore, su una recente ed importantissima sentenza della Corte Costituzionale riguardante il principio di sussidiarietà e gli enti del Terzo Settore. Siamo già intervenuti a luglio su questa pronuncia della Corte nella Sezione Diritto grazie ad un commento di Fabio Giglioni, sicuramente ci torneremo sopra ancora in futuro, ma intanto continuiamo ad occuparcene grazie al saggio di Silvia Pellizzari, che ringraziamo per aver acconsentito alla pubblicazione su Labsus. 

Gregorio Arena


Sin dal giorno della sua pubblicazione, la sentenza della Corte costituzionale n. 131 del 2020 è diventata un leading case fondamentale per il diritto del Terzo settore.
La Consulta ha infatti, finalmente, sancito l’importanza del Codice del terzo settore (CTS) e, in particolare, degli articoli dedicati ai rapporti tra gli enti del Terzo settore (ETS) e le pubbliche amministrazioni che realizzano direttamente principi e valori essenziali del nostro ordinamento costituzionale, ovvero la centralità della persona, la solidarietà e la sussidiarietà orizzontale.
Da questo punto di vista, si rivelano particolarmente significativi i passaggi motivazionali secondo cui le disposizioni contenute nel Titolo VII del Codice del Terzo settore (artt. 55, 56 e 57) rappresentano “una delle più significative attuazioni del principio di sussidiarietà orizzontale valorizzato dall’art. 118. Quarto comma, Cost.”. Tale articolo, secondo la Consulta, avrebbe “esplicitato nel testo costituzionale le implicazioni di sistema derivanti dal riconoscimento della profonda socialità che connota la persona umana e della sua possibilità di realizzare una azione positiva e responsabile”, anche attraverso rapporti giuridici stabili con le istituzioni pubbliche.

La Corte ricorda, infatti, che nel sistema italiano la solidarietà ha da sempre una dimensione relazionale, essendo all’origine di “una fitta rete di libera e autonoma mutualità che ricollegandosi a diverse anime culturali della nostra tradizione, ha inciso profondamente sullo sviluppo sociale, culturale ed economico del nostro Paese”, tanto da assicurare e garantire forme di assistenza, solidarietà e istruzione agli esclusi sin da prima che si delineassero i sistemi pubblici di welfare.
Nel sistema democratico delineato dalla Costituzione e in particolare negli artt. 2, 3, 4, 38 e 118, infatti, l’azione pubblica non detiene l’esclusivo monopolio dello svolgimento di attività di interesse generale. Queste ultime, infatti, “possono essere perseguite anche da una autonoma iniziativa dei cittadini che, in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, risulta ancora oggi fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese”.
È quindi naturale che si instaurino dinamiche di condivisione tra sfera pubblica e privato sociale, dato che entrambi questi poli costituiscono espressione di un dovere comune di amministrare e organizzare la convivenza sociale così come prefigurato dai Costituenti.
Muovendo in questa direzione, con il CTS il legislatore ha fornito una vera e propria procedimentalizzazione dell’azione reciprocamente sussidiaria tra pubblico e privato attraverso la previsione di strumenti giuridici tipici per configurare le relazioni in cui la causa economica-sociale è data dalla condivisione, collaborazione e corresponsabilità di obiettivi, attività, risorse e risultati.

Emblematico a tale proposito è proprio l’art. 55 CTS oggetto purtroppo di interpretazioni che, sin dalla sua introduzione, ne hanno ridotto e limitato fortemente la portata innovativa.
Come è noto, l’art. 55 apre il Titolo VII del CTS, stabilendo alcuni principi generali e introducendo alcuni istituti specifici. Esso pone un dovere in capo ai soggetti pubblici che sono chiamati ad assicurare il coinvolgimento attivo degli ETS nella programmazione e nell’organizzazione degli interventi e dei servizi di interesse generale.

Il legislatore della riforma ha, infatti, previsto che l’approccio collaborativo riguardi tanto la fase di programmazione, quanto quella di gestione e attuazione degli obiettivi predeterminati in modo condiviso. Ai sensi della disposizione in parola, tale coinvolgimento prende le forme della co-programmazione, della co-progettazione, dell’accreditamento e del partenariato e deve avvenire nel rispetto della disciplina sul procedimento amministrativo di cui alla L. n. 241 del 1990, nonché di quella in materia di programmazione sociale di zona.
Da questo punto di vista, l’art. 55 rappresenta prima di tutto un modo di esercizio coordinato e concordato della funzione pubblica o, per riprendere le parole della Consulta, “un canale di amministrazione condivisa”.
Esso sigilla, in altri termini, la comunanza di interessi tra pubblico e privato e rappresenta ad oggi il più significativo punto di approdo del favor legislativo verso modelli di relazione tra pubblico e privato ispirati a una logica di condivisione, consensualità e sinergia operativa già previsti in precedenti disposizioni normative settoriali come per esempio l’art. 19 della L. n. 328 del 2000, l’art. 7 del DPCM 30 marzo 2001 e l’art. 119 del D.lgs. n. 267 del 2000.

