Il paradigma dell’Amministrazione condivisa nel contesto della transizione ecologica

L’urgenza della transizione ecologica è sempre più evidente nell’attuale contesto economico-sociale. Secondo i dati relativi all’Earth Overshoot Day ogni anno l’impronta ecologica umana arriva a consumare sempre più velocemente la biocapacità del pianeta. Invertire la rotta ed approdare ad un modello di sviluppo che proceda in sinergia con la tutela dell’ambiente diventa così una priorità. In questa prospettiva, la produzione ed il consumo di energia si rivelano di strategica importanza: il modello energetico basato sulla produzione di energia da fonti fossili rappresenta, infatti, una tra le principali cause di emissioni di gas ad effetto serra. Secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, l’uso di energia fossile è responsabile del 77% delle emissioni di gas a effetto serra e necessita di un deciso superamento nella prospettiva del contrasto ai cambiamenti climatici. Nella consapevolezza della primaria rilevanza della questione energetica, le più recenti politiche europee hanno previsto ambiziosi obiettivi di sviluppo di energia rinnovabile, capaci di garantire l’accesso ad energia pulita, a più basso impatto ambientale.

Il modello delle comunità energetiche rinnovabili

Il modello delle comunità energetiche rinnovabili rappresenta tra i diversi modelli di produzione di energia rinnovabile un paradigma di particolare interesse perché potenzialmente capace di mettere al centro della transizione le comunità locali e percorsi di cittadinanza attiva particolarmente qualificati. Come si vedrà, infatti, le comunità energetiche rinnovabili sembrano rappresentare una preziosa opportunità per declinare i principi dell’Amministrazione condivisa nel campo della transizione energetica, coniugando la sostenibilità ambientale con quella economica e, soprattutto, sociale.
Nonostante siano riscontrabili precedenti iniziative in assonanza rispetto alle comunità energetiche, l’attuale modello si è affermato nel 2018 con la direttiva Red II (2018/2001/UE), attuata in Italia dapprima in via transitoria con il decreto milleproroghe (art. 42-bis, d.l. 162/2019) e poi successivamente con il decreto legislativo 199/2021.

CER: finalità e requisiti

Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono soggetti giuridici autonomi che hanno nella loro disponibilità piccoli impianti di produzione di energia rinnovabile e possono produrre, consumare, accumulare, vendere e scambiare detta energia. Le CER hanno quale obiettivo principale il fornire benefici ambientali, economici o sociali ai loro membri o alle aree locali in cui la comunità stessa opera. Possono partecipare alle CER, su base aperta e volontaria, persone fisiche, PMI, enti territoriali e autorità locali, enti religiosi, del terzo settore e di protezione ambientale situati nelle vicinanze degli impianti nell’utilizzo della comunità, purché la partecipazione alle CER non dia luogo ad attività commerciale e industriale principale. Detti soggetti, riuniti nelle CER potranno usufruire dei vantaggi relativi alla produzione dell’energia e degli incentivi previsti sull’energia condivisa. Il modello delineato si presta dunque ad una varietà di interpretazioni ed attuazioni sensibilmente differenti, che possono di volta in volta prevedere o meno la partecipazione di soggetti pubblici, o che possono diversamente disporre dei vantaggi economici relativi all’energia condivisa.

Ritardi burocratici e assenza di regole attuative

Nonostante l’attenzione dedicata alle CER sia nel contesto europeo che nazionale, esemplificata dagli investimenti di cui al PNRR (cfr. M2C3 “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile”, Investimento 1.2 “Promozione rinnovabili per le comunità energetiche e l’autoconsumo”), ad oggi le CER si trovano bloccate in una impasse composta da ritardi burocratici e assenza di regole attuative. Al netto delle problematiche connesse all’attuale assetto autorizzativo degli impianti rinnovabili, definito in un recente documento del Servizio Studi della Camera dei deputati come “un sistema complesso, composto da numerosissime norme o micro norme”, risultano ancora assenti i decreti attuativi necessari per l’implementazione del modello CER delineato nel d.lgs. 199/2021, già sollecitati in numerose occasioni dalle associazioni di settore. Il rischio è quello di minare le potenzialità sottese a quella che rappresenta una sensibile rivoluzione del paradigma energetico, potenzialmente idonea ad incidere profondamente sul contesto locale. In questa prospettiva non si può che auspicare il definitivo e pronto superamento degli ostacoli burocratici che stanno sensibilmente rallentando i differenti processi di attivazione delle CER.

