In molti hanno fatto notare che troppo spesso ricorriamo a metafore militari e in generale all’uso di parole derivate dal linguaggio bellico. Poi magari le facciamo scivolare in luoghi lontani dalla guerra, ma, quando la matrice è quella, un nemico resta, dichiarato ovvero implicito. Così è per “presidio”: da arroccamento difensivo armato a figura di difesa della democrazia, fino all’organizzazione che difende un cibo fuori dai circuiti commerciali. Nelle orecchie di noi tutti ci sono poi naturalmente i “presidi socio-sanitari”, che nel nostro immaginario sono servizi che si avvicinano agli abitanti che ne hanno bisogno. Chiediamoci: quand’è che parliamo non di scuola ma di “presidio scolastico”?
Forse chi sta, per così dire, in prima linea, affronta più coraggiosamente l’ignoranza, la malattia, la solitudine, il disagio e molti -ismi? Nel lavoro sul campo non hanno vita più breve le posizioni ideologiche, messe a dura prova dallo stare dentro alle esperienze, tra paranoie e moralismi? Veniamo ad esempio spesso posti di fronte a una scelta: presidio poliziesco o presidio naturale? Comando e controllo da un lato, vivacità urbana e sociale dall’altro; telecamere di sorveglianza versus animazione territoriale; chiudere a chiave recinti contro incoraggiare flussi di persone. Ma a ben pensarci è un falso dilemma, perché le strategie (ancora una parola in divisa mimetica) non si escludono affatto: non perché un luogo brulica di vita il servizio d’ordine pubblico viene sospeso.
La pandemia come acceleratore di ibridazione e l’ibridazione come strategia di emergenza
Avete mai pensato ai luoghi della cultura come a presidi civici? Ci pensavate già prima della pandemia? Se torniamo con la memoria al 2020, da allora ad ora, e pensiamo ai luoghi in cui andavamo ad ascoltare musica, a bere una birra, a giocare a freccette: cosa è successo? Dai mesi di lockdown, al cambiamento dei comportamenti nel tempo libero, al caro bollette: come si sta trasformando l’Italia dei circoli culturali? Abbiamo ovviamente pensato in primis alla nostra sopravvivenza, ma è fondamentale stare attenti a non far morire una delle infrastrutture che ci tengono insieme. Abbiamo più volte ricordato come le scuole, viste non solo come servizi pubblici ma anche come beni comuni, rappresentino un’infrastruttura delle più solide, a livello nazionale.
Certamente la cattolicissima Italia mette a disposizione una solida rete di oratori diffusi su tutto il territorio, che godono del privilegio di giocare in un altro campionato, con altre regole (quelle del diritto canonico). Assai più fragile è il tema dei presidi civici e culturali. Ci riferiamo da una parte a tutti i patti di collaborazione per la cura dei beni comuni che potrebbero rientrare in questa nuova categoria, insieme alle case del quartiere nelle città in cui esistono, e alle varie forme in cui esiste già un’alleanza con i soggetti pubblici locali: in questi casi beni comuni come il senso civico e la conoscenza culturale sono oggetto di amministrazione condivisa.
Ma dall’altra parte ci sono soggetti di diversa natura – dai circoli Arci ai gruppi attivi in vario modo nella promozione di animazione territoriale – che svolgono un ruolo fondamentale anche (soprattutto?) come presidi civici e culturali. Molti di questi stanno rischiando la chiusura in modo massiccio e preoccupante, ed è urgente domandarsi se e come essi non possano essere favoriti dal principio di sussidiarietà orizzontale. È subito evidente che non devono esserci dubbi sullo svolgimento di attività di interesse generale: a questo proposito sono preziosi i racconti che parlano di una ibridazione dei servizi accessibili a tutti, prima-durante-dopo la pandemia.
Così come le chiese si aprono a tutte e a tutti accogliendo migranti e rifugiati di altre religioni, lo stesso processo di ibridazione è in corso in molti presidi civici e culturali, che nella letteratura sui beni comuni verrebbero classificati come club accessibili solo ad alcune persone (ad esempio munite di tessera) ma che nella realtà sono aperti a tutti e tutte. Anzi, riconosciamo presidi che non solo si innovano ospitando servizi diversi (dal CAF alla ASL) ma anche escono alla ricerca di bisogni e risorse presenti nei quartieri e nelle valli che presidiano e, reciprocamente, diventano per gli abitanti il luogo dove andare a chiedere aiuto o a proporre idee per collaborazioni culturali e civiche. Questo patrimonio non va sprecato, tantomeno in questi tempi difficili.
Il ruolo sussidiario delle fondazioni d’origine bancaria: il bando SPACE
Proprio per salvaguardare l’esistenza stessa di questi spazi “e delle forme di partecipazione che irradiano”, la Fondazione Compagnia di San Paolo ha lanciato il bando di carattere emergenziale ‘Rincontriamoci’, nella primavera del 2020, seguito, a febbraio 2021, dal bando ‘SPACE. Spazi di PArtecipazione al Centro’, un percorso di durata triennale finalizzato a sostenere la crescita e il potenziamento di questi spazi.