A una attenta analisi, appare evidente che i destinatari pubblici ideali per l’implementazione di tali strumenti sono soprattutto le amministrazioni locali.
Non si può negare, infatti, che l’art. 55 CTS valorizzi anche la dimensione verticale della sussidiarietà in quanto, nella maggior parte dei casi, alle attività di interesse generale di cui all’art. 5 CTS corrispondono funzioni tradizionalmente svolte e organizzate a livello locale e disciplinate dai legislatori regionali in quanto servizi pubblici o di interesse generale. Si pensi agli interventi e servizi sociali e sociosanitari (lett. a) e b)), alla formazione professionale (lett. c)), alla valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale e turistico o, ancora, agli interventi di housing sociale.
Del resto, di fronte a una crescente domanda di servizi in grado di realizzare il cd. welfare di comunità, la collaborazione pubblico/privato è vista dalla stessa Corte costituzionale come un modello in grado di alleggerire l’intervento pubblico a favore di iniziative private complementari, spesso più flessibili, innovative e in grado di sopperire alla progressiva crisi di risorse pubbliche.
Gli ETS, “rappresentativi della società solidale” riescono infatti a esprimere una significativa capacità organizzativa e di risposta ai bisogni in grado di produrre effetti positivi “sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della società del bisogno”. Questa è, in sintesi, la ragione per cui gli istituti di cui al Titolo VII del CTS sono pensati per gli ETS a cui è riconosciuta una specifica attitudine a partecipare insieme ai soggetti pubblici alla realizzazione concreta dell’interesse generale.

Si apre quindi una stagione di grande responsabilità per le amministrazioni territoriali e gli ETS nella attuazione degli strumenti giuridici di cui al CTS e, in particolare, dell’art. 55.
Sarà necessario, in primo luogo, dare una risposta concreta e consapevole ai dubbi ricostruttivi che si sono posti rispetto agli accordi di co-progettazione, spesso superficialmente accostati tout court ai contratti di affidamento ed esternalizzazione dei servizi pubblici a uno o più operatori di mercato in violazione delle procedure di evidenza pubblica di derivazione eurounitaria volte a promuovere la c.d. concorrenza per il mercato (questa, per esempio, appare l’impostazione di fondo del parere del Consiglio di Stato, Commissione speciale, n. 2052 del 2018).
Nella sentenza della Corte costituzionale si rinvengono alcuni importanti argomenti per impostare sin da subito questa partita decisiva nel modo corretto. La Consulta, infatti, si pone in dialogo diretto con l’ordinamento eurounitario e, in particolare, con quella giurisprudenza della Corte di Giustizia che, negli ultimi anni, ha cercato di armonizzare i valori della concorrenza con quelli della solidarietà, entrambi fondativi dell’ordinamento sovranazionale ai sensi dei Trattati istitutivi.

In due importanti decisioni, rispettivamente, del 2014 (C-113/13, Spezzino) e del 2016 (C-50/14, Casta), i giudici del Lussemburgo hanno infatti sottolineato che sono possibili attenuazioni dei principi di concorrenza e mercato interno in virtù di scelte motivate dai valori di universalità, solidarietà, efficienza economica e adeguatezza, in modo tale che i servizi di interesse generale siano prestati e assicurati in condizioni di equilibrio economico.

Oltre alle ragioni economiche e contabili, divengono in molti casi centrali la garanzia e la tutela dei diritti sociali del singolo, che rivestono un’importanza primaria anche tra i beni e gli interessi protetti dai Trattati europei e giustificano la discrezionalità riconosciuta agli Stati membri nell’organizzare i propri sistemi di welfare anche attraverso il coinvolgimento di soggetti che non perseguono fini di lucro (punti da 53 a 59 della motivazione, sentenza Spezzino).
Tuttavia, ben conscia che le affermazioni di principio potrebbero essere smentite sul piano concreto ove gli accordi di co-progettazione venissero interpretati in senso improprio come contratti di appalto a titolo oneroso, la Consulta chiarisce che il modello configurato dall’art. 55 è “alternativo a quello del profitto e del mercato” in quanto  – e a condizione che – esprima davvero “un diverso rapporto tra il pubblico e il privato sociale, non fondato semplicemente su un rapporto sinallagmatico”.
Esso, in altre parole, “non si basa sulla corresponsione di prezzi e corrispettivi dalla parte pubblica a quella privata, ma sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico”.

Se ci si accosta all’art. 55 CTS secondo un’interpretazione letterale, si può notare, infatti, che la disposizione lascia sullo sfondo la logica dell’affidamento di un servizio pubblico a un unico soggetto secondo il tradizionale schema del contratto pubblico di appalto.
Al contrario, e in chiave maggiormente innovativa, la disposizione consente invece di valorizzare una pluralità di prestatori di servizio pubblici e privati o, ancora, di sostenere attività anche solo private, nella misura in cui condividano gli obiettivi pubblicistici, arricchendo l’offerta delle prestazioni in risposta ai bisogni della comunità. In questo modo, l’impostazione in parola si porrebbe non in contrasto, ma in linea con quanto consentito dall’ordinamento eurounitario.
Si spiega allora la ragione del richiamo al modello dell’accreditamento aperto o liberalizzato, escluso dall’ambito di applicazione della disciplina europea in materia di contratti pubblici di appalto dai considerando n. 4 e n. 114 della Direttiva n. 24/2014 e utilizzato in molte delle prime esperienze di coprogettazione a livello locale.
Oltre a ciò, si possono ipotizzare molteplici partnership tra soggetti pubblici e, auspicabilmente, più soggetti privati, privilegiando la sinergia dei diversi attori e la messa in comune di mezzi, piuttosto che la competizione per l’individuazione del miglior offerente di un servizio.

Sul piano gestionale e finanziario, gli ETS saranno chiamati a partecipare alla realizzazione dei progetti condivisi in una condizione di parità con l’amministrazione e con risorse aggiuntive rispetto a quelle pubbliche, tra cui beni immobili, risorse umane (professionisti e volontari), contributi e/o finanziamenti da parte di altri enti.
Le possibilità sono dunque tante e stimolanti. Si tratta ora di valorizzare appieno le responsabilità di tutte le parti coinvolte al fine di confermare lo storico ruolo del terzo settore come motore attivo dello sviluppo della comunità.

Foto di copertina: Dani Gèza su Pixabay