I rischi nell’attuazione del modello CER e il ruolo dei soggetti pubblici

Un altro elemento che rischia di adombrare il potenziale delle CER è la stessa apertura del modello, che rimette pienamente alla regolazione interna dei rapporti la definizione della natura stessa delle CER. Sul punto, come già evidenziato, la partecipazione di soggetti pubblici rimane meramente eventuale, quando al contrario la stessa sarebbe di primaria importanza in funzione di garanzia del pieno coinvolgimento di tutti – anche di quei soggetti in condizioni di marginalità – nel processo di attivazione di CER e nella condivisione dei relativi benefici. D’altro canto, le CER si rivelano uno strumento particolarmente idoneo a fronteggiare situazioni di povertà energetica, contribuendo ad una significativa riduzione dei costi dell’energia. Proprio per questo è sempre più necessario che contesti locali di marginalità trovino un ampio coinvolgimento nel processo di attivazione delle CER. Da un lato, dunque, le comunità di energia rinnovabile costituiscono espressione del principio di sussidiarietà orizzontale nella produzione dal basso di energia rinnovabile, dall’altro, tuttavia, gli ulteriori benefici sociali connessi all’attivazione delle CER sono pienamente rimessi all’organizzazione interna delle stesse. Alla luce di quanto sopra, emerge come i soggetti pubblici ed in particolare i piccoli Comuni o i Municipi delle grandi città dovrebbero supportare attivamente la costituzione delle Comunità Energetiche Rinnovabili rendendosi garanti del pari accesso di tutti a tale forma di democratizzazione della produzione di energia rinnovabile.

Dalle CER alle CER…S

Le autorità locali, quindi, dovrebbero sostenere paradigmi di CER nei quali alle tre lettere dell’acronimo se ne aggiunge una terza: la “S” di “Solidali”. Il modello delle Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali – già proposto da Legambiente – nell’intento di allontanare una volta per tutte dalle CER l’ombra dell’inasprimento di una disuguaglianza urbana crescente, si pone quale specifico obiettivo quello di guardare al di là degli immediati benefici ambientali derivanti dalla produzione di energia rinnovabile, soffermandosi anche sui benefici sociali che possono derivare dall’attivazione di una CERS in un determinato contesto locale. L’output finale potrà così essere un processo di attivazione dal basso supportato dalle comunità locali, dove ci si dovrebbe interrogare sulle fragilità del territorio e sulle finalità solidali da perseguire. È solamente attraverso l’attivazione di Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali, adeguatamente supportate dagli attori pubblici in una prospettiva di co-amministrazione, che il paradigma rappresentato potrà conoscere quell’espansione idonea a contrastare anche la disuguaglianza sociale e la povertà energetica. Temi che nell’attuale contesto politico e globale si rendono sempre più urgenti.

Nuove prospettive per l’Amministrazione condivisa

Le CERS di cui si auspica l’attivazione sembrano, dunque, rappresentare un terreno particolarmente fertile per l’attuazione di quelle forme di Amministrazione condivisa teorizzate ben venticinque anni fa nel fortunato saggio di Gregorio Arena Introduzione all’amministrazione condivisa“, pubblicato nella Rivista Trimestrale di Studi parlamentari e di politica costituzionale. Le CERS possono infatti rappresentare un significativo punto di incontro tra amministrazione locale e società civile, nella prospettiva di una teoria dell’amministrazione che si fondi sulla declinazione in chiave collaborativa del rapporto tra amministrazione e amministrati e che guardi ai particolari benefici sociali raggiungibili. L’attivazione di CERS potrebbe così venire a coesistere, in una prospettiva di reciproca valorizzazione, con gli altri strumenti dell’amministrazioni condivisa, quali i patti di collaborazione, che hanno contribuito alla “realizzazione dell’utopia”. Si tratta, dunque, di un’occasione preziosa tanto per i rilevanti obiettivi in gioco, quanto per il processo partecipativo da mettere in atto per la loro attuazione. Per far questo si ha certamente bisogno di amministrazioni locali pronte al dialogo e alla co-amministrazione, nonché di cittadini attivi e di percorsi di attivazione – come quello avviato dalla Rete di Economia Sociale e Solidale di Roma – che mettano a fattor comune risorse e necessità, capaci di promuovere nel loro ambito una maggiore sostenibilità ambientale, economica e sociale delle comunità di riferimento.