Può il "conflitto" essere inteso come un generatore di opportunità e non come uno strappo insolubile? I dieci anni di lavoro dell’Osservatorio sui conflitti e sulla conciliazione del Lazio testimoniano che c’è un gran bisogno nel nostro Paese di un nuovo modo di intendere il conflitto

Il conflitto, sebbene sia normale in molti contesti, non è un evento destinato solo a portare tensioni e spaccature. Anzi: può essere – e neppure tanto paradossalmente – fattore determinante per favorire, alla fine di un percorso, un miglioramento complessivo della qualità dei servizi prestati, delle relazioni e alla fine della stessa vita in comunità. Lo testimoniano i 10 anni di lavoro dell’Osservatorio sui Conflitti e sulla Conciliazione nel Lazio che, in occasione del “compleanno”, ha promosso il convegno dal titolo «La centralità della formazione per la crescita della cultura della conciliazione». L’Osservatorio nato ad opera di diversi enti promotori, pubblici e a rilevanza pubblicistica, ha avuto come obiettivo quello di «favorire la cooperazione reciproca, per fornire, nel panorama culturale e sociale del tempo, una prospettiva alternativa sulla risoluzione pacifica ed extragiudiziale delle controversie, in particolar modo nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e nei servizi pubblici». Quindi un profilo molto più ampio della semplice risoluzione veloce ed efficace delle controversie giudiziarie: un vero percorso culturale, che parte da un diverso principio di valutazione e considerazione della collettività: una comunità coesa, che non trascura i conflitti ma li riconverte, in soluzione condivise e gestite, è una comunità che produce benefici per tutti e in continuità con tempi lunghi. Ma per consentire ciò bisogna formare (e non solo gli operatori del diritto) ma tutti i cittadini.
Per questo «è necessario mettere insieme tutte le nostre competenze trasversalmente, quelle degli avvocati insieme a quelle dei notai, dei medici e dei commercialisti, ma anche introdurre già nei percorsi universitari delle diverse facoltà uno studio specifico sulle procedure non contenziose, perché c’è un estremo bisogno di pacificazione sociale», ha sottolineato l’avv. Maria Agnino, consigliere del Coa Roma e Vicepresidente dell’Osservatorio.

La formazione, per fare cultura della conciliazione

Il progetto è ambizioso e si sostanzia nelle linee progettuali sulla formazione, focalizzate su cinque coordinate fondamentali:
1) lavorare per una formazione non solo per gli addetti ai lavori, per diffondere la cultura della conciliazione, rendendo chiunque capace di gestire il conflitto attraverso adeguati percorsi guidati ed evitando di delegare sempre e comunque;
2) una formazione europea ed aperta agli altri ordinamenti, che tenga conto dei conflitti transnazionali e che faccia diventare la mediazione, anche nel nostro Paese, una modalità ordinaria e non più residuale nella gestione del conflitto;
3) una formazione rivolta ai giovani, con attenzione all’educazione nelle scuole e con percorsi universitari specifici in tema di mediazione dei conflitti e di conciliazione civica;
4) una formazione nuova, che vada al di là dell’aggiornamento di quella già esistente, che sia centrata sui conflitti tra cittadini e Pubblica Amministrazione ed in materia di servizi pubblici;
5) una formazione volta a formare una nuova figura professionale, quella del conciliatore civico, che possa trovare spazio nei vari settori della Pubblica Amministrazione, delle Autorità di garanzia e nelle Camere di conciliazione.

Le diverse aree d’impegno

Le attività che hanno segnato questi anni di vita, e sulle quali l’osservatorio vuole continuare ad essere propositivo si svolgeranno su di versi fronti: li segnaliamo proprio a partire dal rapporto che è stato presentato nel convegno:

  • attività di ricerca: di carattere generale, specialistico e multidisciplinare, sul tema dei conflitti, la creazione di indici di conflittualità per tipologia di conflitto e circoscrizioni territoriali, la realizzazione e la presentazione di un Rapporto annuale sullo stato dei conflitti e delle conciliazioni;
  • attività di informazione: la realizzazione di un sito dove si trova la pubblicazione di dati e documenti (www.osservatorioconflitticonciliazione.it), oltre alla pubblicazione di una newsletter mensile che faccia il punto sulle attività proprie e degli enti che ne fanno parte in materia di ADR, la creazione di un punto di informazione per favorire lo sviluppo e la diffusione della cultura della mediazione tra i cittadini;
  • attività di studio: l’organizzazione di spazi di approfondimento e di confronto con i soggetti istituzionali competenti, che consentono di monitorare l’evolversi dei comportamenti dei cittadini nella scelta delle forme di tutela dei diritti e di accesso alla giustizia, sia in Italia che all’estero;
  • attività di formazione: l’organizzazione di seminari, corsi, convegni per favorire una elevata qualità dei livelli di formazione dei conciliatori;
  • attività di servizio: la consulenza sui temi della mediazione e del conflitto agli enti interessati, favorendo l’introduzione della bestpractice nel tema di risoluzione dei conflitti alternativi.

Ora armonizzare il sistema

Per il salto di qualità di cui questo strumento ha bisogno, è quindi decisivo il percorso di riforma del processo civile già incardinato alle Camere: «le novità normative spingono a non considerare più come alternativi i mezzi di risoluzione conciliativa delle controversie, tanto è fondamentale il loro ruolo», ha detto la dott.ssa Franca Mangano, capo dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia. «Gli emendamenti governativi al disegno di legge delega 1662, che, avendo superato l’approvazione di una delle due Camere, si avviano a diventare legge, configurano questi strumenti come complementari alla giurisdizione», informa. E aggiunge: «C’è l’intento chiaro di rendere queste misure, tanto diverse tra di loro, come un complesso armonizzato al suo interno e complementare, non c’è soltanto la finalità di accelerazione dei processi, che l’Europa ci chiede, ma anche la valorizzazione degli strumenti consensuali della lite».
Insomma: è ben più che un semplice strumento per sfoltire il carico di cause nelle Aule, come qualcuno potrebbe superficialmente intendere. Gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie nascono da una cultura della conciliazione che pone fondamento su un modo diverso di intendere la comunità civile: che non trascura o nega potenziali conflitti, ma li gestisce in modo ordinato e produttivo. Perché condividendo le soluzioni, il beneficio è sempre superiore alla semplice somma dei singoli interessi.

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Foto di copertina: Di Chatz su Unsplash