Un confronto tra gli indirizzi ministeriali e le linee guida ANAC

A distanza di quasi un anno dall’emanazione delle linee guida ministeriali, anche l’ANAC si appresta ad adottare i propri indirizzi interpretativi in merito ai rapporti tra enti del terzo settore e pubbliche amministrazioni.

Contesto, efficacia e oggetto delle linee guida

Quasi un anno fa, con d.m. 31 marzo 2021, n. 72, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali pubblicava le proprie Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli artt. 55-57 del D.Lgs. n. 117/2017 (Codice del terzo settore). Il 15 novembre scorso si è invece concluso il periodo di consultazione pubblica cui è stato sottoposto lo schema di linee guida ANAC recanti “Indicazioni in materia di affidamenti di servizi sociali”, attualmente in attesa di definitiva adozione da parte della stessa Autorità. Ferma l’intrinseca rilevanza dei due atti – e fatte salve le eventuali modifiche che potranno subire le linee guida ANAC in conseguenza delle osservazioni degli stakeholder – appare particolarmente interessante un confronto tra essi.
Prima di analizzarne il merito, sembra opportuno fornire alcune indicazioni preliminari relative al contesto nel quale le linee guida si inseriscono, nonché al loro oggetto e alla loro efficacia.
Riguardo al contesto, nelle premesse di entrambi i documenti si fa riferimento tanto alle pronunce dei diversi organi giurisdizionali intervenute sulle disposizioni del codice del Terzo settore (d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, anche CTS) e, in particolare, alla sentenza della Corte costituzionale 26 giugno 2020, n. 131, tanto agli interventi legislativi del c.d. decreto semplificazioni (d.l. 16 luglio 2020, n. 76, commentato da Fabio Giglioni in questa Rivista) sul codice dei contratti pubblici (d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, anche CCP) al fine di coordinarne le disposizioni con quelle del codice del Terzo settore. Sotto questo aspetto, dunque, gli indirizzi in commento assumono quasi un’attitudine riepilogativa degli orientamenti espressi dai formanti giurisprudenziali e normativi sul d.lgs. n. 117/2017.
Per ciò che concerne l’oggetto, le linee guida ministeriali e quelle dell’ANAC si occupano della medesima questione, ossia il rapporto tra amministrazioni pubbliche ed ETS (i.e., enti del Terzo settore) ai fini dello svolgimento da parte di questi ultimi di servizi di interesse generale, da due angoli-visuale diversi: le prime ne analizzano la disciplina dettata dal codice del Terzo settore, concentrandosi in particolare sugli artt. 55-57, le seconde si focalizzano sulle rilevanti disposizioni del codice dei contratti pubblici. In particolare, mentre le linee guida ministeriali riguardano tutti i servizi di interesse generale, l’ANAC si concentra su di una specie di essi, vale a dire i servizi sociali che, anche nell’ambito del codice del Terzo settore, sono destinatari di una disciplina specifica. Ciò, a sua volta, incide sul rapporto tra i due atti, configurandosi gli indirizzi espressi dall’Autorità anticorruzione come “integrativi” degli orientamenti ministeriali.
In terzo luogo, occorre chiarire sin da subito che, sia il d.m. n. 72/2021, sia lo schema di linee guida ANAC (in disparte la circostanza per la quale queste ultime ancora non sono state adottate) non presentano natura vincolante, ma hanno valore meramente interpretativo. Sicché, le amministrazioni destinatarie potranno, motivatamente, discostarsi dagli indirizzi ivi espressi.

