La Corte dei conti rileva l'importanza del principio di sussidiarietà orizzontale, definendo un ulteriore tassello a favore degli amministratori che sanno cogliere l’elemento aggiuntivo dell’amministrazione condivisa come risorsa per gestire gli interessi pubblici e gli interessi generali

Con la sentenza n. 248 del 2023, resa in sede di appello, la Corte dei conti contribuisce ulteriormente alla costruzione di uno «statuto» dell’amministrazione condivisa, che arricchisce gli elementi sempre più solidi che sono alla base di questo modello di amministrazione.
La decisione trae spunto da un ricorso in appello promosso dalla Procura, già soccombente in primo grado. Al centro della causa è l’azione di responsabilità promossa contro il segretario comunale e alcuni dipendenti del comune di Cerrione in ragione di un contributo riconosciuto a una parrocchia per la ristrutturazione di un salone, ex cinema-teatro, e della correlata convenzione con la quale è disposto il vincolo dell’immobile a beneficio della cittadinanza. L’onere finanziario dedicato al sostegno della parrocchia è garantito dai proventi giunti dalla privatizzazione di una società controllata dal comune.

La contestazione

La Procura ha contestato sia la compatibilità del finanziamento con i fini istituzionali dell’ente, sia la mancata congrua motivazione a causa anche della violazione di norme sul procedimento amministrativo, prima tra tutte l’art. 12, l.n. 241 del 1990, che impone alle amministrazioni di predeterminare i criteri con cui assegnano vantaggi economici a soggetti terzi. In modo particolare l’aspetto più rilevante della contestazione riguardava la circostanza che – a dire dell’appellante – i convenuti in giudizio non avrebbero valutato le alternative alla ristrutturazione del salone della parrocchia, né avrebbero motivato la migliore economicità della soluzione perpetrata. Si tralasciano ai fini di questo commento, invece, le contestazioni che attengono ad aspetti che sono più di carattere processuale.

Il rispetto dei precedenti da parte della Corte dei conti

Anche il giudice di appello respinge l’azione di responsabilità. Ad avviso del giudice contabile, infatti, il giudice di primo grado ha ben operato sapendo distinguere i profili che attengono alla discrezionalità amministrativa, di per sé non sindacabili dal giudice contabile, dalla verifica della congruità dell’azione compiuta rispetto ai fini pubblici e, da questo punto di vista, il giudice avalla la motivazione già espressa dal giudice di primo grado che inquadra il finanziamento alla sede parrocchiale nell’ambito del principio di sussidiarietà orizzontale. D’altra parte su questa stessa rivista sono presenti pronunce precedenti della Corte dei conti che hanno legittimato benefici dei comuni resi a favore di terzi, quando questi sono stati intesi come finalizzati a promuovere le utilità sociali a beneficio della collettività. In questo caso le attività culturali, teatrali e musicali a cui si presta il finanziamento appaiono congrue rispetto ai fini istituzionali dell’ente locale di promozione degli interessi della comunità rappresentata.

L’elemento nuovo della pronuncia del giudice contabile

Costituisce, invece, un punto di grande rilevanza il passaggio motivazionale dedicato alla scelta comparativa operata dal comune, perché nei precedenti espressi dalla Corte dei conti aveva costituito sempre una ragione importante la circostanza che alla base della scelta c’era un disciplinare regolamentare in attuazione dell’art. 12, l.n. 241 del 1990. Il giudice, in effetti, ravvisa in tale mancanza un elemento di potenziale illegittimità dell’azione comunale, la cui verifica tuttavia spetta al giudice amministrativo, ma ciò – ad avviso del giudice contabile – non ridonda necessariamente in un illecito che è invece il proprium del giudizio contabile. Ed è su questa distinzione tra illegittimità e illiceità che il giudice contabile fonda la sua decisione. Non a caso il giudice richiama in senso adesivo la sentenza di primo grado nel punto in cui è detto che «l’illegittimità dell’atto amministrativo non coincide necessariamente con la sua illiceità, essendo la seconda un connotato della condotta causativa di danno (perciò contra ius), attenendo invece la prima all’espressione formale dell’azione amministrativa, ossia all’atto, il quale potrebbe violare una o più norme senza che da ciò consegua alcun effetto dannoso».
Benché, infatti, riconosca che l’illegittimità dell’azione amministrativa costituisca un elemento sintomatico del possibile illecito, affinché si configuri in questi termini la condotta occorre verificare che si produca un danno all’erario, circostanza che è negata dal giudice. Nel caso concreto si osserva che le azioni ricreative promosse non sono finalizzate a realizzare un lucro, né a soddisfare interessi egoistici di individui o gruppi, ma – al contrario – in adesione al principio di sussidiarietà orizzontale, promuovono interessi generali che attengono alla collettività di riferimento del comune. D’altra parte, non ravvisa l’illecito anche in ragione della convenzione stipulata, che pone una serie di vincoli sull’uso e sui controlli dal cui mancato rispetto discendono sanzioni che salvaguardano adeguatamente gli interessi pubblici.

L’amministrazione condivisa in assenza di regolamento

Di fondamentale importanza è il contenuto motivazionale in cui il giudice precisa che il principio di sussidiarietà orizzontale permette «la creazione di nuove forme di relazione tra Amministrazioni e privati che innovano il tradizionale modus operandi dell’Amministrazione nel rapporto con gli amministrati, i quali, anche attraverso moduli associativi, rivestono un ruolo attivo in una logica di “condivisione” (n.d.r. il corsivo è nella sentenza) con la P.A. per la definizione dei mezzi con cui realizzare l’interesse generale. Il principio di sussidiarietà orizzontale svolge una funzione di emancipazione delle esperienze sociali, attribuendo a esse un valore giuridico che altrimenti stenterebbe a essere riconosciuto se non in termini di mera espressione di autonomia privata del tutto disancorata dagli interessi generali». In altre parole, il giudice riconosce il caso come pienamente espressivo del modello di amministrazione condivisa e tale circostanza gli consente di concludere che non si tratti di azione illecita, ancorché forse illegittima perché prodotta al di fuori dell’art. 12 l.n. 241 del 1990.

Il messaggio per i funzionari e gli amministratori pubblici

Questa sentenza è dunque di estremo interesse anche per i tanti funzionari che, a vario titolo, si trovano a sperimentare esperienze di amministrazione condivisa. Benché la sentenza sottolinei ancora una volta l’importanza che l’amministrazione condivisa possa trovare supporto in un atto regolamentare, il giudice sottolinea che il carattere prescrittivo del principio di sussidiarietà orizzontale è elemento sufficiente per giudicare le condotte degli amministratori, le quali, se coerenti con il fondamento della collaborazione con i cittadini attivi per fini di interessi generali, ben possono essere considerate lecite. Si tratta di un ulteriore tassello a favore dei tanti amministratori che sanno cogliere l’elemento aggiuntivo dell’amministrazione condivisa come risorsa per gestire gli interessi pubblici e gli interessi generali.

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Immagine di: Mario Fortunato su fotocommunity