Con la sent. n. 210 del 2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di plurime disposizioni (artt. 61, commi 1, 2, 5 e 17, del d.l. n. 112 del 2008, 6, commi 1, 3, 7, 8, 12, 13, 14 e 21, del d.l. n. 78 del 2010; 8, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012 e 50, comma 3, del d.l. n. 66 del 2014), nella parte in cui imponevano alle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2019 che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste fossero versate annualmente ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato.
Il Giudice a quo, nell’ordinanza di rimessione, aveva lamentato la violazione degli artt. 3, 53, 97 e 118 della Costituzione, ma la Consulta ha scrutinato la questione solo in riferimento agli 3 e 97 della Carta, ritenendo assorbite le altre censure.
Il mancato esame del profilo di violazione dell’art. 118 Cost. non impedisce, però, di intravedere, nell’itinerario argomentativo della Corte, dei punti d’emersione del principio di sussidiarietà orizzontale.

La centralità dell’autonomia finanziaria delle Camere di commercio

La Corte prende le mosse dalla particolare configurazione giuridica delle Camere di commercio, scolpita nella legge n. 580 del 1993, che all’art. 1, comma 1, le qualifica come “enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza, sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali”.
L’autonomia funzionale delle Camere di commercio si declina anche e soprattutto come autonomia finanziaria e, anzi, nella prospettiva della Corte l’irragionevolezza dell’obbligo di riversamento al bilancio dello Stato delle somme in questione da parte delle Camere di commercio è proprio il portato dell’autonomia finanziaria di tali enti.
Secondo un ragionamento analogo a quello già svolto dalla Consulta nella sent. n. 7 del 2017, infatti, l’assenza di finanziamenti statali correnti e di interventi finalizzati a garantire il risanamento nei casi di deficit accumulati dalla gestione ordinaria trova il suo doveroso contrappeso – secondo la Corte – nel tendenziale divieto, per lo Stato, di perseguire l’equilibrio della finanza pubblica allargata attraverso lo “sbilanciamento” dei conti delle Camere di commercio. Da qui la violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

La regola dell’autofinanziamento come garanzia di buon andamento delle Camere di commercio

Anche il contrasto fra la disciplina scrutinata e l’altro parametro evocato dal remittente – l’art. 97 Cost. – discende, a ben vedere, dalla regola dell’autofinanziamento imposta alle Camere di commercio.
Essa, infatti, è strumento per il perseguimento delle finalità di tali enti, le cui risorse sono alimentate dal versamento del diritto annuale da parte delle imprese. Per l’effetto, ridurre le risorse nella disponibilità delle Camere di commercio, imponendo il riversamento nel bilancio statale, finisce per frustrare le aspettative che le imprese nutrono a seguito del versamento del diritto annuale alle Camere di commercio e incide negativamente sulla corretta ed efficace gestione dei compiti amministrativi spettanti alle Camere di commercio. Tanto, con conseguente violazione dell’art. 97 Cost.

Autonomia finanziaria e sussidiarietà orizzontale

L’imposizione della regola dell’autofinanziamento alle Camere di commercio costituisce quindi un insuperabile limite al concreto esplicarsi dell’attività di tali enti, ma, al contempo, nei rapporti con i pubblici poteri è presidio fondamentale della loro autonomia e del corretto svolgimento della loro attività.
Può affermarsi, dunque, che il dovere dello Stato di astenersi dall’effettuare prelievi a carico di tali enti – salvi casi eccezionali, nel caso di specie assenti – costituisce manifestazione del generale e multiforme obbligo di “favorire, ai sensi dell’art. 118, comma 4, Cost., l’attività delle Camere di commercio.
Benché, quindi, la relativa censura non sia stata apertamente scrutinata dalla Corte, la logica sottesa al principio di sussidiarietà orizzontale, anche in combinato disposto con l’art. 2 Cost., appare pienamente coerente con la decisione della Corte.



ALLEGATI (1):