Il bando ha selezionato 100 presidi territoriali distribuiti tra Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, presenti tanto nelle città quanto nelle province e nelle aree interne, clusterizzati in Nuovi Centri Culturali, Centri Culturali Indipendenti e Centri di Aggregazione Civica secondo le categorie interpretative individuate da cheFare.
Nella loro diversità questi presidi rivelano un panorama dal grande potenziale in termini di innovazione culturale e civica: si tratta spesso di spazi multidisciplinari e polifunzionali, caratterizzati da una governance multi-attoriale e da una forte presenza di donne e under 35 in posizione apicale.
All’interno del progetto SPACE formano una Comunità di Pratica molto ricca che in questi due anni si è incontrata più volte (in presenza e in modalità on-line) per lavorare in due direzioni: rafforzare le competenze e prendere consapevolezza rispetto al ruolo civico, sociale e culturale che esercitano nei territori in cui operano.
La sussidiarietà per i presidi civici: la prospettiva Labsus
A partire da una nuova consapevolezza sul valore sociale e culturale prodotto dai presidi civici e territoriali emerge la necessità di sviluppare strategie in grado di instaurare (e mantenere) una forte relazione con le comunità che li abitano.
La prima caratteristica è quella di essere luoghi accessibili – ovvero spazi senza barriere architettoniche, ma anche spazi inclusivi in termini di economicità e diversità della propria offerta – e aperti al pubblico in forma continuativa, favorendo un uso costante – anche spontaneo e informale – dello spazio.
La seconda caratteristica è quella di considerare coloro che frequentano e attraversano lo spazio non solo come fruitori delle attività proposte o beneficiari dei servizi erogati, ma come potenziali alleati con cui stringere alleanze inedite. Coinvolgere attivamente gli ‘utenti’ nella co-progettazione di uno spazio (fisico o virtuale); intercettare le famiglie residenti, i gruppi informali del territorio, i Comitati di Quartiere e costruire una comunità ibrida che che ne curi la gestione e la manutenzione. Si può fare?
Come partner di progetto (insieme a cheFare, ARCI e la Rete delle Case del Quartiere), abbiamo l’opportunità di affiancare questi 100 presidi civici e territoriali del Nord-Ovest in questo percorso arrivato alla fine della sua seconda annualità. Insieme abbiamo ipotizzato quattro possibili ambiti in cui sperimentare processi di amministrazione condivisa: la co-progettazione degli usi e la co-gestione di uno spazio interno al presidio (un cortile che diventa una piazza di quartiere), di uno spazio altro, prospicente al presidio (la cura condivisa di un giardino pubblico) o, perché no, di uno spazio digitale (ad esempio una piattaforma virtuale come il Portale dei Saperi); infine, la co-produzione di un servizio immateriale (come una portineria di comunità).
Quanta pratica serve per fare una politica?
Una cucina condivisa può diventare uno spazio di formazione dove sviluppare competenze finalizzate all’inserimento lavorativo, o può costruire una filiera locale di recupero di prodotti alimentari invenduti e lavorare sul consumo critico e responsabile. Uno spazio aggregativo può costruire ponti tra situazioni socio-economiche e socio-culturali differenti e offrire un’occasione di crescita personale sul piano relazionale.
Che i presidi civici e territoriali svolgano un ruolo chiave per innescare relazioni di prossimità è indubbio, che contribuiscano significativamente al benessere e alla coesione delle nostre comunità territoriali anche. Ma allora perché questi luoghi così essenziali per l’infrastruttura civica dell’Italia sono spesso così assenti dalle politiche locali? Perché questo comparto agisce sovente in totale autonomia, senza rivendicare il proprio diritto ad essere quantomeno ‘facilitato’ nel portare avanti attività di interesse generale?
Dalla nostra rilevazione all’interno della Comunità di Pratica di SPACE possiamo dire che spesso i rapporti tra soggetti pubblici e presidi civici non sono particolarmente stretti. Si attivano saltuariamente, principalmente per specificità circoscritte (per ottenere il patrocinio alle proprie attività o per reperire risorse ad hoc) e raramente prevedono forme di collaborazione alla pari.
Al contrario, crediamo che includere questi spazi tra gli attori territoriali con cui sviluppare azioni comuni, dentro e fuori dai patti, sia non solo strategico, ma assolutamente necessario. Valorizzare la loro presenza sui territori e non lasciarli soli. Sostenere questi luoghi da un punto di vista organizzativo (supportare la logistica delle attività realizzate e contribuire economicamente per alleggerirne i costi vivi) ma anche conoscitivo (condividere il patrimonio informativo locale e favorire lo sviluppo di alleanze territoriali) è indispensabile per garantirne la funzione – civica – di “presidio”. Questa ci sembra la scommessa del bando SPACE e l’auspicio più grande per la nostra pubblica amministrazione.
Foto di copertina: Evento SUPER CROMATICA di Alessandro Rivoir con Sergio Cascavilla, durante la pedonalizzazione temporanea della strada davanti a Via Baltea, community hub di Torino e presidio SPACE, Estate 2021
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