L’ambito di applicazione dei due codici

L’aspetto che, affrontato sia dal Ministero sia dall’ANAC, merita maggiore attenzione è quello attinente al rapporto tra i due codici, con riferimento al rispettivo ambito applicativo. A differenza di altri profili, infatti, esso presenta una particolare complessità che le linee guida in commento riescono a chiarire solo in parte.
Il decreto ministeriale, sulla scorta degli elementi rinvenibili nel diritto unionale nonché delle acquisizioni della giurisprudenza – segnatamente – costituzionale, afferma che oggetto dei rapporti collaborativi disciplinati dal d.lgs. n. 117/2017 sono i servizi di interesse generale (SIG), come individuati dall’art. 5 del medesimo codice del Terzo settore, dai quali devono essere distinti i servizi di interesse economico generale (SIEG), che dei primi costituiscono una species e che rientrano astrattamente sotto l’egida del codice dei contratti pubblici. Sennonché, simile tassonomia assume una configurazione “a geometria variabile”. Tanto il legislatore, tanto le pubbliche amministrazioni possono infatti scegliere, nell’esercizio della propria discrezionalità (dalle linee guida ministeriali qualificata, in modo non del tutto condivisibile, come politica altresì là dove riferite a valutazioni della pubblica amministrazione), «anche qualora si sia in presenza astrattamente di un SIEG», di apprestare «un modello organizzativo ispirato al principio di solidarietà» idoneo ad escludere l’operatività dei modelli competitivi a favore dell’applicazione di quelli collaborativi (d.m. n. 72/2021, cfr. pp. 4 e 5; corsivo aggiunto).
L’assetto ricostruito dal d.m. n. 72/2021 non appare smentito dagli orientamenti dell’ANAC. Secondo l’Autorità, la sottoposizione, da parte dell’art. 30, comma 8 CCP, come modificato dal d.l. n. 76/2020, dei profili pubblicistici delle «forme di coinvolgimento degli enti del Terzo settore previste dal titolo VII [del CTS]» alla legge 7 agosto 1990, n. 241, vale a qualificare le forme collaborazione di cui agli artt. 55 e 56 CTS come fattispecie estranee al codice dei contratti pubblici (cfr. Schema Linee guida ANAC, § 1.2). Di conseguenza, anche le fattispecie estranee individuano una categoria aperta la cui estensione “materiale” dipende dalle scelte discrezionali delle pubbliche amministrazioni.
Dalla categoria delle fattispecie estranee si distinguono storicamente (cfr. Cons. Stato, ad. plen., 1 agosto 2011, n. 16) le fattispecie escluse (o esenti) che, invece, individuano (tassativamente) i contratti “nominati” dal codice dei contratti pubblici, ancorché al solo fine di escluderli dal proprio ambito di applicazione o di sottoporli ad una disciplina speciale, ferma restando la soggezione ai principi generali di concorrenza. La circostanza che tali principi generali coincidono con quelli che governano l’intera attività amministrativa (cfr. art. 1 legge n. 241/1990 e art. 4 CCP), e non solo quella diretta all’aggiudicazione di pubbliche commesse, rende tale distinzione praticamente ormai poco utile. Forse forzando la lettera dell’art. 30, comma 8 CCP, l’ANAC non annovera tra le fattispecie estranee le convenzioni relative ai servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza di cui all’art. 57 CTS, qualificandole invece come fattispecie escluse (cfr. Schema Linee guida ANAC, § 2.2).
Ad ogni modo, ciò che emerge, sotto questo profilo, dal confronto tra gli orientamenti interpretativi delle due autorità è una (condivisibile) tendenza ministeriale a valorizzare il ruolo decisivo delle scelte discrezionali dell’amministrazione che, al contrario, l’ANAC tende a limitare. 

