La vicenda giudiziaria offre ai giudici di Piazza Cavour la possibilità di soffermarsi sul sistema integrato di interventi e servizi sociali

La vicenda giudiziaria, certamente toccante sul piano umano, si snoda tra diverse città d’Italia e altrettante Corti, alla cui attenzione è rimessa volta per volta la questione. Dal Tribunale di Padova alla Corte d’Appello di Venezia, passando per il Tribunale per i minorenni di Sassari, fino ad approdare dinanzi al massimo grado di giurisdizione, la vicenda offre ai giudici di Piazza Cavour la possibilità di soffermarsi sul sistema integrato di interventi e servizi sociali, come oggi è configurato ai sensi della fondamentale Legge 8 novembre 2000, n. 328 (“Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”), da incastonare nell’ineludibile cornice costituzionale, qui in particolare puntellata dagli artt. 2, 3 e 38 della nostra Carta fondamentale.

Vicenda giudiziaria

Con ordinanza n. 5869 del 22 febbraio 2022, la Suprema Corte di Cassazione accoglie parzialmente il ricorso promosso dal comune di Olbia avverso la decisione della Corte d’Appello di Venezia del 7 settembre 2020, n. 2197. Per gli Ermellini non è condivisibile il percorso logico-argomentativo tracciato dai giudici lagunari che conduce a ritenere sussistente l’obbligazione di fonte legale a carico del Comune nei confronti della S.P.E.S. (Servizi alla persona educativi e sociali, nel prosieguo SPES) per le attività assistenziali prestate in favore di madre e figlia indigenti e bisognose di assistenza.
Per la Suprema Corte, infatti, posta la matrice legale dell’obbligazione, ex art. 6 della Legge n. 328 del 2000, va rinvenuta nella stessa norma, rubricata “Funzioni dei comuni”, la centralità del ruolo svolto dall’ente comunale, nonché del provvedimento dallo stesso adottato, quale sede naturale del necessario bilanciamento di interessi. L’obbligo di assistenza, infatti, «benché previsto a tutela di un diritto costituzionalmente protetto (artt. 2, 32 e 38 Cost.), non è incondizionato, ma presuppone un bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti […], ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l’ente dispone, che si traducono, poi, nell’osservanza delle disposizioni sui contratti della Pubblica Amministrazione». Ormai copiosa sul punto è la giurisprudenza conforme, la quale individua, dunque, un preciso limite all’intervento dell’ente in chiave assistenziale proprio nella disponibilità delle risorse in base ai piani nazionali, regionali e di zona degli interventi e dei servizi sociali.
Segnatamente, la Suprema Corte opera una lettura unitaria dei diversi commi dell’art. 6 e conclude che spetta ai Comuni territorialmente competenti, nell’esercizio delle funzioni amministrative normativamente attribuitegli in materia di servizi sociali (commi 2 e 3) e “nell’ambito delle risorse disponibili” (comma 2), provvedere a disporre in ordine alla necessità o meno del “ricovero stabile” del soggetto (comma 4). Ciò all’esito di un’istruttoria compiuta nel momento in cui viene rappresentato il bisogno di sostentamento, così da consentire all’amministrazione di valutare le condizioni cui è subordinata l’operatività del sostentamento pubblico. Permane, naturalmente, sullo sfondo la possibilità di impugnare il corrispondente provvedimento innanzi alla autorità giurisdizionale competente che, nel caso di specie, non è avvenuta.

Conclusioni della Suprema Corte

Di tale bilanciamento operato ex ante dal Comune la Corte veneziana non tiene conto, con evidenti ricadute in ordine alla richiesta di pagamento della SPES. Al contrario, ritiene invece il provvedimento amministrativo “improduttivo di effetti”, per giunta alla stregua di un accertamento sulla necessità o meno dello stabile ricovero della minore e della madre spettante non direttamente alla medesima Corte, bensì all’amministrazione. Ebbene, proprio alla stregua delle finalità perseguite dalla Legge n. 328 del 2000, nonché della lettura complessiva dell’art. 6, l’ente comunale, nell’attuazione dei compiti e delle funzioni affidatigli da tale disposizione, può evidentemente assumere obblighi anche diversi o di impegno economico più limitato, cioè meramente temporaneo, rispetto a quello per cui lo stesso è già tenuto, ove “previamente informato”, laddove si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali del soggetto che abbia diritto alla corrispondente prestazione. In tal caso, però, il limite della disponibilità delle risorse finanziarie delimita in concreto l’entità dell’obbligazione assunta dal Comune medesimo nei riguardi del soggetto o della struttura che esegue la prestazione assistenziale.

Brevi riflessioni a margine della motivazione

Nella motivazione della pronuncia supra stilizzata, la Corte ripercorre i gangli del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Difatti, è assolutamente meritoria la ricostruzione che passa attraverso gli snodi fondamentali della nostra Carta fondamentale, tra cui: l’art. 2, per esaltare una volta di più l’inviolabilità dei diritti dell’uomo, nella sua duplice veste individuale e sociale; l’art. 3, co. 2, che impone l’eliminazione delle disuguaglianze di fatto presenti nel tessuto sociale e, conseguentemente, il concreto ruolo primario dello Stato sociale, ovvero della Repubblica in tutte le sue declinazioni. Qui la Corte fa un passo ulteriore, e richiama il concetto di “comunità”, per esaltarne le ottime capacità organizzative, la conoscenza del territorio e quell’attitudine dei soggetti della società civile, che si concreta in «un sodalizio collaborativo con le istituzioni, volto a sviluppare relazioni di reciprocità e di vicinanza idonee a supportare e valorizzare, dal basso, le azioni d’aiuto attivate per far fronte alle marginalità e alle ferite del tessuto sociale».
Si delinea così un assetto di stampo pluralistico (per tutti, Santi Romano, 1946), rimarcato e rafforzato dalla Legge 8 novembre 2000, n. 328, più volte citata, che invera un modello “a rete”, «basato sulla partecipazione delle autonomie territoriali che compongono la Repubblica, in un’ottica di leale collaborazione, e altresì sul coinvolgimento della base sociale dell’ordinamento, assegnando agli enti locali il compito di incentivare l’intervento dei soggetti privati, singoli o associati, nel sistema integrato dei servizi per l’assistenza sociale». Un modello, dunque, dove spicca con rinnovato vigore il ruolo degli enti locali, dei Comuni in particolare, che operano per la corretta realizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale. In altri termini, la collocazione centrale e strategica del Comune risulta essere fondamentale nell’implementazione del welfare locale.
Tutti profili che emergono in modo chiaro dalla lettura dell’ordinanza e che, ciò nonostante, sembrerebbero innescare un cortocircuito logico-argomentativo, laddove la Corte conclude privilegiando il dato formale e non – come forse c’era da attendersi – il dato sostanziale dell’assoluta centralità della persona. Come messo in luce dalla stessa Corte, infatti, è il canone personalistico che segna il passaggio da una prospettiva meramente assistenzialistica, diretta cioè alla esclusiva riparazione di un singolo disagio (o, in termini civilistici, alla mera quantificazione patrimoniale della prestazione dovuta), ad una logica promozionale tesa non solo ad intervenire sullo stato di bisogno del soggetto in carico ai servizi, ma a creare i presupposti per prevenire ulteriori fattori di fragilità e favorire prospettive di realizzazione della sua persona e condizioni di vita dignitose.

Foto di copertina: Babak Habibi su Unsplash



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