La configurazione delle procedure: a) la co-programmazione e la co-progettazione

Di particolare interesse, in questa sede, appaiono gli orientamenti in materia di co-programmazione e co-progettazione, su cui si soffermano le linee guida ministeriali. Esse, preliminarmente, sottolineano il differente approccio che informa tali strumenti rispetto a quelli contrattuali: ciò che caratterizza i primi rispetto ai secondi è l’approccio collaborativo tale per cui l’apporto del privato non è limitato al momento dell’offerta, ma si estende a tutte le fasi della procedura, ivi compresa la fase esecutiva (cfr. d.m. n. 72/2021, p. 6).
Tralasciando la descrizione analitica delle due procedure, nonché i singoli adempimenti a carico delle amministrazioni al fine del rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza, va innanzitutto osservato che il Ministero qualifica espressamente come accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento ai sensi dell’art. 11 legge n. 241/1990 le sole forme co-progettazione (p. 14). Con riguardo alla co-programmazione, le linee guida si limitano ad affermare che essa «si sostanzia in un’istruttoria partecipata e condivisa» (p. 8), che «dovrebbe concludersi con l’elaborazione, condivisa, di un documento istruttorio di sintesi» il quale tuttavia, non necessariamente coincide con le determinazioni conseguenti che «sono di competenza dell’amministrazione procedente, in modo da garantire l’autonomia di quest’ultima nell’acquisizione, nel bilanciamento e nella sintesi dei diversi interessi acquisiti nel corso dell’istruttoria in coerenza con gli indirizzi dell’ente medesimo» (p. 9). Di contro, le medesime linee guida attribuiscono agli atti di co-programmazione una particolare attitudine “espansiva” tale per cui «[g]li enti […] tengono conto degli esiti dell’attività di co-programmazione ai fini dell’adozione e dell’aggiornamento degli strumenti e degli atti di programmazione e di pianificazione generali e settoriali» (p. 9).
Appare poi opportuno sottolineare che il d.m. n. 72/2021 prevede che la co-programmazione deve svolgersi nel rispetto dei principi in materia di evidenza pubblica: sarebbe forse stato più opportuno riferirsi ai principi generali del procedimento amministrativo (coincidenti con i primi), giacché il riferimento all’evidenza pubblica potrebbe ingenerare il dubbio di una selezione dei soggetti ammessi a partecipare, già limitati dalla legge ai soli enti del Terzo settore di cui all’art. 4 CTS. In effetti, dalle norme e dalle stesse linee guida emerge che una selezione dei partecipanti, ancorché non necessariamente stringente e comunque informata a canoni collaborativi piuttosto che competitivi, dovrebbe essere esperita solo in sede di co-progettazione.
A proposito della co-progettazione, un aspetto su cui merita soffermarsi attiene alla concessioni di contributi economici in favore degli ETS. Da un punto di vista formale, le linee guida ministeriali rinvengono la disciplina da applicare a tali fattispecie nell’art. 12 legge n. 241/1990. Da un punto di vista sostanziale, vengono fornite rilevanti indicazioni per il caso in cui oggetto della concessione siano immobili di titolarità dell’amministrazione: in particolare, quest’ultima deve stimarne il valore d’uso, la cui determinazione è richiesta al fine di scongiurare ipotesi di danno erariale e che serve a individuare l’utilità economica indiretta per gli ETS. 

(Segue): b) l’esternalizzazione dei servizi sociali

Quanto all’esternalizzazione dei servizi sociali, si rende nuovamente necessaria una lettura integrata degli indirizzi ministeriali e dello schema di linee guida ANAC.
I primi si occupano della fattispecie convenzionali previste dagli artt. 56-57 CTS, rilevando come si tratti di convenzioni che, previste solo per particolari categorie di ETS (organizzazioni di volontariato ed enti di promozione sociale), sono improntate ad un regime di gratuità. Ciononostante, come si evince dal d.m. n. 72/2021, nell’ambito di tali procedure di affidamento, i caratteri collaborativi rinvenuti nelle fattispecie di cui all’art. 55 CTS appaiono meno pronunciati. I rapporti tra le convenzioni di servizi sociali e le convenzioni di servizi per il trasporto sanitario di emergenza si configurano in termini di genere a specie: nel primo caso, l’amministrazione affidante deve dimostrare che l’esternalizzazione mediante convenzione sia più favorevole rispetto al ricorso al mercato; nel secondo, è invece il ricorso al mercato ad essere recessivo.
Mentre il Ministero si concentra sugli elementi della convenzione, soprattutto al fine di rispettarne la natura gratuita, è lo schema di linee guida dell’ANAC che, specificando le misure volte a garantire il rispetto delle condizioni previste ai fini dell’affidamento dei servizi sociali, individua gli criteri in base ai quali deve essere condotta la valutazione dell’amministrazione circa la preferibilità del mercato o del Terzo settore (Schema di linee guida ANAC, § 7).

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Foto di copertina: Erik Eastman su Unsplash